Lo Stato Moderno - anno V - n.15-16 - 5-20 agosto 1948

LO STATO MODERNO 349 bligazion.i nominative {·poichè tali sono i buoni-casa) e regolarne il mercato: si pensi che gli Istituti di Credito fondiario amministrano ora a mala pena, lutti insieme, 9 miliardi di cartelle. Il piano conserva inoltre uno dei suoi gr9ssi difetti: quello di dare ancora un colpo alla iniziativa libera non sostenuta da eccezionali sovvenzioni statali. Una sola cosa buona mi sembra sia stata introdotta, e cioè il concetto di dare la precedenza alle costruzioni nei Comuni doYe si ha un indice di affollamento ecce– zionalmente alto. Nel complesso il Piano, con le modificazioni che h1 Camera vi ha apportato, diventerà uno dei tanti carrozzoni statali dove si accomoderanno bene i più abili e di cui Pantalone pagherà le spese. Senza più attardarmi in allri appunti di scarso ri– tieYo, credo di poter concludere che il « Piano Fanfani> se anche fosse opportunamente corretto e migliorato dal Senato (e speriamo che lo sia) non può essere che un primo piccolo timido passo sulla via che si deve per• correre per raggiungere la mèta. Gli ostacoli che impediscono di risolvere in Italia il problema dell'abitazione sono di duplice natura: politica ed economia. Il Piano non ha affrontato i primi ed ha aggirato (in modo che si vedrà alla prova se efficace) i secondi. Occorre che il Governo si faccia coraggio e affronti insieme, con tutte le cautele del caso, ma anche con riso– lutezza, i due aspetti della questione. Non basta imporre H risparmio obbligatorio a chi può farlo; non basta agevolare l'acquisto dell'alloggio ai lavoratori. Occorre risolvere tutto il problema di quel bene economico che è la casa, nel suo triplice aspetto di produzione, di scambio e di uso, cioè d'affitto. Oggi norr si costruiscono case perchè è un cattivo affare; non si scambiano, perchè il prezzo di scambio degli immobili è incerto, e varia soprattutto in funzione deJla presenza o meno dell'ipoteca rappresentata dagli inquilini, che non si sa fin quando dure-rà; il reddito delle case è diversissi– mo, e son severamente puniti i risparmiatori che vi in– vestirono i risparmi fatti con fatica in età tranquille, e premiati i borsari neri che versarono negli immobili i facili guadagni di guerra e del dopoguerra; tra gli in– quilini vi sono i felici che pagano un vano 1.600 lire al– l'anno, i fortunali che presso le case popolari riescono a· trovarli a L. 17.000, gli infelici che, rimasti senza casa e senza arredo, ne pagano 40 o 50 mila, e, se in stanze am– mobiliate, fino a 150.000 all'anno. Tutta una serie di as– surde ingiustizie a cui si deve metter fine. Checchè se ne pensi, o almeno se ne dica, siamo tut– t'ora in un regime capitalistico, sia pur temperatissimo (o meglio, per dire il vero, in un regime che in luogo di essere, come dovrebbe, < regolalo> dai poteri della col– lettività, ne è semplicemente «intralcialo>), e si deve rener conto delle leggi dell'econ.omia di mercato. Un governo come il presente, che ebbe la sorte di r1scuotere così larghi suffragi da non essere alla mercè di manovre parlamentari, ha l'obbligo di saper persuadere, quando occorra, il popolo della necessità giuridica e so– ciale di leggi che mirano al benessere collettivo e alla tranquillità sociale. E' una verità quella espressa dalle parole < politique d'abord > •purc~è però s'intenda politica a lungo respiro e politica totale, cioè anche economica, e non il piccolo sistema del ripiego timoroso di offendere la permalosità delle e masse elettoraU >. AMBROGIO GADOLA Edilizia e urbanistica a congresso Un primo Congresso nazionale di Urbanistica lo si tenne in Romanel '37, il secondo dal 17 al 20 giugno di questo 1948. I laici e i giovanetti potrebbero hiedersi come mai in Italia si sia in questo campo ancora agli inizi, con soli due Congressi in tanto volger d'anni; i più spregiudicati e scettici potrebbero ancl,e pro– fessar l'opinione che l'Italia senza congressi non