Lo Stato Moderno - anno IV - n.3 - 5 febbraio 1947

58 LO STATO MODERNO nel libero funzionamento di un appropriato regime di autono– mie Ioca:i... ». Con ciò era tracciata la direttiva de!la nuova politica italiana nei riguardi delle minoranze. Ed era una direttiva forse anche troppo ampia e generosa, pur nella sua brevità e genericità, per quell'accenno all'autonomia. Tale accenno, determinato dalla situazione del:a V-nHed'Aosta, significava che il Governo italiano assumeva la concessione di speciali autonomie come elemento ordinario della sua politica mino– ritaria. E se ciò era, in astratto, una ottima cosa e indice di una larghissima mentalità democratica, era invece politi– camente perico:oso e nocivo a!la stessa buona sistemazio– ne del prob:ema delle minoranze. Quella -affermazione, infatti, buttata là così, senza alcuna indicazione di forme e di limiti che ne determinassero la concreta portata, apriv-a le porte ad infinite discussioni, diatribe e polemiche con 1e minoranze, spinte a cercar di dare ali'autonomia la massima estensione possibile, anche in contrasto con i fondamentali e più indero– gabili interessi del:o Stato. La protezione delle minoranze è adeguatamente attuata, secondo la norma:e prassi internazionale dell'altro dopoguerra, con la garanzia della asso:ut,a uguaglianza giuridica di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro razza !ingua o reli– gione, del libero uso della lingua madre anche nelle re:azioni con le autorità, dell'insegnamento in tale 'lingua, del rispetto dei costumi e deI:e tr-ndizioni. L'autonomia è un di più, con– cessa dallo Stato o attribuita internazionalmente in pochi casi, per rispondere a:Je esigenze di situazioni particolarissime. Nel caso dell'Alto Adige, né l'importanza numerica del!a mino– ranza, né l'omogeneità della .popolazione complessiva della zona (o!tre 100 mila italiani contro al massimo 220 mila allogeni), né una soverchiante preponderanza economica della mino– ranz.1 richiedevano l'attribuzione di una autonomia nazionale, cioè del diritto del gruppo etnico tedesco considerato a sè, distinto da quello ita'.iano, di amministrarsi secondo norme speciali. Nel caso dcli'Alto A<lige, in particolar modo, dove esisteva un forte e organizzato movimento separatista diretto dall'estero, occorrev-a esser cauti nella questione dell'auto– nomia, perché era facile previsione che, fallendo la manovra separatista, la minoranza avrebbe cercato di riprendersi sul piano autonomista, portandovi que!lo spirito di osti:ità aI:o Stato e al gruppo naziona!e maggioritario che caratterizzava la lotta per la separazione. Parlare di autonomia insieme alle altre garanzie dei diritti delle minoranze era, a mio parere, nel caso del:' A!to Adige, decisamente un errore; se ne poteva parlare, o nel quadro di un generale assetto autonomistico dello Stato italiano, o in relazione a una evoluzione, nel senso della fiducia e de1la collaborazione, dei rapporti con la mi– noranza, ma non in linea di principio. Ma il fatto è che i reggitori dell'Ita!ia democratica vede– vano il problem~ delle minoranze in astratto e sotto l'angolo visua!e de!le difficoltà internazionali. Essi sapevano che dopo la politica fascista autoritaria e oppressi"8 bisognava seguire una politica diametra'.mente opposta di democratica libera– lità; e tale esigenza la sentivano, anche, nell'animo. M-a igno– ravano, o non apprezzavano sufficientemente, i termini con– creti della questione e la situazione locale. Di qui quell' er– rore di impostazione e a'itre deficienze, di natura esattamente opposta, ohe si possono rilevare nel trattamento della .que– stione altoatesina da parte italiana. Posto di fronte ad una questione di minoranze che aveva un aspetto interno, ma che andava assumendone anche uno nettamente internazionale, il Governo di Roma subito dopo la liberazione avrebbe dovuto avere una sola preoccupazione: decidere rapidamente i provvedimenti a favore della mino– ranza, ed attuarli -altrettanto rapidamente prima che si facesse sentire la pressione locale e internazionale, affermando