CREDO non esista discussione più angusta di quella che si può fare sul teatro indipendentemente dall' arte e dalla poesia. Quale maggiore pena di quella che oggi si prova nell'aprire una qualunque rivista teatrale nello da Messina che Limitano la universalità di certi rossi o di certi verdi ciel qnadro stesso. oi sentiamo purtroppo che quel rosso e quel verde sono falli umani privati mentre sentiamo che i rossi e i gialli cli un e nel dovere imprescindibilmente notare che chi scrive sul teatro ritorn"à sempre sugli aridi argomenti, i quali in genere si riducono alla domanda se la regia debba ,_· NOTA_*. Cezanne o di un Picasso sono rossi e gialli ciel rnon• do senza limitaziooe alcuna. Così nel teatro doavere una prevalenza sul testo e se la rappresentazione debba essere anteposta alla parola o viceversa? E' questo il maggior segno di aridità alimentata continuamente da critici poco fantasiosi o da autori che da anni continuano a vivacchiare su qualche lavoro sorto più da aridi conati culturali che da vera natura di creatore teatrale. Risultato di tutto ciò una nebulosa circostanziata incertezza ragionante scambiata per profondità. Si. Pena per noi. Pena, poichè sempre, sia in critica come in creazione, noi siamo quelli che abbiamo avuto un sacro rispetto pieno di pudori verso il teatro e non abbiamo mai voluto parlarne in modo particolare poichè abbiamo avuto il buon gusto di considerare come un sottinteso che se ne dovesse parlare e se ne potesse non parlare come della pura poesia. E ciò perchè sappiano perfettamente come chi crea teatro raggiunge nell'atto del creare quel perfetto equilibrio tra i vari elementi che il teatro costituiscono per cui la parola diventa scena e rappresentazione e la scena e la rappresentazione diventano parola. Al contrario di noi hanno invece agito coloro che volendo al teatro attribuire la sola qualità di testo si sono cònvulsamente dibattuti nella polemica tulla a scapito del teatro che ha finito giustamente con l' essere guardato in Italia con ironia da quegli artisti che essendo espertis· simi in argomenti estetici si sono accorti della povertà poetica di chi il teatro rappresentava o credeva di rappresentare e hanno finito col collocarlo tra le manifestazioni inferiori, commentendo sempre il grave errore di logica di confondere il cauivo rappresentante cli una fede con la fede stessa. Stabilita la necessaria ampiezza di premesse che l' ar• go mento comporterebbe è chiaro che non si può andare al di là della considerazione spicciola e appena accennata. Così noi proviamo una vera pena andando a teatro nel vedere laYori i quali hanno la paura della poesia e la cui ossatura si riduce ad una meccanicità cli scene geometrizzale come pena abbiamo cli quei lavori la cui tessitura è tutta composta cli poesia a vuoto : la stessa pena cbe si prova di fronte a un quadro tutto geometria o di fronte a un quadro tutto colore. E questo diciamo che è onestamente ovvio. Ma la considerazione maggiore che oggi noi facciamo è che una grande tristezza ci invade cli fronte a quei lavori che non sanno assolutamente evadere dal problema dei personaggi, dei tipi, dei caratteri, degli ambienti, la stessa tristezza che proviamo di fronte a un quadro e a una scultura tutti pervasi di psicologismo. Allora noi proviamo l.a stessa irritazione che proviamo di fronte agli occhi di un ritratto cli Anlo· FondazioneRuffilli- Forlì ve c' è la preoccupazione del carattere, del tipo, dell'ambiente c'è presenza di fatto privato umano e non presenza del mondo. Il discorso sarebbe lungo e lo faremo in tempo più disteso. Oggi abbiamo la candida onestà di dire, sempre senza polémica, che persino la buona metà cli Shakespeare è psicologismo e corrisponde per noi agli occhi dei ritratti di Antonello eia Messina o di Tiziano o cli Raffaello. Percbè non si dovrebbe parlare del teatro in questo modo? E proprio neeessario parlarne come cli una tecnica cli un dato mestiere? Mi sembra cbe molti in Italia siamo quelli che abbiamo accettato questo criterio e ciò è facile comprenderlo dagli articoli e dai lavori accolti da quelle stesse riviste che questa nota accolgono. Perchè dunque affermare che il noi è un . mio - o per lo meno un nos maiestatis? Non invitiamo però nessuno alla collaborazione. Le collaborazioni si sentono o non si sentono, questione cli appartenenze e categorie spirituali. BENIAMINO JOPPOLO P. PICASSO: Arlecchino 25
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