Lo Stato Moderno - anno IV - n.17 - 5 settembre 1947

LO STATO MODERNO 395 IL PROBLEMAECONOMI(:O DELL'ITALIA li problema fondamentale de!!o Stato italiano è oggi quel:o del reinserimento de:I'economia nazionale nella più ,•asta economia continenta!e delì'Europa, Nell'Ottocento, agli inizi della « rivoluzione industriale », l'Europa, essendo la so!a nel mondo a beneficiare del progresso tecnico, potè dis'.ocare le varie industrie nascenti con criterio' quasi esc:usivamente politico. Lo Stato più forte infatti era libero di crearsi la propria industria e sfruttar:a come un mo– nopo!io,quindi senza preoccuparsi di lotte di concorrenza nè all'interno nè ali'estero. I primi passi della rivoluzione indu– striale erano così lenti e misurati che le singo!e industrie po– tevano vivere coa:izzate per il fine di realizzare un prezzo tendenzialmente <li monopolio. Date queste caratteristiche de:1:·economia europea del– l'Ottocento, si può ben capire perchè l'Italia si rivolgesse, e giustamente, alla creazione di una propria industria. Il nuovo Statofece addirittura dei miracoli per raggiungere i1 suo scopo, mentre i paesi più agguerriti e più solidi primeggiavano ne:Ie affermazioni degj impianti produttivi. Non v'era altro da fare, per avere le industrie in Italia, che attaccarsi ai paesi più attivi e sovvenzionare le fabbriche nascenti con le entrate derivanti del privilegio naturale della economia agricola e mineraria de!la nazione. Tutto l'attivo delle esportazioni del Mezzogiorno e in partico:are de:la Si. ci:ia- sempre crescenti e beneficiate da un monopolio natu· raie nel mondo - fu messo a disposizione delle industrie che nascevano nel nord, a scapito, si capisce, del tenore di vita deEepopolazioni 16cali. Le tariffe doganali de: 1878, del 1887 fino a que:le del 1921 crearono un monopolio legale a bene– ficio dell'industria italiana la quale venne, così, appoggiata sul:e robuste spalle dell'esportazione di agrumi, di vini, di prodotti ortofruttico!i, di zolfo, d'asfalti, di lavoro dal Mez• zogiorno. L'economia nazionale dell'Italia, dunque, si resse ne:. l'Ottocento sui seguenti pilastri: da un lato l'evidente mono– polio europeo riservato alla nascente industria ne: continente; dall'a:tro il monopolio naturale de:Ia produzione agricola e mineraria nazionale che consentiva di vendere nel mondo a prezzi elevati, e quindi senza preoccupazioni di costo, i pro• dotti. Siamo d'accordo, una situazione piuttosto limitata e cir– coscritta, ben diversa da quella deg:i altri paesi europei ap• pogi;iati alla preferenza delle vendite ne! mondo dei prodotti industriali e alla faci!ità d'approvvigionamento delle materie prime; una situazione che si conteneva nel dominio del mer– catonazionale, quindi assai precaria e certamente molto debole. La rivo:uzione industriale iniziatasi lenta e incerta, però, non s'arrestò; quand'ebbe conso:idate le sue basi prese sicura e decisa la corsa. Le macchine divennero mostri miracolosi, le fabbriche s'ingigantirono, la produzione non accettò alcun freno di quantità, l'organizzazione commerciale conquistò il mondo a dispetto dei vecchi controlli d'un tempo. La « prima rivoluzione industriale • insomma, divenne la « seconda rivo– :uzione industriale », ed ebbe soprattutto nel:e immensità del continente americano le proprie affermazioni d'apoteosi. A differenza dell'Europa vincolata ai sistemi politici del ~tedio Evo, e quindi ali' esistenza di tanti Stati contrastanti, ne:l'America del Nord era stato possibile attuare in pieno i Principi scaturiti dalla rivoluzione francese. Sicchè nel:e im• mensità d'una terra ancora vergine, con un'organizzazione politica di assoluta :ibertà e un'organizzazione d'eguaglianza confederale, la tecnica della rivoluzione industriale potè lan• ciarsi a!le sue conquiste senza ostacoli nè indecisioni, dive• nendo ben presto