ente- goricamente che più in là del limite segnato da ta!i provve– dimenti lo Stato non poteva andare e non sarebbe andato. Ad una presa di posizione chiara e tempestiva, e che natural– mente rispondesse alle giuste rivendicazioni del!a minoranza e rispettasse i principi del diritto internazionale, nessuno né all'interno né all'estero av.rebbe potuto obiettare alcunchè. Si sarebbero con ciò tagliate Je ali alle speculazioni del Volks– partei; si sarebbe data alla popolazione sudtirolese,- sensibile per educazione e temperamento al:e manifestazioni di autorità, una prova della nostra buona volontà ma nel contempo de'.la nostra fermezza; e i poco benevoli osservatori dell'A.M.G. non avrebbero avuto ragione di dubitare de:le nostre intenzioni e de:Ja nostra capacità di fronteggiare la situazione, sarebbero stati meno influenzabili dal partito separatista e forse non avrebbero tratto la conclusione che il prob:ema della convi– venza di un nucleo tedesco in Ita'.ia è insolubile. Quindi, non una dichiarazione generica era necessaria, ma una dichiarazione formale, specifica per l' A: to Adige, precisa e circostanziata, emanata dal Governo dopo che un Commissario avesse attentamente studiato sul posto la situa– zione e i problemi, notevolmente complessi; e a questa di– chiarozione avrebbe dovuto immediatamente seguire l'elabo– razione dei provvedimenti di legge relativi e la loro emana– zione. Ma ciò non avvenne. Non vi fu una dichiarazione del Governo, benchè insistentemente richiesta nel 1945 e nel 1946, ma solo sporadici comunicati della Presidenza del Consiglio o dichiarazioni di De Gasperi come Ministro deg:i Esteri o Presidente del Consiglio; non si ebbe la nomina di un Com– missario, anch'esso richiesto dagli ambienti politici leca:i, ma solamente, nel gennaio 1946, facendosi luogo alla sostituzione del prefetto di Bolzano, si diedero al nuovo nominato inca– richi e poteri speciali di de'.egato del Governo, caricandog:i sulle spal:e, oltre al peso di una amministrazione ordinaria in grande disordine, quel'lo della sistemazione dell; questione minoritaria. In conseguenza de:la mancanza di un serio esame del:a questione non vi furono direttive chiare e precise, e nei Ministeri si 'ammucchiarono sui singoli problemi memoria'li contrastanti fro i quali gli uffici, incompetenti de:le cose di lassù, non potevano raccapezzarsi. Su tutto sovrastò l'inerzia, la lentezza, la suffisance della burocrazia romana a rendere più difficlli cose già non facili in sè stesse. Intanto i mesi passavano, pochissime questioni erano av– viate a so'.uzione, il Volkspartei denunciava ai sudtiro!esi e a:J'estero la ma:afede italiana, l'aspetto internazionale del prob!ema aveva alternative di maggior o minore gravità: fin– ché a Parigi, nell'agost9- 1945, ormai risolta a no_strofavore la questione del confine, De Gasperi si lasciò prendere nel giro di negoziati diretti con l'Austria, favoriti e forse vo!uti da Bevin e da Byrnes, e ne risultò l'infelice accordo De G'<l– speri-Griiber del 5 settembre che ha portato su: piano inter– nazionale la sistemazione interna de:l'Alto Adige, che era nel nostro interesse, e anche neI:e nostre possibilità, di con– tenere sul piano interno. In sostanza i Governi dell'esarchia e del tripartito dimostrarono ne!la nostra questione la stessa inefficienza che caratterizzò la loro azione negli a!tri campi. Partiti da premesse generiche ampie, non le tradussero in provvedimenti concreti, non tennero conto de! fattore tempo che in questa, come in tante altre situazioni, era veramente essenziale. Ma per la verità, e anche per riconoscere al Governo le giuste attenuanti, gli ital>ianie le autorità locali non fecero prova più bril:ante. Sostanzia!mente convinto -della necessità di riconoscere a'.la minoranza una garanzia dei suoi vitali interessi e anche de:la inevitabilità deJ:'annullamento de!Ie opzioni (c'era natu– ralmente una minoranza nazionalista assai meno ben disposta verso ili allogeni e quindi più restia a fare concessioni>, il

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