attoti ANTEFATTO Chi rilegga oggi, a una distanza resa grave dai fatti più che dagli anni, il " Tramonto del grande Attore ,, di Silvio d'Amico (1929), troverd certo alcune cose cambiate nel panorama del teatro italiano: il che potrebbe essere ascritto ad onore di tutti. Sono ad esempio lontani, e fedelmente riportati in quel libro, gli spettacoli copiati alla lettera da teatri di Parigi ; lievemente curiosi l'entusiasmo per Baty, la scoperta di Pitoef, Piscator, dei russi. Candido documento di un' epoca, è un libro che ci lascia una esatta visione di quella che fu l'alba del teatro italiano moderno, fra le trombette degli esibizionismi e l'incolta mediocrità con cui si viveva sulle spalle dei padri. Dal ritratto della Duse a quello di Sainati, sono stampe ottocentesche e in più punti risibili: specchio, sì, dell'epoca che ci ha lasciato un'eredità piena di ipoteche e tutto da rifare. Fu D'Amico, il primo, in nome del teatro universale e di una cultura che il teatro non poteva ignorare, a dar torto al " mattatore ,, , a far pollice verso a quest' ultimo gladiatore malaticcio. Il problema degli attori fu da allora, e rimane, il più pressante,· sopratutto nei riguardi dell'avvento della regìa, la quale, sorta anche qui per una certa tardiva improvvisazione, si trovò il più delle volte impreparata a fronteggiare gli eventi e a imporre una disciplina. Bragaglia, preoccupato del repertorio e dei problemi pratici e teorici del palcoscenico, si disinteressò del problema, e, se è certo che il teatro è il risultato di una moltiplicazione più o meno accorta di fattori fissi, ognuno dei quali è indispensabile a risolvere il problema, i risultat( di Bragaglia furono inferiori in linea assoluta a quelli che il repertorio e l'inconsueta genialità della messinscena avrebbero potuto consentire. Bragaglia in realtà mcmcava di attori coi quali poter imporre un genere di teatro. Il che si può applicare alla condizione del teatro odierno : come avrà osser• vato chi,mque si rechi con passabile frequenza a teatro, e sia costretto a sopportare la recitazione di attori che, posti di fronte a testi e personaggi poetici, o li banalizzano o si regolano come pesci f uor d'acqua. TRADIZIONE Qual' è, di massima, la situazione degli attori nell' odierno teatro drammatico ? Gli attori consumati, ad esempio, si comportano nei riguardi della regìa considerandola un,L passeggera calamità (e bisogna dire che non hanno sempre torto); in genere, guar• dano a ogni tentativo con diffidenza ed incredulità, con l'aria di re spodestati. Tanto che alcuni hanno creduto di stornare il pericolo improvvisandosi registi, 2 FondazioneRuffilli- Forlì .. e calcolando così su forze che essi erano lontani dall'avere. La regìa è oggi di moda. Ma essa, diciamolo francamente, resterà un nome vano finchè non avrà attori, strumenti scenici su cui fare. affidamento. Se i vecchi attori considerano la regìa un male da sopportare, i giovani, partiti da una iniziale, e qualche volta ostentata purezza, non arrivano ad affermare una propria idea della recitazione : sono tra• scinati nel gorgo degli affari, compagnie improvvisate, il cinema, la radio : vengono inghiottiti. C'è chi dà a questo fenomeno il rimedio dell'in• fallibilità della tradizione. (Corrado Pavolini, su Sce• nario, e, in pratica, con la Compagnia dell'Accademia). La Compagnia dell'Accademia _infatti, scioltasi lo scorso anno, è riapparsa quest'anno in vesti mino• rili, con tutrice Laura Adani, e repertorio della mas• sima accessibilità. Il che era necessario, sostiene Pavolini, per " scaf are ,, un pò questi ingenui giovanotti, a cui mancava soprattutto la pratica di scena, quei ferri del mestiere che la nostra bella tradizione sola possiede. Ci si chiede quale sia la tradizione invocata, oggi, per il teatro italiano. Se è vero che in Italia non esiste la tradizione letteraria della Comédie, nè quella spet• tacolare dei grandi maestri russi, nè la tradizione realistica degli attori nordici, l'unica tradizione che possiamo in un certo modo rinvenire è quella, vaga e turbolenta, dell' ingegnaccio, legata alla labilità degli istinti, la gelosa tradizione del sangue per cui attori si nasce, non quella della scuola per cui attori si diventa. Ma è opportuno far notare allora che proprio per liquidare questa annosa tradizione si è creata l'Acca• demia d'Arte Drammatica, e iniziative di vario ge• nere, fra cui non ultimi i teatriguf, sono so1·te in tutta Italia. Al contrario, proprio la defunta Compagnia dell'Accademia ci è parsa un esempio ideale, anche se qualche volta platonico, di teatro. Raramente, ci pare, e nonostante la freddezza della recitazione e l' ingenuità dei caratteri, ci fu dato vedere spettacoli che per ingegnosità, umiltà, cura e felice passione dell' arte potessero stare a pari con quelli di tale scomparsa Compagnia. Pure, appena raggiunto un certo affiatamento e un grado passabile di maturità, essa è stata sciolta. Si sono immesse nel complesso forze estranee, e, peggio, agli antipodi per educazione, ideali, sensibilità. Si è considerata la strada intrapresa con una Compagnia di giovani tropp"o ardua, impossibile ? Ma tutto ciò non ci interessa che per notare come, salve restando le intenzioni di Pavolini, non è certo così· che otterremo gli attori che dappertutto si sente auspicare. Ricaveremo attori consumati nella " vecchia maniera ,, da giovani che di null' altro avrebbero bi-- sogno che dell'ausilio di una disciplina, della severità dello studio e della coscienza. Mai come oggi il teatro appare ars longa e mai come oggi l' unica tradizione possibile è in libri, testi, canovacci remoti. Non, insomma, promiscuità, di attori, o false esperienze di girovaghi, ma forza di intenzioni, vocazione, preparazione nell' isolamento dell' arte.
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