Spetttacolo : Via Consolare - anno IV - N.s. - n. 2 - gennaio 1943

• Ull R IUGGJ,VAMO un vecchio numero di •Spettacolo•• in cui il Redattore auspicava - a proposito di una certa abitudine del Teatroguf di Milano - che presto sparissero del tullo dalle compagini lcatrali universitarie, gli clementi filodrammatici. E, pochi giorni fa, in occasione del Ventennale del fascismo, scorrevamo i molti richianU ai Tcatriguf come ad una delJe più significative espressioni del contributo che il fascismo ha dato all'arte italiana. Ci venne così necessario di 11otare qualche nostra idea generale sui Teatriguf. Sono di qucsli giorni, del resto, le polemiche per una revisione dell'organizzazione universitaria fascista, e il discorso potrebbe comprendere appunto questo nostro. li Teatrogruf, per le sue esigenze collcllive di lavoro, è senza dubbio - sul piano artistico - il più efficace banco di prova della sapienza organatrice di un potere politico. Naturalmente, prima di domandarci se l'attuale fisionomia dei Teatriguf sia soddisfacente e prima di definire in che senso debba esserlo, occorre rifarsi ad una definizione dei compiti che si vogliono affidare ai Teatriguf medesimi. Sul piano pratico, un Teatroguf, composto di uomini, dii sfogo alle personali vedute e alle personali ambizioni degli uomini che lo compongono. (Questo enunciaw, in veriuì, non implica nessuna svaluLazione morale, poichè è ben chiaro che gli uomini dei Teatrigu( possono essere buoni o malvagi come tutti gli ahri). Più liricamente, si potrebbe affermare che il Tcatroguf è il trampolino di lancio per quei giovani il cui temperamento e 1a cui preparazione merilano questo lancio. Per giungere perfino ad un accorto parallelo tra questi tempi a",·enturati e gli ahri in cui un giovane doveva invecchiare per essere preso sul scrio e aiutato. Sul piano ideale, però - e non è scandaloso che esso ci interessi di più - il Teatroguf ha in assoluto un valore storico• c u I tu r a I e . Come il Partito è sorto per reazione al pseudomarxismo nostrano, così i Teatriguf sono sorti per reazione alla fiorita degli • abili • commediografi di casa. La c u I tu r a e il di si n te resse hanno trovato nei teatrini universilari un rifu· gio confortante. Si tranava di difendere urgentemente la più elementare grammatica de11o spirito, che i nuovi e più geniali Bernstein della scena italiana vituperavano e vituperano implacabil• mente. Purtroppo, si è subito avvertito che i Teatriguf avevano intrisec.,mente due possihilità di dirollamento. Una è costituita dall'individualismo romantico di alcuni giovani, che ritengono in buona fede di possedere la ricetta universale della crisi teatrale ed eziandio di altre crisi. L, seconda, forse più grave, dalla coincidenza con il vecchio movimento del Bragaglia. Diciamo, coincidenza perchè, a malgrado della differenza di date, la novità da noi restava e resta Bragaglia. E i Teatriguf si sono tuffati sullo sperimentalismo oon la beata illusione di scoprire nuovi mondi, con novità che davano si e nò fremiti all'epoca di Mallarmè e di An• toine. Il candore stava non tanto nel ripetere gli esperimenti - che sarebbe stato un modo di farceli conoscere, come di un vecchio film western in uno sperduto paese - ma nel presentarli come piccanti originalità. La critica, compiacente, fingeva perfino <li scandalizzarsi, mentre il pubblico simulava selvaggiamente di capire. Tutto perchè non abbiamo spiegato che cosa mai si fa. -ccva, che non c'era niente da strabuzzar gli occhi, si faceva cosi, per una retrospettiva da Wagner a Stanislawski, visto che per tutti Prampolini resta un matto, simpatico forse ma matto. Che tipo. ... t chiaro, invece, che la funzione di cultura e di disinteresse cht è la sola concepibile per i Teatriguf, non può coincidere con l'esibizionismo dei geniali Bakùnin del teatro, o con il caleidoscopio delle polverose novità sensazionali. Col solo risultato, purtroppo, che di sensazionale non rimane che la serietà, genere più caro e costoso dello stesso pane quotidiano. Proprio di una disinter~ala cultura, e non erudizione e non bravura, è il lavoro profondo, d u r o, vasto. Un lavoro intimo, che si fa esteriore solo per farsi edticativo, segno di un costume, anzi di uno stile del popolo. Ma che se si fa esteriore - e a teatro è indispensabile - deve rinunciare ad estrosi isterismi, e rivolgersi a strati sempre più vasti e profondi appunto, con un impegno appunto sempre più duro. Ci pare evidente che questi obiettivi non possono conseguirsi ·se non con una costruzione organizzativa molto solida. Qui ci FondazioneRuffilli- Forlì accostiamo al dettaglio che non è un ridursi alla cronaca, ma