Il Socialismo - Anno III - n. 15 - 25 settembre 1904
IL SOCIALISMO 227 la formidabile organizzazione dei lavoratori, nei principali paesi, non sarebbe, certo, nè improbabile, nè, una volta scoppiato, facilmente domabile. Ma anche l'inverso non è da escludersi. Una grande guerra, specialmente nel caso di una vittoria di quegli Stati i quali hanno carattere più decisamente militaresco, personale e reazionario, potrebbe invece accrescere la forza delle classi e delle caste reazio– narie, e diminuire quella delle parti democratiche dei diversi paesi. E non si può esser sicuri che il movimento operaio sia oggi abbastanza forte per fare argine a tutto questo, ed allo scoppio della frenesia pa-. triottica e chauvinista. Noi ci .siamo, fino ad oggi, cullati in una illu– sione: quella della impossibilità di una guerra europea. E ciò, principalmente, in seguito al grande perfezionamento dei mezzi di offesa, al costo immenso di vite e di denaro che avrebbe oggi una guerra. Queste considerazioni influiscono anche sulla politica dei governi, che si temono l'un l'altro, e rendono improbabile, oggi, una guerra. Ma non ne escludono la possibilità. La guerra potrebbe, un giorno o l'altro, esser pro– vocata da cause interne di ciascuno Stato o da complicazioni esterne. La guerra franco-prussiana fu appunto voluta da Napoleone III e dal suo losco e1ttourage, che non si sentivano sicuri in casa. La stessa guerra russo-giapponese, per gli in– teressi di altri paesi, che si collegano a quelli dei belligeranti, potrebbe sempre aver ripercussioni e chiamare in causa altri Stati, oggi neutrali. Quello che è certo, è che la guerra 11011 sa– rebbe dichiarata dal proletariato, ma dalle classi dominanti o dalle cricche padrone dello Stato, per i propri interessi. Essa quindi solo di rimbalzo potrebbe avere degli effetti utili, non preveduti e non voluti dagli iniziatori, sul movimento della classe lavoratrice. E questa ne pagherebbe, in massima parte, le spese, in uomini cd in denaro. La guerra potrebbe rivolgersi in beneficio pel nostro movimento solamente attraverso i dolori pili aspri, e per la reazione che essa detcrmine• rebbe contro i responsabili. E da ciò si ricava un'altra osservazione, che riguarda la guerra come la pi,, parte dei mali del regime capitalistico. Essi creano la opposizione a questo, e accre– scono le nostre fila. Ma solo in quanto il movi– mento proletario rappresenta la negazione ciel ca– pitalismo e dei mali che ne derivano. Così della guerra: potrà giovarci, in quanto non saremo noi a farla nè a volerla. D'altra parte, non crediamo che varremmo ad impedirla, con le forze attuali del movimento operaio e socialista. Non la ha impedita il prole– tariato inglese, quando l'Inghilterra ha dichiarato la guerra di esterminio al Transvaal. r ella stessa Germania, in un periodo nonnale, il partito socia– lista, che è pure il più formidabilmente organizzato del mondo, sarebbe poca cosa per opporsi ad un atto della politica estera dell'impero ed alla terri– bile organizzazione burocratico•militaresca di questo. E lo stesso crediamo possa dirsi del proletariato degli altri paesi. Solo in un secondo momento, quando la guerra avesse esercitato tutti i sùoi effetti terribili, quando la miseria e la strage aves– sero esasperato gli animi, quando le forze militari fossero impegnate al confine, potrebbe un movi– mento rivoluzionario riceverne alimento e scoppiare irresistibile. Il proletariato, dunque, non può volere una grande guerra internazionale, non p4ò certo asso– ciarsi a coloro i quali intendessero provocarla. Ma esso deve rinunziare alla illusione della impossibi– lità di una guerra europea e della propria capacità di impt,iirla. Esso può e deve fare una cosa sola: esser pronto a cavare da una guerra i maggiori bene– fizi possibili per la causa della rivoluzione. . . . Abbiamo finora considerata la guerra sempli– cemente dal punto di vista cli una possibile spinta ad un movimento rivoluzionario (nel senso storico della parola) del proletariato internazionale. Altre considerazioni si impongono, e sono queste che quasi esclusivamente varrebbero, trat– tandosi di contese limitate ad alcuni Stati, specie se dei minori, le quali potrebbero bensì dare ori– gine a movimenti insurrezionali, la cui conseguenza potrebbe anche essere la democratizzazione della forma di un dato governo o una pili forte influenza su cli esso della classe lavoratrice, ma non potreb– bero giammai essere causa della grande rivolu– zione proletaria. Alle guerre nazionali, intese a ricomporre ad unità di nazione le e< membra sparte » di un dato paese, non può, di regola, mancare la simpatia del movimento socialista. È solo, infatti, in queste unità organiche che può, quasi sempre, svolgersi sana e rigogliosa la vita economica e politica, e che, quindi, può aver forte sviluppo il movimento socialista. Ma l'èra delle guerre nazionali è passata, e, quand'anche in qual– che caso la lotta avesse per base il principio na– zionale, non sarebbe questa l'unica considerazione a cui dovrebbe ispirarsi il movimento socialista, per determinare l'atteggiamento suo. Così la guerra del 1859, in Italia, diede occa– sione alla polemica fra il Marx e il Lassalle, con– trario l'uno, favorevole l'altro alla causa italiana. E, in quella occasione, il giudizio del l\![arx non era già occasionato da antipatia alla nazionalit?i italiana, ma dalla considerazione che la vittoria degli alleati avrebbe accresciuta la potenza napoleonica in Europa. Nel determinare la nostra condotta di fronte ad una guerra noi dobbiamo quindi tener conto della influenza che la vittoria dell'uno o dell'altro dei contendenti può esercitare sulla politica inter– nazionale. E' innegabile che il proletariato non potrebbe rimanere indifferente, ove da uno Stato aristocratico, militaristico e reazionario si tentasse la soppressione di un paese libero e l'annullamanto delle energie di esso, con la rovina del movimento operaio, sia esso già in pieno sviluppo, sia che dia garanzie di svilupparsi.
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy