Lo Stato Moderno - anno II - n.18 - 20 ottobre 1945
LO STATO MODEftNO senza premettere visioni organiche almeno delle dottrine più importanti. Le conoscenze filosofiche si sminuzzavano In piccoli dettagli provenienti dai vari autori, e ben di rado si riusciva a dare allo scolaro il modo di collegare fra loro le varie idee in un insieme sistematicamente ordinato. Questi difetti della riforma Gentile bisogna tenerli pre– senti nell'ideare il nuovo ordinamento scolastico italiano per l'istruzione classica, scientifica e magistrale. Occorre convin– cersi e persuadersi che gl'insegnamenti scientifici, in partico– lare la matematica e la filosofia, hanno un'importanza enorme sulla formazione intellettuale ed anche spirituale e morale dei ragazzi delle scuole secondarie. Che la filosofia deve dare idee generali e comprensive, anzichè perdersi in parti– colari o frazionarsi nell'esame di quello che hanno pensato i vari autori. Che la matematica necessita di molte ore di insegnamento per essere appresa, che le relative esercita– zioni vanno svolte prima sotto la guida del maestro, poi ripetute a casa; e che esse, come le interrogazioni, richiedono molto tempo da dedicarvi in classe. E' preferibile che l'insegnamento di fisica si riduca alle sole idee fondamentali, tralasciando teorie ed applicazioni pratiche più complesse (alcune delle quali sono ancora in attesa di definitivo assetto). Si potrebbero invece fare con qualche frequenza, - ove e quando i mezzi sperimenttli a disposizione e le capacità degli insegnanti lo consen. tano, - delle conferenze che diano idee generali sulle recenti teorie o scoperte e sulle loro applicazioni, senza che ciò costituisca aggravio del programma d'insegnamento e senza che formi oggetto di esame. Necessita che matematica e fisica abbiano insegnanti distinti e non soltanto nel liceo scientifico. Infine, in quest'ultimo, è indispensabile sopprj. mere gli argomenti di matematica che sono parte essenziale anche dei programmi universitari, poichè le idee che su essi si danno in un insegnamento secondario di solito non sono abbastanza rigorose e potrebbero finire per guastare l'abi– tudine al rigore del ragionamento deduttivo, che si può ben fare acquistare nei licei scientifici, e cosi pure nei classici, quando si abbia a disposizione un orario di insegnamento adeguato. Speriamo che la nuova Italia democratica trovi modo di dare alla scuola secondaria di cultura un ordinamento di– dattico veramente razionale, che contemperi le esigenze let– terarie e quelle scientifiche e che la nuova scuola riesca a formare cittadini coscienti dei propri compiti e capaci di adempierli con competenza ed onestà. SALVATORE CHERUBINO IL MITO "DELL'UOMO QUALUNQUE,, Vi sono dei momenti della vita in cui cl si sente e un uomo qualunque>, un uomo, semplicemente, come tutti gli altri. Sono momenti buoni, siamo sinceri: sono quelli in cui il ritratto ideale che ci si fa di se stessi, quell'illusione di es– sere importanti, di apparire a sè e agli altri in una certa perfezione di coerenza e in una certa posizione di vita, ca– dono, di fronte ad una situazione in cui non si vuole appa– rire, ma essere uomo. Sono i momenti dell'amore, di quella esaltazione intera in cui l'uomo si accompagna con la persona che ama, e sente che con lei si ripete una vicenda eterna, toccata per grazia anche a lui, e ,che sarebbe terribile dissi– pare in una posa qualsiasi; o i momenti del pericolo estremo, deciso dalla natura o scelto dalla coscienza, e in cui ogni finzione volontaria o involontaria si dilegua, perchè si sia solo quel se stessi che ci si sente quando la propria vita, il proprio corpo medesimo e tutta l'anima si rivelano d'un tratto la sola cosa che abbiamo, e che dobbiamo gettare tutta pura e sgombra d'ogni carico arbitrario, in una esperienza decisiva. Sono i momenti, questi, in cui si è < un uomo qua– lunque > di fronte alla oggettività di una grazia, o di una legge, o di una scelta. ' Ma c'è un mito dell' « uomo qualunque>, e questo di– venta allora una forma di indifferenza e di deliberata irre– sponsabilità: questo mito è una nuova posizione di sè; non una grazia, ma un'abdicazione risentita. Nel mito dell'< uomo qualunque > ci si afferma, in realtà, come qualcuno che non vuole prendere terra nel mondo delle relazioni storiche: qui < l'uomo qualunque~ non è un umile, devoto a fini essen– ziali, che sorpassano il dato di fatto delle classi e delle di– stinzioni, in un'attività creatrice, o in un sentimento grave di sottomissione a leggi eterne: I'< uomo qualunque > è l'egoista che decide di non far nulla per non accogliere l'obbligo di compromettersi in un giudizio che sia un'azione, per riser– varsi un diritto alla critica puramente disfattista, per rimanere nel generico. Allora l'aggettivo qualunque indica la genericità e non un atteggiamento e un valore individuali. L' <uomo qualunque > • quello indifferente alla sua classe e al suo ~.no. alla 9Ua ~~ria • ai u,i obblii}.ti di oooo!eta deci- sione. Dice di sè che è un uomo qualunque, per affermare dei diritti e per sottrarsi alle implicazioni più serie di un dovere sociale. Ci si pone e uomo qualunque » per instaurare una pro– pria libertà d'individuo all'infuori dell'apparente costrizione, che viene dagli impegni reciproci nati nell'associazione, nel gruppo, nella lotta dei partiti; e mentre si ripudiano questi impegni, si gridano i propri diritti, che non sono invero mai diritti dell' e uomo qualunque>, diritti naturali, ma diritti sto– rici, 'Corrispondenti a ciò che si dà nell'associazione e nel gruppo a cui si appartiene per l'innegabile socialità e comu– nicabilità che è implicita in ogni opera. L' e uomo qualunque> vorrebbe, in politica, un potere illimitato, e in realtà non lo esercita se non nell'arbitrio della sua parola e delle sue vel– leitarie pretese. E poichè queste parole e queste pretese re– stano insoddisfatte, I'< uomo qualunque> diviene indiffe– rente alla socialità. Ma lo era già prima di qualsiasi delu– sione: lo era perchè scambiava per realtà una sua illusione, un mito, una fantastica sua contrapposizione alla regola del gioco umano, che è sempre gioco di relazioni morali e poli– tiche. Questo mito è un momento patologico del rapporto politico. E' il mito per il quale si disprezza la politica come sordida, i partiti come associazioni a fini verbalistico e agi– tatorio, la lotta come inconcludente. A questo e uomo qua– lunque> se fosse sincero, si aprirebbero solo due soluzioni: quella dell'anacoreta, che è in realtà l'entrare in una società nuova, di terribili obbligazioni, quella delle anime pure di fronte a Dio; e quella del politico, ossia delle relazioni della giustizia umana, in cui ogni apparente determinismo e sordi– dezza si dissolve nella -responsabilità e nella scelta di concreti contributi individuali, nei quali ci si ritrova ancora sempli– cemente uomini, singolarmente uomini, ma come centri di relazioni storiche. Qui, l'impegno sociale di ogni atto è li· bertà; e i partiti e i gruppi a cui l'opera della vocazione indi– viduale necessariamente ci associa appaiono non sacrifici della propria lndifferent. lt'bertA,ma l'unico terreno 1u cuJ la libertà 4} ,eale.. pexi~. 41 azione. UMBEJl.'JIO SEGJIJ!
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