valesse, « i11 sen– so urbanistico>, meno dell'Italia coi congressi, questi non ~ssendo di regola, che delle fiere di vanità. Ma questi scettici avrebbero torto. Se è facile infatti dimo– strare che i congressi costano troppe energie a petto di ciò che producono, non si può dirli serrpre sterili di risultati. Il fatto che un'idea buona si affacci tra molte « non idee> in un congresso, le può dar data, le può dare quel tanto di notorietà che le con– sentadi metter radice, di attecchire. Anche la natura affida al ven– to di marzo miriadi di semi e non ne vede germogliare che pochi. E poi c'era un aspetto che faceva interessante questo 'i" Con– gresso in confronto al primo: era tutto quel finimondo che è suc– cessonegli undici anni intercorsi, il sovvertimento tragico di tante città, la somma d'infinite nuove miserie nella vita del paese. Tanto che in questo Congresso chi non conoscesse a fondo l'a– nimo della cl~sse dirigente italiana - che per certo rispecchia quellodel popolo da cui emerge - avrebbe potuto attendersi d'u– dire, almeno quà e là, delle espressioni forti, drammatiche, am– monitrici, magari di rampogna e di corruccio del poco o nulla che si è fatto di fronte alle distnizioni subite, di fronte al peso morto di un bagaglio di ideologie megalomani e storte che ci tra– sciniam dietro dal più recente passato. Chi invece conosce le infinite risorse d'oblio, l'adattabilità mo– raleed estetica, la supina acquiescenza alla tradizione anche la più mediocre, il poço conto concesso all'tndividuale e singolare, l'or– maitenace piega ai ruoli vuoi buroc·ratici, vuoi sindacali, vuoi ac– cademici,insom_mal'intimo quietismo ed il poco spirito innovatore degli italiani, e chi sa quel che sono oggi tra noi le scuole di diritto, di 1 economia e di architettura, costui non stupirà se il 2• Congresso di urbanistica, apertosi con magnifica pompa in Cam– pidoglio, non farà risorgere nonchè delle città, neppure delle bor– gatelle. * •• Taluni dei temi di ciascuna delle sezioni 111 cui il Congresso era stato diviso, dell'edilizia l'una, dell'urbanistica l'altra, erano così generali ed ampi, che a trattarli seriamente l'intonazione stes– sa del Congresso avrebbe dovuto divenire politica. Così, ad esempio, il 1° tema dell'Edilizia, che suonai,a : Quindici milioni di uuovi va11i perchè ogni italiano abbia almeno un va110di abitazione! A noi sembta che argomenti di quest'indole, formulati col pw1- to esclamativo in fondo, siano un elemento pericoloso nei con– gressi. Una petizione di principio generale come questa implica Ul}alunga ed intricata serie di concetti sociali, non vaghi, culturali– stici_ e sentimentalistici, bensì esatti, impegnativi, dimostrabili. E ci si deve chiedere se nella nostra Repubblica esistano oggi dei nuclei di studiosi preparati ad una disputa di questa ampiezza, se vi siano dei politici ed economisti e tecnici che possano congregarsi per trattare ordinatamente, e con qualche utilità, un tema così fatto. In realtà tutti coloro che scrissero memorie o tennero discor– si sul tema perchè interessati alla speculazione concreta, a costrui– re una più o meno ampia porziuncola di quei 15 milioni di vani - cioè la < gente del mestiere> - non potevano portare alcun contributo alla risoluzione pratica del problema, che nella sua am– piezza sfugge alla mentalità ed alle cognizioni del costruttore edi– le. L'unico che in realtà avrebbe potuto parlare in veste di com– petenza era il Ministro dei Lavori Pubblici, che tenne la _presi– denza del Congresso, che lo inaugurò e lo chiuse. Ed infatti l'on. Tupini parlò lungarrente, ma parlò con, tanta abilità da non la– sciare intendere ai congressisti nulJa di preciso sulle intenzioni go– vernative in merito allo sblocco degli affitti, atto politico fonda– mentale da cui dipende la formazione di un mercato edilizio capace di far realizzabili non solo gli invocati 15 milioni di vani, ma

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