Il Socialismo - Anno III - n. 15 - 25 settembre 1904

IL SOCIALISMO è esistita una società divisa in classi, la vita delle classi inferiori è stata sempre sacrificata agl'interessi ed ai comodi delle classi superiori. Come se le fra– zioni diverse dei dominatori non si fossero sempre dilaniate fra loro, e non avessero sempre fatto dila– niare fra loro le schiere dei servi rispettivi! Come se oggi stesso lo czar delle Russie non inviasse, debitamente benedetti e raccomandati al ciclo, cen– tinaia di migliaia dei suoi sudditi a farsi scannare. Questo in guerra. E in pace? In pace la vita media dei poveri è, anche oggi, pili breve di quella dei ricchi, e la' mortalità maggiore. In pace, nelle officine, bene spesso le membra proletarie sono mar– -toriate e storpiate dagli ordegni metallici della pro– duzione. In pace, ogni tanto, la fame è fatta tacere con dosi di piombo. Dire sacra la vita umana è la pil, amara irri– sione, è la pili completa cecità al fatto. E, se la vita nostra non è sacra pei nostri nemici, perchè quella di questi signori dovrebbe esser rispt::ttata da noi? Questo sarebbe come disarmare innanzi al pugnale di un assassino. Cattiva tattica. Tutta questa roba, dunque, è sentimentalismo fiacco e vano, è il chiuder gli occhi alla realtà e non significa niente. Da un altro punto si è venuto, nei vari partiti nazionali socialisti, alla condanna della guerra. Ed è dalla opposizione al crescere delle spese militari, considerato come ttn aggravio fl11.a11ziarioa/La na– zione. Questa agitazione, specialmente in Italia, si è svolta, a parer nostro, da un punto di vista non perfettamente consono allo spirito del partito socia– lista. Della lotta contro le spese militari si è fatta una questione principalmente finanziaria. Ness~mo potrà negare, certo, l'influenza deleteria di questa specie di spese sui bilanci degli Stati contempora– nei. Ma vi sono tante altre partite della spesa egual– mente ingiustificabili, e che noi lasciamo relativa– mente in pace (interessi del debito pubblico, per esempio). E così è delle entrate dello Stato, in buona parte dei paesi estorte principalmente ai pill poveri. - La verità è che se i nostri sforzi in questo senso dovessero avere l'unico effetto del risparmio di pochi milioni all'anno - molti, rebus sic stanti.bus, è vano sperare - non avremmo davvero ragione di esser troppo soddisfatti .dell'opera nostra. La lotta al militarismo in tutte le sue estrinse– cazioni, e lo sforzo per negargli i mezzi di esistenza devono avere altra base. Essi devono fondarsi sul carattere innegabile di strumento di dominio interno, pili che di difesa esterna, che hanno gli eserciti, così come oggi sono composti ed ordinati. Lo sforzo nostro deve essere perchè le armi siano date al popolo, non ipnotizzato e separato dal mondo, nelle caserme, conscio dei suoi interessi di tutti i giorni, libero di sentire tutti i suoi affetti, di professare le sue idee. · E, posta così la questione, è evidente che lo scopo della nostra azione è spostato : non pili la condanna della guerra, e la diminuzione delle spese, ma la distruzione dell'attuale ordinamento mi– litare. * * • Dimostrata così la separazione fra l'antimilitari– smo e la questione della guerra, questa resta a ri- solversi per conto proprio. Fedeli alla scuola ma– terialistica del socialismo, dobbiamo tenerci lontani dai principi astratti, e risolvere la questione tenendo conto delle forze che operano nella nostra società, e che determinano le nostre idee. La questione va quindi formulata come segue: r) Le forze in con– trasto nella nostra società possono rendere inevita– bile la guerra? - 2) Può questa avere conseguenze utili per il proletariato? La prima questione è pleonastica, poichè la guerra l'abbiamo in atto, e nei paesi che sono in paCe abbiamo la preparazione alla guerra. Ed è perfettamente inutile domandarsi se esiste quell~ che è. Quello che è deve essere. Su questo non v, è dubbio. Resta, dibattuta, la seconda. Non si può negare che la forza, rivoluzionaria• mente impiegata, nell'interno dei vari paesi, abbia avuta larghissima parte nello sviluppo della società. La frase celebre del Marx è oramai divenuta un h10go comune. Ed egualmente è vano negare che rnolte guerre hanno avuto grandissimo effetto nello spingere al progresso. Questo è stato sempre rico– nosci11to dal Marx. Le guerre, egli ricorda nel primo volume del Capitale, sono state uno dei piè, efficaci mezzi di espansione del capitalismo. E nelle sue corrispondenze sulla guerra di Crimea, raccolte in un grosso volume sotto il titolo Tlte .Eastern Question, il 1V[arx si dimostra apertamente fautore della guerra, e rimprovera acerbamente gli Stati in guerra con la Russia di non sapere organizzare un movimento bellicoso forte e decisivo. E di altre guerre numerosissime deve la storia registrare gli effetti benefici. Così per quelle della Rivoluzione francese, così, in parte, per quelle na– poleoniche; così per le due grandi guerre degli Stati Uniti d'America. Così, certo, per le guerre della indipendenza d'Italia. Può, oggi, il proletariato ritenere, a priori, che una guerra sarebbe nociva ai suoi interessi, e deve esso quindi opporsi a questa con tutte le sue forze? Contro questo giudizio generale si sono dichiarati due fra i pili forti teorici contemporanei del socia– lismo. In Germania il Kautsky, ed in Italia Arturo Labrioia. Il Kautsky, in un suo lavoro recente, osserva che una guerra potrebbe essere il segnale della ri- voluzione proletaria. · A noi pare che bisogni esaminare con criteri diversi due diverse ipotesi: quella di una grande conflagrazione internazionale del mondo civile, la quale sola potrebbe essere l'origine di un movi– mento rivoluzionario del proletariato, e quella di una pili ristretta contesa fra gli Stati, specie di se– condaria importanza, la quale non potrebbe, certo, essere la causa occasionale di un mutamento nel– l'attuale ordinamento sociale. Quanto alla prima, il Kautsky la avanza solo come uno dei possibili modi dello scoppio della rivoluzione. Niente impedisce, certo, che questa possa esser determinata da cause di ordine diverso: una grave crisi economica generale, ad esempio. E dallo scoppio di una guerra europea non po– trebbe prevedersi con sicurezza il conseguente scop– pio di un movimento rivoluzionario. Questo, con

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