Il Socialismo - Anno II - n. 17 - 25 ottobre 1903

IL SOCIALISMO 261 « storia scritta; un'epoca, che in Egitto risale almeno « a 2500 anni e forse a 5000, in Babilonia a 4000 e « forse a 6000 anni prima della nostra era. La legge « del valore ha quindi dominato per un periodo di 5 a « 7000 anni. << Ed ora si ammiri la profondità del signor Loria, « che chiama il valore generalmente e direttamente in « vigore in tutto quel tempo, un valore al quale le merci <<non sono state vendute mai e ciel quale non si oc– « cuperà mai nessun economista che abbia ancora una << scintilla di ragione! » E ciò avviene con tassi di plusvalore differentissimi - per le divergenze del valore individuale delle merci del valore medio del mercato - il quale oscilla a se– conda delle condizioni della produzione e del rapporto della domanda con l'offerta-, mentre il profitto indu– striale non è ancora apparso e tanto meno il tasso medio generale del profitto, per la semplice ragione che il n;– gime capitalista non è ancora nato. Ciò serva di risposta nl Graziadei che fa scaturire direttamente la categoria profitto da qualsiasi produzione, a qualunque società ap– partenga. Mada questo punto la produzione capitalista comincia a svilup;)::trsi per opera specialmente dei rappresentati dal commercio, dei negozianti, presso i quali per la prima volta ci troviamo davanti ad un profitto e ad un saggio del profitto; essendo diretta la cura dei negozianti a ren– dere uguale questo saggio per tutti gli interessati. « L'eguale saggio del profitto - scrive l' Engels - « che nel suo completo sviluppo è uno dei risultati finali « della produzione capitalista, si presenta qui dunque, « nella sua forma più semplice, come uno dei punti di « partenza della genesi storica del capitale; si presenta, << anzi, come una derivazione diretta dalla società comu– « nale o dalla marca, che, a sua volta, è una diretta de– « rivazione del comunismo primitivo». Ma finchè il commercio si impadronisce soltanto dello smercio dei prodotti indigeni contro quelli esteri, il va– lore dei prodotti scambiati tra gl' indjgeni è regolato sempre dal lavoro, mentre quelli da esportarsi si cedono ordinariamente ai negozianti al disotto del loro valore, per la concorrenza estera e per lo smercio ostacolato. 11 contrario avviene nel mondo moderno, in cui i costi di produzione valgono per il commercio internazionale, mentre nel commercio al minuto la formazione dei prezzi è regolata da saggi del profitto affatto diversi. Jntanto si sviluppa il capitale industriale, che nel medioevo si era impadronito già di tre sfere produt– tive: l'equipaggiamento delle navi, le miniere e la tes– situra. Qui siamo davanti ai primi rudimenti della for– mazione del sopravvalore capitalistico. 1 Con la introduzione della manifattura, il manifattore è in condizione di produrre a miglior prezzo del suo an– tico concorrente, l'artigiano; poichè il sopravvalore ap– propriato dal capitalista manifatturiero- che per lo pii.1 è lo stesso negoziante esportatore - gli permette di ven– dere a migliore prezzo dei concorrenti, sino a che si estenda il nuovo modo di produzione, dopo di che si ristabilisce l'equilibrio. « Il saggio prccedent~ di profitto << commerciale, anche se livellato !-.Olo locJ.lmente, è il r • All'inizio, la differenza tra valore e pr<,fitto risultava unicamente da un:i • modificazioue qualitativa, da 1111 cangiamc11to <li form;1, e ~e in questo primo " aspetto delle cose vi è una differenza quantitativ;i, essa appa~e tra il tasso • del profitto e il tasso del plusvalore• Capitnl, lii, p:ig. 176, « letto di procuste, su! quale è troncato senza miseri– « cordia il sopravvalore industriale eccedente» (Engels}. Alla manifattura gradualmente succede la grande in– dustria, che con le ininterrotte rivoluzioni del processo produttivo, riduce le spese di produzione ed elimina i precedenti modi di produzione, mettendo l'economia sociale sotto la dipendenza del capitale, e scacciando dal mercato l'economia naturale e la piccola produzione. Allora i saggi di profitto dei diversi rami industriali e commerciali tendono ad uguagliarsi, sotto il pungolo della concorrenza dei capitali, che cercano di parteci– pare proporzionalmente al bottino sociale capitalista~ a misura che si eliminano gli ostacoli che separano una sfera produttiva dall'altra. Così la trasformazione del saggio del profitto locale in saggio medio generale del profitto, e per conseguenza dei valori in prezzi o costi di 1::>roduzione,si realizza secondo leggi obbiettive, senza coscienza o intenzione degli interessanti, secondo un processo storico che man mano parifica i profitti ecce– denti il saggio generale nelle varie industrie, per cffett~ dell'azione livellatrice della concorrenza. Quindi ha ragione il Marx quando, antivenendo le critiche !oriane, scrive nel 3° libro del Capitale: « Lo scambio delle merci approssimativamente ai « loro valori, corrisponde ad lllfo stadio di sviluppo eco– « nomico molto inferiore a quello dello scambio ai costi « di produzione, che necessitano già un certo progresso « del capitalismo. Inoltre, qualunque sia il processo se– « condo cui i prezZi delle merci si fissano ali' inizio « per essere opposte le une alle altre, il loro movimento « è do~inato dalla legge del valore. Quando il tetnpo « di lavoro necessario per produrle diminuisce, i loro « prezzi discendono; quando il lavoro aumenta, i loro « prezzi aumentano, le altre circostanze restando inal– « terate. « Astrazione fatta dall'azione decisiva della legge « del valore sui prezzi e sul movimento dei prezzi, è << dunque permesso di considerare, non solamente teo– « rlcamente ma storicamente, i valori come i punti di « partenza dei costi di produzione. Così sono i valori « che intervengono quando l'operaio è proprietario dei « mezzi di produzione; ciò che è il caso, nel mondo « antico come nel moderno, del contadino che coltiva « la terra che gli appartiene e dell'artigiano ... E que– « sta regola si applica alle società basate sulla schìa– <, vitì.1 e sul servaggio ed ai :11estìeri organizzati in « corporazioni, finchè i mezzi di produzione non sono « trasportabili da una industria all'alt,ra e che _i diffe– « renti rami di produzioue sono separati gli uni dagli << altri da frontiere come pa~si stranieri o comunità co– « muniste» 1 • ., * * Ma veniamo alla seconda parte della critica del Loria, riAettcnte l'adequa:done della quantità totale del lavoro alla quantità totale dei costi di produzione, e quindi dei valori delle merci. Il valore, secondo il Loria, non è altro che il rap– porto in cui una merce si scambia con un'altra, e perciò lo stesso concetto di un valore totale delle merci è un'as– surdità, un nonsenso, ccc. Eccone la limpida critica di Engels: « li rapporto in cui due merci si scambiano, cioè « il l?ro valore totale, è dunque qualcosa di meramente

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