Il Socialismo - Anno II - n. 24 - 10 febbraio 1904
IL SOCIALISMO ------------------------------------ ------- Secondo Marx, infatti, la compera e la vendita non creano dei valori e le spese di circolazione che pro– vengono dal sempliçe cangiamento delle forme del valore non entrano a formare il valore delle merci. i\i[a questo lavoro improtuttivo dovendo essere pagato - sia esso eseguito daW industriale o dal commerciante o da un salariato - tutte le spese ch'esso produce appartengono ai falsi costi della produzione capitalistica, che possono arricchire l'individuo, ma costituiscono una perdita per il capitale Sociale. Quindi sono ùnprodutlivi e non aggiungono alcun valore alla merce i costi di pura circolazione, ossia il lavoro impiegato nella trasformazione del capitale da merci in moneta e da moneta in merci - come imbal– laggio, assortimento, ccc. -, nella tenuta dei libri di commercio, -nell'accumulazione di merci speciali (oro e argento) fungenti da riserva. (L'usura della moneta deve essere rimpiazzata). Sono produttivi, invece, e possono considerarsi come prolungamento del processo di produzione creando alla loro volta valore e plusvalore, i costi necessari alla rea– lizzazione del valore delle merci, cioè il lavoro speso nella preparazione dei magazzini e nel collocamento delle merci, nel trasporto delle merci da un luogo all'altro per metterle a p•iit facile portata dei consumatori. Questa, la teoria marxista del valore in relazione al processo di circolazione del capitale, trattato da Marx nel 2° volume del Capitale. IL PROFITTO COMMERCIA LE. È su questa base teorica che Marx istituisce nel 3° libro l'analisi dei profitti commerciali. Al 'inizio il processo di circolazione, la compra e vendita delle merci, il loro trasporto, imballaggio, le spese di contabilità, ecc., erano fatte dall'industriale, poichè il processo di procluiione e circolazione trova– vasi unito nell'ofiìcina. Ma con lo sviluppo della produ– zione ·il capitale speso nel processo di circolazione ed i costi di circolazione guadagnano sempre più impor– tanza (in linea assoluta e non relativa), e l'industriale trovasi forzato a lasciare questo processo nelle mani dei commercianti; giacchè costoro, concentrando in minori aziende le operazioni commerciali, possono ri– durre le spese in capitale costante e variabile neces– sarie alla realizzazione del valore delle merci. Nasce così il profitto commerciaie, il quale da una parte è dovuto al plusvalore prodotto dal lavoro impiegato nei costi di circolazione indispensabili alla realizzazione del valore e che possono considerarsi come la prosecuzione del 1:)rocesso produttivo nel processo della circolazione - magazzini, trasporto, ecc. - e dall'altra è dovuto al fatto che l'industriale vende al commerciante ad uu prezzo minore del costo di produzione normale. A misura. che aumenta il capitale commerciale per rapporto al capitale industriale, diminuisce il saggio del profitto industriale, e il saggio medio del profitto gént– ra.le si riduce ancora cli più per l'aumento del capitale costante. I costi cli circolazione, infatti, non sono pos– sibili che per quanto l'impresa industriale è lucrativa, ciò che apparisce in questo fatto che i salari commcr- cia!i, a misura che divengono pil.1 importanti, sono generalmente pagati in parte con _un prelevamento sul profitto. 1 Contro questa teoria della circolazione e del valore, Arturo Labriola, Achille Loria, Giuffrida, il Croce ed al– tri insorsero sostenendo che il lavoro speso nella com– pra e vendita delle merci, imballaggio, contabilità, ecc. ossia nei costi cli pura circolazione, crea valore e plus– valore al pari cli quello impiegato nell'azienda indu– striale. Poichè, se il lavoro speso nel trasporto, nel magazzinaggio, ecc., crea valore e plusvalore, non c'è alcuna ragione che inibisca simile effetto produttivo ai costi di pura circolazione, essenèlo l'una cosa e l'altra indissolubilmente legate assieme. Se noi ci mettiamo sotto l'angolo visuale cli Marx, e constatiamo che il profitto commerciale appare sto– ricamente all'inizio dovuto allo scarto tra il valore delle merci sul mercato interno e il prezzo di compera del commerciante per il mercato internazionale, la tesi mar– xista ci appare corrispondente alla realtà sociale. Ma se noi constatiamo la complessità dei rapporti eco1.1omicii,ltervenuti con lo sviluppo storico nelle rela– zioni tra l'industria ed il commercio, e come ci sia una grande differenza di lavoro di circolazione secondo la qualità delle merci stesse ; se noi constatiamo che la vendita delle merci, p~r opra dei salariati nell'azienda commerciale, non è che la merce portata sino al com– pratore, e quindi alla consumazione, in ciò pc. fetta– mente analoga ali' operazione del trasporto, che crea valore e plusvalore; se J1oi ricordiamo che secondo il Marx il valore di scambio non è che un modo so– ciale particolare usato nel computo del lavoro impie– gato nella produzione. delle merci; noi possiamo benis– simo, sempre in base alla teoria niarxista, estendere la produzione del valore anche alla circolazione, e stabi– lire che il valore cli scambio cli una merce è dato dalla quantità di lavoro soct'almente uecessm~io alla sua Pro– duzione ed a metterla a diretto contatto col consumatore, la consumi questo direttamente come mezzo di consu– mazione personale, o la consumi, come mezzo di pro– duzione, nel processo produttivo industriale. I costi cli circolazione sociatnumte, dal punto di vista sociale, sarebbero dei falsi costi 1 )ei capitalisti, poichè non aumentando la quantità della merce, a misura che diminuiscono, determinano una maggiore quantità cli plusvalore sociale da ripartirsi a favore dei capitalisti. Ma il valore di scambio riflettendo il rapporto di una merce ad un'altra, dal punto di vista individuale, anche i costi di circolazione, e perciò il lavoro ivi im– piegato, possono considerarsi concorrenti alla produzione di valore e quindi cli plusvalore. Soltanto in Marx il plus– valore si riduce, perchè il salario commerciale rappre– senta un valore che è prelevato in parte dal profitto, mentre con la correzione o completamento della teoria marxista - facendo entrare nel valore anche il lavoro commerciale - il plusvalore sociale prodotto e quindi diviso tra i commercianti e gl' industriali è di una quan– tità minore, pcrchè dovuto ad una quantità di lavoro
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