Spettacolo : Via Consolare - anno III - n. 2-3 - mar.-apr. 1942

se ci si è divertiti, si può presta,r fede al vicino o al pezzo del gior• nale. La decisione tocca ad ognuno personalmente, e la critica non è ancora riuscita ad escogitare un formulario ad uso e consnmo di quelli fra gli · amatori colti, del teatro, cbe si degnino cli assistere ad una farsa. I reciproci riguardi, da un lato così rassicuranti, che esistono fra attori e spettatori, non non vengono più osservati, e si viene trascinati dai sentimenti più inattesi, senza poter mai per conse• guenza sapere se ci si è proprio comportati come persone di buona creanza che ridono e piangono al punto giusto. Uno spettatore co• scienzioso non può ammirare nella farsa la sottigliezza di caratteri pro• pria del dramma ; i personaggi si sono disegnati sulla traccia astratta del "generico ,, , e le situazioni, l'intreccio, le battute sono alla stessa misura. Allo stesso modo ci si può sentire sollevati al riso e abbandonati alla tristezza. eanche l' ironia ha efficacia nella farsa, che è tutta ingenuità; ma così illusoria del resto che difficilmente uno spet• latore colto vi si lascia afferrare. Qnest' ultimo, costretto a prender parte per suo conto, prova quasi piacere in questa partecipazione alla farsa, come se gli toccasse di arrischiare di divertirsi, ma d' altra parte invano egli cerca intorno a sè le prove di essersi realmente divertito. Ma allo spettatore intelligente e sprovveduto di pregiudizi tanto da potersi divertire, liberamente, e sieuro del fatto suo, così da sapere senza la testimonianza altrui se si è divertito o no, la farsa può esse• re di una speciale rilevanza, per il fatto che essa colpisce la sua dispo• sizione morale ora per un carattere astratto, ora per il formarsi di una realtà tangibile. E' ovvio che ve• nendo a teatro egli eviterà uµ'uni• ca predisposizione effettiva cui riportare tutte le impressioni, ma si sarà preparata una forma recettiva, curando di tenersi in uno stato spirituale che lungi dall' essere esclusivo, implichi tutte le possibilità. A questo Teatro Konigstiidter si dànuo farse a mio parere eccellenti ; opinione come è ovvio strettamente personale. Una compagnia che voglia FondazioneRuffilli- Forlì presentare una farsa con successo deve avere una speciale composizione: prima di tutto due o al massimo tre attori di talento, direi quasi dne geni creatori. Occorre che questi siano figli del capriccio, si inebriino di riso, danzino dalla gioia, anche se simili al reato degli uomini, fino a che il direttore non dia il segnale.· In quel momento si trasformano completamente: sin;iili ai nobili destrieri d' Arabia che nitriscono e sbuffano, le loro narici dilatate manifestano l'ardore che li spinge, l' ansia di slanciarsi e di abbandonarsi aUa foga. Più che attori che abbiano studiato la tecnica del riso sono lirici che si precipitano nei suoi abissi, ed è la sua potenza vulcanica che li lancia in scena. Perciò, senza minimamente calcolare quello che stanno per compiere si lasciano andare al momento e alla spontanea forza del riso ; hanno la forza di osare quel cbe gli altri non osano che in solitudine, o che i pazzi compiono in presenza di tutti, o il genio in nome del genio, con piena fiducia nel riso. Essi sanno che la loro pazza allegria non ha limiti, e che la riserva del comico è inesauribile, tanto che ne sono sorpresi ogni momento. Due geni di tal fatta in una farsa sono sufficienti, e tre è il numero massimo, dopo il quale · il meglio è nemico del bene, perchè l'azione allora si indebolisce come una persona che muore d' iperestenia. Al rin;ianente degli attori non si richiede talento, nè serve che ne abbiano e neanche occorre assumerli secondo i canoni della bellezza: bisogna invece radunarli: a caso. emmeno un'infermità è motivo di esclusione, costituendo tale anomalia un importante fattore di successo. Un individuo che camVecchie stampe di Cornelis Bega: nascita della farsa 13

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