Il Socialismo - Anno III - n. 4 - 10 aprile 1904

IL SOCIALISMO essere raggiunti se 11011 con la rovina violenta di tutto l'ordinamento sociale esistente. >> Infine, sono sue quelle frasi che ogni socialista dovrebbe i11ci– den1 nella sua coscienza: « La forza è l'ostetrica. della società ! >> « La violenza è u11,agente cco1to- 11tico. )> E non si tralta già di quelle quattro righe che il cardinale di Talleyrand chiedeva per far appiccare un uomo. Tutta l'opera marxiana è im– bevuta del sacro fuoco della violenza, ruggente di collere proletarie, tesa come un arco da un possente spirito di rivolta futura. Le leggi della produzione capitalistica funzionano at1tomaticamente, gradual– mente, 11ecessariamente, ma l'origine della « accu– mulazione capitalistica» - chiave di v&lta e punto di partenza della successiva evoluzione - sta nella violenza esercitata da una classe a danno di una altra. Non si passa dal feudalismo al capitalismo, senza che la violenza abbia alterata la vecchia compagine sociale. Marx, studiando lo sviluppo capitalistico in In– ghilterra, enumera i casi di uso della violenza in questo trapasso, e sono: la dissoluzione dei seguiti principeschi e la trasformazione dei terreni arativi in pascoli, il furto d~i beni ecclesiastici, il furto delle proprietà private dei contadini indipendenti, la distribuzione della proprietà comunale, I' espul– sione dei contadini dalla terra, l'artificiale abbassa- 11"1cntodel livello dei salari, ottenuto coi famosi Statutes oj labourers. Sugli inizi del sistema capi– talistico - nota il Labriola - come, del resto, agli inizi cl' ogni sistema sociale, la violenza domina sovrana. Il momeuto eco,i'omico è uu atto di vio– lenza diventato 1tecessità. L' avvento del regime soecialistico non sfuggirà, dunque, a questa legge storica universale nel tempo e nello spazio conosciuto ; che è merito di l\liarx avere, non già scoperto, ma scientificamente dimo– strato: Onde, ben a ragione Arturo Labriola defi– nisce il marxismo carne « una grande filosofia della forza, una geniale teorica della violenza intel– ligente, come fattore del progresso sociale. » Qui, se lo spazio non ci attanagliasse il pensiero, vorremmo lumeggiare e approfondire alcuni punti di capitale importanza nel determinare la fisiologia della rivoluzione. Siamo invece costretti ad accen– nare velocissimamente. La rivoluzione socialistica consiste nella sostituzione della fabbrica cooperativa alla fabbrica capitalistica. Essa «avverrà» quando saranno rnaturi i tempi, cioè quando l'ordinamento capitalistico avrà raggiunto 11ultima fase evolutiva ed il proletariato - nella palestra delle organizza– :doni di mestiere - avrà conseguito la maturità necessaria alla gestione della cosa pubblica. E' dovere de1 partito socialista di affrettare, con ogni mezzo, quel giorno. Ma può darsi - anzi si dà - il caso che il partito socialista, in paesi politicamente arretrati, semifeudali, burocratici e poliziocratici come l'Italia, sia chiamato a compiere una funzione che non è specificatamente socialistica: a,...promuo– V'2re, cioè, una rivoluzione « politica)> (s'intende co.n largo contenuto di riforme sociali) per rove– sciare le attuali istituzioni monarchiche. Il partito socialista ha, quindi, nel momento attuale, il dovere di intensificare il suo carattere fieramente repubblicano. Su questo punto (molto_ opportunamente, a mio modo di vedere) insiste il Labriola, rompendo l'equivoco assai diffuso che << rivoluzionario )) e « intransigente i> sieno la stessa cosa. Noi dobbiamo quindi essere grati al giovane. e audace economista napoletano per la sincerità con la quale egli, rompendo ogni solidarietà spirituale cogli amici e cogli avversari, proclan1a certe verità che hannoi indubbiamente, savore di forte agrume, ma che servirannb come magnifico esercizio froebc– liano per questo slombato e Aaccido partito dei socialisti d'Italia. In tempi ·come i nostri, nei quali l'equivoco regna sovrano in politica, e ben pochi hanno intero il coraggio delle loro opinioni, un libro come questo è, sopratutto, un'opera buona. E Arturo Labriola avrebbe, ben a ragione, potuto incidere nel frontispizio di questo fiammante volurne spavaldo, la mite epigrafe di Montaignc: Ceci est "" livre de bo1t11c Joi. • ARTURO SALUCCI. IUVIS'l:A DEU,E IIIVISTE SOCIAUSTE Riviste Olandesi. La politica comunale in Inghilterra. ~el numero di gennaio e del m:lrzo della Nkuux Fijd I. R. V. D. Veer tralla della politica co,;\Unale in Inghilterra. L'autonomia comunale inglese. Più che in tutti gli altri paesi d'Europa, i sodalbli hanno in in– ghilterra rivolto la loro attivit.\ verso la vita comunale. Data la grande libertà di cui gode il comune inglese, il fatto non può de– stare meraviglia. Gli enti locali si sono sviluppati in Inghilterra qua!i senza intervento del potere centrale, spinti dai bisogni locali. Dal 1275 in poi, anno in cui furono gettate le basi della legislazione comunale inglese, furono date ben 650 leggi generali· e 11ualchc mi– gliaio di leggi speciali. Secondo l'uso inglese, vigente in ogni campo legislativo, non si pensò mai a codificare cd a mettere d'accordo tutte queste disposizioni, nessuna legge emanata è stata modificata od emendata in seguito, ma per la più piccola modificazione si ema– nava un Ad speciale, in modo che essi formano ora un vero labi– rinto, un'acco!ta inorganica di disposizioni, della quale ogni comune prende <1uello che gli abbisogna. Prima del 1835 non csistc\•a una legge unica per tullo il regno. Col /1'1,midpat Corp,raJUm Aci si stabilì allora che su richiesta della maggioranza degli abitanti una città od un paese poteva costituirsi con una Carta della corona come 1lfu11icipal corporaliou, costituzione che implica il diritto di aver un sigillo proprio, di ricevere beni di mano moria, di stare in giudizio e così via. La sorveglianza generale sopra questi enti costituiti è esercitala dal Locat Gov,r,wwll Board. La stessa legge del 1835 dà anche agli elettori comunali il diritto di eleggere un controllore, che possa verificare sempre la cassa e la contabilità del comune, indipendentemente dal Consiglio e dalla Giunl.a. Non esistono nel Regno Unito che solo 313 111unidpat l1flro,,ghs o Corporatùm.s, Fra essi ve ne erano di piccolissimi, con meno di 3 mila abitanti, mentre altre città di piu di 250 mila abitanti non hanno una propria Carta. Quale uso i Comuni hanno fatto della loro libertà. Della grande libcrt.\ lasciata loro dal governo centrale i comuni inglesi si sono valsi assumendo la gestione di molti servizi pubblici e facendosi imprenditori anche in molti rami di produzione, che nel continente vengono considerati come di assoluta spettanza dell'indu– stria privata. Non vi è grande citt!l che non abbia bagni e lavatoi comunali; vi sono in Inghilterra circa 300 biblioteche comunali, oltre le 53 che ne ha la sola Londra. Glascow, Bradford e parecchie altre hanno

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