Lo Stato Moderno - anno V - n.5-6 - 5-20 marzo 1948

128 LO STATO MODERNO tre contro le resistenze degli enti parastatali che raccolgono e nm- 11 in'str2no questi contributi; si trovano sopratutto ostacolate dalle ideologie politiche imperanti negli ambienti sindacali che sono gli arbitri della situazione: ideologie avverse, anche se non lo con [es– sano, alla propretà edilizia diffusa fra i consumatori. Perciò anche quei bei programmi così miti, così umanitari, così bene ispirati alla giustizia sociale, non hanno avuto nè potevano avere la pos– sibilità di concretarsi e di suscitare consensi di opinione pubblica per la loro attuazione. Tenace è ancora l'illusione tecnica: « poichè molto fu distrutto, è questa l'occasione di rifare tutto razionalmente, meglio e diverso da prima>; ma i fatti, che hanno una loro perentoria eloquenza, hanno dimostrato che non è vero che le molte distruzioni agevolino una ricostruzione radicalmente diversa dallo status ante. Se in un isolato di venti case ne son riJ11aste in piedi cinque, e l'isolato va radicalmente mutato nella rete stradale e nella destinazione, oc– corre, avanti di eseguire la ricostruzione, far sorgere cinque nuove case in altra località, per allogarvi quei cinquecento inquilini; ma distruggere un bene economico che ancora serve - quelle cinque case - è un lusso che, nelle nostre condizioni, non ci possiamo per– mettere. Non vi è stato, purtroppo, alcun piano regolatore nel lancio del– le bombe. Queste caddero a casaccio, e ora abbiamo tutti i quartieri compromessi, molte aree vuote e nOn utilizzabili, ~ioè dei capitali inerti; perciò il problema economico di u11 piano re– golatore, già grave in condizioni normali, è tragicamente aggravato dalle irregolari distruzioni. Di qui il timore che i piani urbanistici che si van facendo, e che per lo più sono tecnicamente ben stu– diati, debbano restare sulla carta per un pezzo. Quando forse avre– mo i mezzi economici per attuarti, fra molti decenni, ci si dovrà accorgere che, con le trasformazioni della tecnica e della vita so– ciale, quei piani sono invecchiati; e bisognerà rifarli. Anche la tecnica della prefabbricazione si è dimostrata illusoria: infatti essa si fondava sulla speranza di sostituire un'invenzione folgorante a quello che è il paziente processo di miglioramento cli una tecnica assai complessa e formata dal concorso delle tecniche di cento diverse produzioni. Molti dei tentativi e degli studi fatti saranno utilissimi, e sono suscettibili di applicazioni e di sviluppi; ma le novità rivoluzionarie, accuratamente studiate, coscienziosa– mente brevettate (e talora eran la scoperta dell'ombrello) si sono palesate quasi tutte non economiche o non tecniche; giochetti ca– rini, anche se costosi per gli inventori. Quelli che invece hanno costituito w1a realtà sempre presente ed efficacemente operante sono stati i principi o i sottintesi politici. Erano anch'essi intimamente contradditori - non è possibile vo– lere un'economia collettivistica insieme a quella privatistica; chie– dere tutto allo Stato, ma non dargli il risparmio; pretendere l'at– tività dell'iniziativa privata senza togliere i ceppi che l'imprigio– nano; e così via - : ma aP,punto per questo hanno esercitato egre– giamente la loro funzione negativa di chiudere il passo alle ideo– logie avverse, e quindi di non permettere che si iniziasse alcunchè di chi:iro, di concreto e soprattutto di continuativo. Promesse e realtà I vari Governi, divisi tra il desiderio di aiutare la ricostruzione, la preoccupazione della giustizia sociale, e le possibilità, o meglio le impossibilità dell'Erario, hanno fatto quel che poterono, cioè molte promesse e parecchie leggi. La legge del 26 ottobre 1940 assicurava che lo Stato avrebbe pensato a riparare gli immobili sinistrati; ma non faceva il conto del numero e della potenza delle bombe, <>- sei mesi dopo i primi e modesti bombardamenti il Genio Civile restò senza fiato. La stessa legge prometteva i11dennizzi al proprietario, riferiti ai costi del giugno 1940; ma, ch'io mi sappia, nessun proprietario vide mai una lira di quel risarcimento, che rappresenta un sessantesimo del costo attuale. Il decreto del 9 giugno 1945, chiamato dei senza tetto, e quello del 10 aprilè 1947, che lo sostituisce e lo amplia, stabiliscono con– tributi alle Qpere di riparazione, direttamente in capitale con rate annuali per trent'anni, o col concorso di un terzo all'ammorta– mento dei mutui; il tutto con una minuziosa casistica, nella quale si tien conto del patrimonio