Spettacolo : Via Consolare - anno III - n. 1 - dicembre 1941

CRONACHE DEL CINEMA La parabola del film comico, dai remoti Mac Sennet o addirittura dal- !' Arroseur Arrosé Il Mac11rio, aegue assai da vicin{I l'intima vena strrica del cinema: non solo la sua avventur<t più vistosa (quella per cui tNlvolta dinanzi ai classici ci sembra di dover commemorare il cinematografo) ma quante esperienze si riatt<tccano a un filo culturnle, alle suggestioni di una temperie epocale e letteraria. Restano esatti iu Chaplin tanto il peso della più antica tradizione di cinema farsesco, o del più sincero music-hall, quanto la postuma eleganza o magari retorica di un divertimento alle loro spalle : sul loro sempre magistrale apparato di mimica istintiva e di primordiale freschissima qu11lità di racconto e di montaggio. Se Chaplin, come l'esempio più illustre, resta necessariamente laterale, certo tutti i comici maggiori giuocano sulla propria situ1zione rispetto agli antecedenti ai loro • primitivi •, come sul primo dato d'intelligenza. Keaton, Semon, Lloyd restando in quell'orbita originaria traggono la loro crescente modernità (la loro necessità di trovare poesia al di fuori del limite di purezza iniziale, e cioè nell'unico modo che 'ci è consentito, un modo riflesso) dal metterla a frutto nello stesso momento in cui la vedono criticamente e la fanno patetica per un moto sentime~tale di nostalgia. Sono essi, perciò accanto al circo e al varietà, gli amori più forti di tutta una letteratura e più ancora, diremmo tse non conoscessimo l' interdipendenza .delle due cose), di certa nostra letterarietà quotidiana di simpatia e di gc;,sto. Siamo già vicini alla maggiore conferma del nostro accenno alla capacità del film comico di assorbire prontamente valori climatici e culturali; uno speciale Clair, molti americani, l' isolato e prestigioso esempio russo di Alexandrof. Non diversamente da. noi questo genere dì cinematografo si affida agli scrittori del Bertoldo, o a. Campanile e Zavattini, chiedendo loro appunto di ritrovare la stessa radice della. loro vis comica nel movimento assurdo, acrobatico e metafisico appreso da Petrolini. Si sa il successo di Macario. Nemmeno per noi il singolare valore dei suoi primi film deriv>1 esclusivamente dall'uso che di lui hanno fatto scenaristi e registi ; i quali, anzi,' molto FondazioneRuffilli- Forlì facilmente si adagiarono sulle sue risorse teatrali, poco badando alla. natura specifica del cinema; e spesso maneando allo stesso assunto spettacolare, dove cercavano d'imporre dal di fuori a Macario uno spirito a lui non congeniale. Vogliamo dire che i felici incontri li mediava per lo più l1t capacità del!' attore·; che tuttavia non poteva ovviamente supplire a troppo forti disparità del testo dalla sua natura o da quella del cinema. Rendiamo allora merito al ristretto DH\ sicuro repertorio di valori comici che ll1>1cnio porta con sè da anni per i palcoscenici d' Italia e che contiene già molto cinematografo ; che bisognava dunque convertire al più presto in tutto cinematografo e non cercare di sostituire con un altro repertorio di natura libresca. Meglio si aTvicinano, comunque, ali' assunto • Imputato alzatevi• e • Non me lo dire•; laddove • Il Pirata sono io• resta la tipica dimostr11zione dell'equivoco accennato. Ora Il Chiromante propone a Macario esempi diversi, un altro repertorio ancora. Oreste Biancoli ha pensato ali' ingenua comicità degli antenati ·del comico (e qui risulta il Macario migliore, finalmente ridotto da inadeguato fantasma surreale a semplice macchietta cordiale, popolare) ma ha pensato anche alla loro, meno ingenua, umanità; tanto meno ingenua se supponiamo un impossibile e tremendo paragone con Chaplin (e proprio: qui il film cro!la sotto il peso delle sue ambizioni). Se aggiungiamo che i mezzi tecnici e finanziari non erimo poi all' altezza di sostenerle; che le riprese vennero evidenteme1Jte condotte con scarsa coscienza della funzionalità dello sguardo della macchina; che la fotografia è forse la più ineguale e sciatta di questi ultimi tempi (una. malintesa ambizione • retrospettiva» anche qui?), che il montaggio ritma pochissimo il senso alternativamente farsesco e idillico della favola; ci sembra di avere scusato, ma poco l il regista. Restano a suo vantaggio elementi di materiale plastico (il Luna Park è bello e ere· dibile) e una schiera. ben condotta di ragazzi ; oltre a un dolcissimo e fllmiliare sottinteso paesistico di periferia torinese. L' avvio a un Macario Paula Wessely in "Heimk,, di Ucicky •umano• non ci sembra, alla fine, che debba raggiungere il fondo morto delle buone intenzioni, se ali' aggettivo si vorranno togliere troppe pretese e lasciare l'accezione più semplice e immediata. L' insistenza poi, sulla - tradizione di Sennet e di Linder sarà a.nch' essa giusta se si vorrà diffidare di ogni collegamento diretto; che si risolverebbe soltanto, come qui, in mere ripetizioni di vecchie trovate. Non ei è possibile, crediamolo, nessuna verginità iniziale ; in nessun campo. Ma in Macario bisognerà vedere il buon ragazzo dagli oech i a. palla che s' è entusiasmato di Petrolini comprendendolo a metà. Guai a. mettegli in mano libri troppo diflleili, guai a mettergli dinanzi uno specehio deformante. • Intennezzo • di Gregory Ratoff ehiude momentaneamente un ciclo di film ( • Delirio • e • Vigilia d'amore• alla testa) che giuocano sni cl1tssici temi del teatro borghese, nulla variando nei personaggi nè nelle situazioni, ma prodigiosamente riscattandosi per forti suggestioni di colore ambientale chiuso e denso, e per il prestigio innegabile della recitazione. Anche qui le seene migliori avvengono nel chiuso nel buio nel sòffoco delle stanze, eon la differente inferiorità che restano scene, pezzi staecati in un film girato e tllccontato assai male (raccordi da far girare il capo ; abuso di passaggi a calendario,

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