piuttosto un illuminare e approfondire la storia. E quando ci accostiamo al dettaglio, emerge una prima necessità: distinguere, nel Teatroguf, i compiti, degli elementi che lo compongono. Si vuol parlare dei tecnici, dei registi, degli attori. Cade a questo proposito, il rilievo che faceva quel camerata al Teatroguf di Milano; ma più ancora a proposito viene il parallelo con l'Acca• demia d"Arte Drammatica. Quando si parla di Teatroguf ci si dimentica volentieri dell'Accademia, anzi si discute come se vera mcnLc l'Accademia agisse dopo il Teatroguf, in un'altra sfera. I Teatriguf non integrano e non preparano il lavoro dell 'Accademia se non contingentemente. L'Accademia ha una funzione tecnica, rivolta agli elementi discenti, è una scuola in cui si educano degli allievi. Il Teatroguf è una Accademia senza maestri e senza allievi, una autodidattica la cui funzione educativa è indirizzata a terzi elementi: al pubblico; o, ancora più ol>iet• ti,vamente, al tealro in sè, all'ane drammatica come misura pole• mica di una posizione spirituale. E allora, sono fuori posto l'in• dignazione e l'ottativo del redattore di • Spettacolo •. A noi pare che la presenza di elementi filodrammatici tra gli attori non pre• cipiti i Teatriguf nel disonore. Essa vale piuttosto a richiamare l'attenzione della critica sull'elemento attore, che nel teatro - anche in un teatro di cultura, che accentua il valore del regista - è fondamemale ed inderogabile. Anzi, appunto il valore del regista illumina il problema degli allori. Al difello che ai Teatri• guf deriva dal cl i I e t t a n ti s mo dei suoi quadri (che a noi è sempre parso difello gravissimo) può parzialmente derogarsi con un inquadramento disciplinare ferreo. Al quale non può imporrnre che gli attori siano universitari o ex-filodrammatici. Al con. trario, può darsi che il temperamento degli ex-filodrammatici risulti più genuino, meno snobistico, anche praticamente pili libero. L'attore universitario, salvo alcune eccezioni, porta al Tea• lraguf una borghese frigidità per l'arte, un esteriore entusiasmo a sfondo esibizionistico, un impegno provvisori o ed effimero, che offendono l'arte. Chi dà al Teatroguf un'impronta decisa, una fisionomia culturale e disinteressata - nel senso assoluto dei termini - infine, un programma unitario e polemico, sono i registri. Son questi, dunque, che necessariamente devono essere inquadrati nei gruppi universitari. essere goliardi e prima cli tutto esserlo nel significato spirituale del termine, non come una qualifica indistinta che si dia ad una tessera e a quattro esami. Gli attori, no; gli attori, siano universitari o ex-filodramatici o professionisti, son tutti su un piano esclusivamente artistico, un fatto di interpretazione e non un allo di impostazione. Forse, per l'educazione culturale di masse future teatrali, non è un male che gli interpreti dei Teatriguf siano proletari o piccoloborghe~i senza titoli accademici. che apprendano dalJ'entusiasmo meditato dei registi universitari, l'esigenza della meditazione e dell'entusiasmo che si documenta. (Con queste premesse, faremo nostra la proposta di cui si leggeva, di affidare le compagnie • minime • ai giovani registi). Meglio, a ogni modo, genLe semplice che ama il teatro come una vita. che ragazzi troppo spessq inclinati ad una mondana avventura con la signorina Talla. Ora, il discorso che si è fallo, potrebbe apparire severo, e forse lo è, magari come una incosciente vendeua di chi, per un certo periodo, ha lavorato • sugli • attori di un Teatroguf e affelluosamente li ha conosciuti. Ma, del resto, quel che più ci interessa è la missione dei Teatriguf. Ne abbiamo indicata l'essenza. Esperimenti, certo, ma a1ien.i dal sensazionale, dal genialoide; piuttosto esperienze da laboratorio, lente, radicate. Ci si accuserà di pedan• teria, di voler ridurre l'arte a un concettino da pandellisti tedeschi; e invece no. Invece, noi pensiamo che proprio i Teatrigul debbano richiamare le genti del Teatro alla concezione dell'arte che le generazioni nuove banno maturato, sull'eredità di quelle passate. Arte: prima un entusiasmo, poi un lavoro aspro, scientifico, paziente. Teatro: arte corale, quindi più aspra, pili scienti• fica, più paziente. E la brava gente delle poltrone e dei palcheuini rossi co m.incerà a intendere che siamo anche noi dei lavoratori; che non rinunciamo alle mani dure per le fresche menti nè alle fresche menti per le mani dure. Che i libri, insomma, ci servono a capire e soffrire e amare di più la vita; non a sottrarcene, in una assurda torrcttina d'avorio. 'ANTONIO GHIRELLI 51

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==