immobiliare del proprietario e del suo reddito. Per le riparazioni di poco entità, il soccorso è notevole: per quelle maggiori, e nel caso di proprietari abbienti, raggiunge, nella pratica applicazione, a malapena un quinto della spesa. Per le ricostruzioni i contributi sono alquanto minori; e nei Comuni meno sinistrati si limitano a un premio di « incoraggia– mento>, che in medio è cli 25 mila lire per vano, circa un tren– •tesimo della spesa; il che non incoraggia molto. Per le case popolari, costruite dagli appositi istituti, dagli enti pubblici e da cooperative aventi speciali caratteristiche, il Gover– no è assai più generoso: regala una metà del capitale occorrente e contribuisce col 3 % annuo all'ammortamento dei mutui che l'ente costruttore dovrà contrarre. La generosità però è pii, platonica che reale. Cli stanziamenti sono scarsi: otto miliardi annui, coi quali si finanziano a malapena 25.000 locali. Inoltre, poichè in pratica il regalo del Sd% viene ad essere condizionato al finanziamento del rimanente 50%, e quegli Istituti, tutti più o meno dissestati dal blocco degli affitti, non trovano credito neppure ipotecario, anche il regalo rimane per lo pii, sulla carta. L'istituto più importante, quel– lo di Milano, potè costruire in tutto, nel biennio '46-47, 9038 va– ni: cifra notevole, ma troppo inferiore al fabbisogno, che supera i centomila. Sull'attività costruttiva post-bellica in Italia mancano notizie at– tendibili: uniche fonti sono i progetti approvati dai maggiori Co– muni. Ma questi dati possono peccare per eccesso, perchè molti 1>rogetti son presentati senza che ne consegua la costruzione; e possono peccare per difetto, perchè mo!te case si fanno senza per– messo alcuno. Con induzione alquanto fantasiose, si può tuttavia immaginare che nel biennio si siano costruiti in Italia circa 300 mila vani, cioè 'un terzo di quanto occorre per migliorare lieve– mente il nostro indice di affollamento. E' evidente che le agevola– zioni statali 11011 ~0110 state sufficienti a superare tutte le altre diffi– coltà. Conseguenze del blocco La legge che invece funzionò a dovere fu quella sul blocco dei fitti. Il blocco si palesò per quel che era: un'imposta sul patrimonio dc: proprietari a favore di una quasi collettività, quella degli in– quilini: imposta che, se si misura col sacrificio del redJito eh~ oggi avrebbero i proprietari dal loro capitale valutato al t::t,~-> ,I~! J% e ai costi attuali di costruzione, dedotta una quota per lo stato d, usura del fabbricato, raggiunge i 300 mililrdi arumi. Ed è questa un'imposta la quale, unica eccezione forse, si paga realmente col patrimonio, non col reddito: poichè, rinunciando forzatamente alla manutenzione, i proprietari pagano col capitale, che in un congruo numero di anni sarà consunto. A Parigi, se non erro, si valuta che per questo fatto il patrimonio immobiliare sia già· ridotto a due terzi del suo valore. Il blocco degli affitti doveva servire, nelle intenzioni, a ridurre l'emissione di carta moneta: se non ci fosse stato, si disse, gli indici della contingenza sarebhero stati maggiori di 1/10 circa, e invece che al Piave degli 8oo miliardi saremmo a un Montello dei novecento miliardi. L'effetto reale però fu ben diverso: come avvertì l'Einaudi in un articolo sul «Corriere>, il potere di ac– quisto, lasciato libero dal basso livello forzoso di certe merci o servizi, si rovesciò su altri consumi, spingendone in su i prezzi. E dove soprattutto il blocco non agl a dovere fu proprio per quello scopo per cui era stato pensato. Doveva proteggere i meno abbienti, e invece una grossa minoranza di essi, appunto quelli che ebbero la sventura di perdere casa e arredi, se vollero riavere un tetto dovettero pagare una forte tassa d'ingresso e affitti vessatori: forse un sesto degli inquilini paga, o in affitto o in riparazioni o in manutenzione, dieci volte più che gli altri. Doveva impedire che i proprietari approfittassero della scarsità di locali per trarne lucri eccessivi, ed ecco in loro luogo la legione degli affittacamere suc– chiare il sangue a coloro che almeno una camera la vogliono ave– re, con affitti dalle 100 alle 250 mila lire all'anno. Gli altri, che un tetto lo hanno, e talora sovrabbondante, si guardano bene dal la– sciarlo o dal ridurlo: tanto, una camera in più costa come mezza ,igaretta al giorno. Tra i proprietari poi, il blocco ha causato le più strane spere– quazioni : chi aveva una casa in bella posizione, e ha avuto una

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