la « seconda rivo:uzione industriale ». Lo sviluppo portent,oso dell'economia americana ebbe perciò ragione su:Ie lentezze e i compromessi degli europei. Dapprima fu il monopolio naturale del vecchio mondo che suW gli attacchi mortali de!la concorrenza: lo zolfo sici:iano prodotto a caro costo si trovò, infatti, a fare i conti con la concorrenza del metalloide americano; gli agrumi e i prodotti ortofrutticoli europei videro la minaccia del prodotto d'o:tre– oceano. Successivamente, anche quel monopolio riservato al:e industrie europee subi i tremendi attacchi sferrati dalla gran• diosità del:e fabbriche del Nuovo Mondo: contro i minuscoli impianti dei vari Stati europei chiusi da barriere doganali si scagliò la violenza concorrente del.e gigantesche organizza. zioni d'o:treoceano. Ai re di struttura medioeva:e degli Stati europei, e quindi de:Ia politica, si contrapposero f'e ameri• cani dell'economia! Oggi siamo in una nuova èra; non più le strettezze e i compromessi dell'Ottocento monopo:ista, ma una lotta aperta di concorrenza cui partecipa il mondo intero. Che vo:ete? l'Europa deve rinnovarsi; deve soprattutto adattarsi alla nuova situazione; deve avere la forza di saper cancellare i: passato dimostratosi superato e d'imboccare con coraggio le vie nuove. L'Europa deve comprendere finalmente che ormai i: mono– po:io dell'Ottocento è tramontato e che sarebbe addirittura fol:ia pretendere d'insistere per la conservazione del passato. La dis:ocazione territoriale essenzialmente paiiica del:e in· dustrie non è più consentita; ormai la concorrenza mondiale impone di fare bene i conti: un'industria che non sappia af• frontare la concorrenza mondiale oggi non può asso:utamente vivere. Nè si può dire che la protezione - comunque fatta o con barriere doganali, o con divieti, o con piani di impor– tazione ed esportazione - sia ancora va!ida per la difesa industriale; perchè è noto che una difesa siffatta, essendo la manifestazione d'un monopo:io lega:e, vige solo se v'è -una fonte di ricchezza alla qua!e attingere il tributo della pro– tezione. Oggi, noi sappiamo, :e entrate del monopolio natu– rale d'un tempo sono in via di decadenza e, quel che più conta, sappiamo che non vi sono più popo:azioni disposte a vivere in miseria per poter pagare il tributo della protezione. La nuova dislocazi<me territoriale de:le industrie europee oggi dev'essere esclusivamente eco,wmica. E così anche as– solutamente economica dev'essere la dimensione delle nuove imprese del continente. Bisogna guardare alle spese di tra– sporto de:Je materie prime e dei prodotti finiti; e quindi ri– vedere tutta la sistemazione portuale, ferroviaria e stradale de!l'Ottocento. Bisogna rendersi conto che so:o ;'impresa di grandi dimensioni e che realizzi in pieno l'organizzazione ra– zionale e moderna può vincere la conéorrenza mondiale. Alcuni paesi europei, già a contatto con l'economia ameri– cana, hanno compreso le nuove necessità della revisione del– l'organizzazione economica continentale e sono ormai sulla via della ragione. L'Inghilterra, ad esempio, sancendo la nota ,egg,e sullo SVt'luppo delle aree depresse ne! territorio britan– nico, ha dato prova di vo:er rivedere le soluzioni politiche adottate nell'Ottocento e di uniformarle a::e necessità dei tempi moderni. Ma non tutti i paesi del Vecchio Mondo mostrano ancora tale arrendevo:ezza. Specia:mente quelli legati a!le vecchie concezioni naziona:iste, e che speravano di vincere sulla con– correnza americana ergendosi al dominio militare de::'Europa, sono ancora indietro, illusi di conservare le posizioni' acquisite. No, sbagliano d. grosso codesti illusi: il monopolio dell'Otto– cento è finito per sempre, e perciò per essi non v'è più nuila da sperare per l'avvenire. La vittoria militare sulla quale

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