pur bruta - ho detto : società, classe, ceto, roba, insomma, da Menenio Agrippa e relativo apologo • senza di cui quelle parole - clima, forma, stile - sono appunto solamente parole, mancano di contenuto. E non voglio dire che il contenuto sia quella materia che ho chiamato, a scanso d' equivoci, bruta. ma é sacro• santamente vero che solo affondando in essa quelle parole ne ·trovano uno. Sperare di ritrovare l' uomo • quello nudo, di carne, che vive, che pensa • continuando a bazzicare per negozi di stoffe colorate e per sartorie di lusso è ostinazione da gente poco seria e. in fondo pochissimo intelligente. Noi tutti amiamo sentirci dire che siamo persone di " gusto ,, , ma non ci siamo forse mai chiesti con una spietata sincerità se siamo veramente intelligenti. Parlo di quella soda_ intelligenza che non si nasconde i vasti problemi e non ha paura di chiamarli col loro autentico nome: vita, morte, Dio, bontà, cattiveria ... (Il " gusto ,, ha evidentemente paura di queste parole, e quando non può proprio scansarle perchè sono il pane di ogni discorso, le sostituisce con altre che gli sembrano meno evidenti e perciò più vaghe: non vita, ma esistere ; non morte, ma sospensione ; non Dio, ma permanenza, finalità; non buono, ma nobile ; non cattivo, ma torbido ... Siamo già, come si vede, al nominalismo). Chiusa la digressione e la parentesi si può accet• tare questa prima conclusione : che non è ragionevole surrogare· una indigenza di contenuto con la tecnica, con le esercitazioni di stile, di taglio, di colore, di ritmo. Bisogna avere il coraggio di mettersi per tutt'altra strada, caparbiamente anche a costo di sacrificare, in apparenza, certi risultati di cultura. E non sottrarsi a nessuna responsabilità per giungere a una persuasione, a una chiarezza. Per esempio, si sente dire che un teatro può essere vivo anche senza un continuo apporto di opere vive, cioè attuali ; che un teatro vivo può essere fatto anche di esumazioni rappresentate con sensibilità nuova. Insomma, ali' attualità della creazione (il drammat~rgo) si potrebbe sostituire l'attualità della rappresentazione (il regista). E' la storia contemporanea, la storia del teatro dei nostri giorni. Ma ciò non giusti- . fica niente. Semmai è un documento di più che denuncia un periodo di crisi. E' in crisi non solamente il bel teatro (e sarebbe, in fondo, un male rimediabile) , ma la volontà stessa di fare qualunque cosa di immediatamente creativo, di bello come di meno bello (la regìa è una mediazione). 11 poeta cede le armi al regista. Non è il regista che gliele ha prese di mano, Si dice anche : le esumazioni sono degli esempi, delle esortazioni feconde. Verissimo; ma non suscitano nessun teatro. Vorrei dire che addormentano perchè spaventano. Perchè c'è, alla base, insormontabile, una incomunicabilità sostanziale tra quelle grandissime ope• re e la nostra sensibilità ; incomunicabilità che la rap• 10 FondazioneRuffilli- Forlì presentazione prentenderebbe di sanare. Un assurdo. Le esumazioni rimangono fatto di cultura. Con tutto il buono ed il cattivo che hanno i fatti di cultura. Occorre un teatro attuale. E questo teatro non c'è. Eppure si continuano a scrivere commedie. Brutte ? Anche, ma sopratutto inutili. · E' un teatro cieco, senza intenzioni, quello che si continua scrivere. • • • Un teatro senza intenzioni. Si potrebbe allora incominciare ad avere delle intenzioni e a proporle. E fin da questo momento è prevedibile una obiezione: che non è possibile prevedere un teatro futuro fondato su delle semplici intenzioni. Il che è vero solamente in parte. Cioè, criticamente, è vero in senso assoluto. Ma quel che ci interessa, adesso, è un problema molto più grossolano, se si vuole : fisiologico. Stabilire la possibilità di una fecondazione. Del resto chi agisce, agisce sempre con un criterio, tende cioè se~pre a prevedere qualcosa, a volerla e, possibilmente, ad attuarla più o meno bene. (Si sente dire che i giovani sono intelligentissimi, coltissimi, sensibilissimi, il che, natural mente, ci lusinga, ma non ci impedisce di riconoscere le nostri gravi limitatezze quando rileggiamo le nostre pagine scritte : la nostra intelligenza e la nostra sensibilità finiscono allora per irritarci, per farci disperare). lo dico, allora, che si possa e si debba auspicare " un brutto teatro, ma importante,,. Che si debba tentare un teatro intessuto, magari, di sole intenzioni : ma sia un teatro che propone qualcosa di assolutamente grave. Un teatro di enunciazioni religiose, teoretiche, moMli, sociali. Un teatro che sia un atto di volontà. Quel grande teatro che vorremmo scrivere poeticamente, cioè compiutamente, rassegnamoci a scriverlo intenzionalmente ; ma per amore di una labile compiutezza non sacrifichiamo una importante intenzione. La critica nella sua schematica attenzione dirà che a questi lavori manca lo stile, il ritmo, l' atmosfera : e sarà vero. E la critica sarà paga di aver detto questa fragile verità. Ritengo che questo brutto teatro, sgraziato, goffo, anchilosato, sproporzionato formerà, in platea, un uomo, un certo tipo di uomo che comincierà a parteggiare per qualcuno che, dal palco, gli propone dei problemi, dei sentimenti, delle passioni, delle rigenerazioni, delle purificazioni. Da questo incontro rudimentale • non perchè fatto di parole rudi o selvagge o primitive, ma di parole ancora poeticamente insufficenti • nascerà il personaggio nuovo a cui il nuovo poeta darà una parola nuova. (Ma di questo possiamo anche sorridere e dire ve• ramente che le profezie non sono affar nostro.) Oggi il nostro compito è costruire con la nostra pena quel " brutto teatro importante ,,. DIEGO FABBRI
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==