Spettacolo : Via Consolare - anno IV - N.s. - n. 3-4 - feb.-mar. 1943

Bozzetto di Ugo BIIHtler • • La Bohème • di Puccini cd u111ana ragione della inlllizione mecleilma. Il Fabbri pone J'accenLO sull'aucsa sociale del poeta, per' affermare che aspet· tarlo ,ignifìca preparargli un clima propizio, Ol5g1 che il teatro ha smarrito la sua concre~ezza. Qui è la sua prima asserzione gratuita (nel senso che è indimostrata), quando asse\'era che • il teatro perde concretezza ogni qual volta perde contatto con lo strato sociale che lo giustifica •, per rincalzare addirittura che • il teatro è, all'origine, come fatto, una questione di classe, o una polemica o una espressione di classe, sempre •. Poi la sua asserzione è temperata dal riconoscimento che per un siffauo teatro debba intendersi • una continua espressione teatrale intorno a quei determinati aspetti delle civiltà che si vivono storicamente •, mentre le • sporadiche • anche se eminenti perso11alità artistiche, contano meno. Comincia una confusione indiavolata, che è poi · una diluizione: ma di questo direm più innanzi. Ora ci preme di giungere al nodo delta tesi di Fabbri: che è questa: è la società a stabilire un teatro, e • la società che deve ~empre poter offrire al poeta un uomo sutfìcientemente vàlido •. Sono poi consuntivi di questa convinzione, gli altri punti della nota: che il teatro è oggi poeticamente nullo appunto per colpa della società, che per que. sto il teatro dovrebbe • crearsi 1a società che gli dèsse degli uomini atti a diventare personaggi •; che il problema a ogni modo non si risolve con originalità tecniche; finalmente che il Teatro deve • prOpor$i delle intenzioni•. quella sopratutto di formarsi in platea un uomo che poi rinascerà personagl(iO sul palco. Alla sua soluzione, con paradossale coraggio, Fabbri dà il nome di • un brutto teatro, ma importante•, espressione che, a leggerla gli idealisti ita Jiani. si sentirebbero morire. Dall'altro lato. c'è lòppolo. Egli centra il suo Teatro, dico meglio la sua poetica teatrale, sul d isso 1v i men t o dei personaggi. Riassumiamo, per chi non abbia seguito le polemiche scoppiate di poi. Egli ama solo un teatro in cui i personaggi cominciano a parlare ed agire • quando già 4 Fondazione Ruffilli -.Forlì sono dissolt' •. Devono essere, inoltre, • inumani e liberi dell'umano ovvio e attuale •. lòppolo nega che ci sia poesia se non • nelle creature e nelle siltlazioni nelle qual il normale è messo al bando•; e vede la storia del teatro come una storia di superamenti di .. \numanità •, attrave1so un vago passaggio dai .. primitivi • ai romantici e da questi agli astrattisti, come poi i s..uoi motivi si definiscono. Dalla socialità educativa di Fabbri all'individualismo evasionista di Iòppo1o c'è una certa distanza. Taluno ha osservato che neppure quello di Jòppolo è individualismo inte11dcnrlosi il suo evasionismo come un esilio dell'umanità, una col1euiva migra• zione ve1so autentici universi, una diserzione dal mondo. Mentre il romantico ignorava la società, l'astrattista l'ha sofferta e se n'è liberato sol perchè se la ricrea, -più ,•era. Fabbri e Iòppolo sono sulla stessa linea, per questo senso che rinnegano J'em• pirica realtà di ciò che meramente è. Ovvio pare al primo come al secondo il dato realista attuale. Ed è sul piano • del cosciente • che lòppolo vuole l'evasione e coscienza è il sottinteso di tutta la- polemica del1":lltro. Perciò emerge chiaro che a nessuno dei due possa muoversi, in generale, l'accusa di ignorare le conquiste - ormai ar. chiviate, ma non per questo meno efficienti - dell'estetica contemporanea. Entrambi intendono, al di là dcli' incauta e-spre-sione verbale. al sentimento-espres- ~ione che il teatro realizza. Ma entrambi. questo innegabilmente, a un certo punto del programma cadono in un equivoco, che l'irritata polemica di critici autorevoli e la enfatici pseudoironia di critici ottusi. han impedito di chiarire pacatamente. A proposito di Diego Fabbri, anzitutto. sia inteso che noi non vogliamo riferire il discòrso ad una discussione dei ,uoi postulati politici. Al critico interessa intendere e non combattere. Diamo per ammesso rhe il teatro sia un fatto di classe come espressione o polemica di classe, e un dato sociale. per non andar più lontano, è lecito di concludere che il nostro teatro non ha poeta e in generale un teatro non può averio, quando 1~ società non ha uomini1 E non può essere il dramma proprio oramma di questa crisi spaventosa, la man - e a n z a d e I p e r s o n a g g i o , ossia delI 1101110? Non ci può essere il dramma, sociale, della vacuità di una Società? Necessaria ~ la in1uiz1one lirica di questo aramma, sfa es30 una oageclia di pieni o di vuoti, uua elefantiasi di 1deah o un deserto di motivi mor.Ìli. .E infatti, Fabbri ha scritto • Paludi •, che è la c.c1.tarsidi un uomo verso il riscatto, attraverso uno liqualliclo vuoto. E' che, come si diceva più sopra, Fabbri cade in 1111 equivoco, quello tradizionale degli esteti socialisti, per dirla approssimativamente. Rileva giustamente i motivi sociali che preesistono nell'uomo ciuadino (ossia storico) all'uomo poeta (ossia assoluto); ma pretende poi ingiustamente che essi molivi sociali debbano accompagnare J"auo creativo e finalizzarlo. Così si finisce ad un'arte II meretrix • dcll'ecclesla sociale; senza contare che Fabbri contorce così bizzan a mente la sua tesi da sospingere logicamente a conclusioni del genere: che per lut la società è creata per il teatro, la morale per l'arte - visto che la sua polemica mira al conseguimento non dell"uomo, ma del personaggio. Il paradosso è evidente. lòppolo non si pone su questo terreno pericoloso. E' più ingenuo, meno critico, doè meno consapevole di rapporti, e il suo problema è l'arte scenica. A suo modo, avverte 11n'esigen1.a cli storicità, dove parla di superamenti che lnollre riferisce a nuclei temporalmente determinati (noi), e che asserisce come conquista non rinnegabile. Ma, esteticamente, si i.rnpiglia in un equivoco ancor più paradossale. Prima di tutto, ci dà il sospetto cli una ingenuità della sua tesi, che si intravede sorta da una urgente constatazione storica, che essendo tutta l'arte contemporanea metafisica, debba essere il teatro astratto. D'accordo, è sospetto non do. cumentabUe, o forse documentabile attraverso fo:-iti indirette, ma qui non lo diamo che come personale intuito. Comunque, se la sua tesi si pone come una rivelazione pretensiosa di universalità, ossia come un atteggiamento critico - già lo scrivemmo - siamo costretti a notare che si tratta di una scoperta annosa. E a che ci vale, e come è concepibile vera, una posizione tritica ormai trentennale che, se fossimo costretti a far nomi, ci riconqurrebbe all'ossessione della infrenabile influenza francese su tutta l'arte nostra di ieri e di oggi? Se invece è un atto di fede del poeta Jòppolo, e di cento poeti come 1ui, allora sl, allora ci sentiamo di accertare anche questa tesi, pur che la poesia le ahbia serbata la fraganza non dell'attualità, ma dell'eternità, anche relativa. Insomma, è intuitivo persino che. là dove la teorica del Fabbri è intrinsecamente atteggiata a un moto colleuivo, e diremmo didascalico nel senso migliore. quella del Iòppolo è solo l'espressione prosastica di una sua libera e individuate visione della vita, come tale incomunicabile sul piano delle mediazioni logiche. ANTONIGOHIRELLI la foto del Balletto Meccanico pubblicata nel numero 2 è di KURT SCHMIDT e non di luigi Veronesi, come erroneamente indicava la didascalia.

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