Il Socialismo - Anno II - n. 13 - 25 agosto 1903

20, IL SOCIALISMO ,. Noi siamo rivoluzionari perchè la nostr:1.mèta è rivoluzionaria: l!l sostituzione cioè della proprietà sociale alla proprietà individuale dei mezzi di produzione. La quale sostituzione - senza di cui non esiste dottrina nè Partito socialista - evidentemente trasceitde e supera ogni e qualsiasi più radicale rijorma della presente so• cietà -· e ne costituisce una tr:lsformazione fondamentale. Onde costituirà una vera rivoluzione soc:ale, quando per gradazioni pre– paratorie giungerà ::ilb. sua realizzazione completa. ,. E se la parola • rivoluziQnC » ha anche il significato comune, ma inesatto - e da tulti i socialisti s~mpre combattuto - di uso della violenza collettiva come metodo per raggiungere quella mèta - la colpa non è nostra, p'erchè, di fronte al riformismo sociale piì1 o men radicale, non c'è a.ltra parola che esprima il contcnulo so• cialist.'l di una fondamentale tr!l.sformazione economica - e quindi politica, giuridica e morale - della società. .-E noi non si:uno per l'uso della violenza personale o collet• tiv:i, perchè sa.ppiamo che b legge di evoluzione domina il mondo - ed essa segna il solo metodo naturale e fecondo per raggiungere qualsiasi scopo, o riformista o rivoluzionario. • Sappiamo però che la legge di evoluzione sociale non esclude i periodi anche di violenza collettiv:i, come contraccolpo della rea• zione govcrn:itiva - co,;Ì come la legge di evoluzione geologica, perÌenta formazione graduale, non esclude le eruzioni vulcaniche nè i cal.!lclismi parziali. • Dunque noi crediamo che il nostro fine rivoluzionario si verrà realizzando gradualmente, per successive riforme sociali, più o meno pacificamente o violentemente, secondo la maggiore o minore Sa• pienza della classe dominante e per essa de' governanti, e secondo la maggiore o minore maturità del proletariato. • Per questo noi vogliamo le riforme e non predichiamo le barricate. " E la morale del riformismo :1.\1' ultimo stadio la trae il Cere– mira, cui basta il suo superficiale spirito critico per vedere che « la conclusione logica è che la democrazia socialista debba cedere il campo a' partiti riformisti borghesi (p.i.g. 42). " B. Franchi. ARTURO LABRIOLA, Sul principio regolatore dell(I fi– nanza pubblica. - Napoli, Ettore Croce ed., 1902, pag. 165 - L. 2. li Labriola pubblica questi avpunti, senza la solenne veste accademica (com' egli stesso ci avverte), considerandoli come una specie di introduzione generale ad uno studio che egli indende in– traprendere sulla Economia di Stato. Il pensiero dell'A. è c-osi da lui stesso riassunto: « Nell'a,t. tività statale occorre distinguere fra l'aziont politica, cioè diretta a consolidare, sorreggere e svilupp:lre le esistenti forme df'l!O Stato 1 e l'azione sociale, cioè diretta a soddisfare o le esigenze fondamen• tali del nesso sociale esistente, o quelle esigenze di ordine indivi– duale-, che la privata attività non giunge :l soddisfare. Da tale premessa pervenivo alla conclusione che un priJJcipio direttore dcli~ Finanza non esiste, ma invece dut opposti prùuipii che regolano il doppio ordine dei fenomeni finanziari rilevati. Così viene spie• gata la contraddizione fondamentale dei cosi detti principii finan• :dari e, rispetto all'azione politica dello Stato, non percepibile dal singolo, la empirica ~ipugnanza a pagare il tributo •. I vari autori. che tentarono di ricondurre i fenomeni finanziari ad un unico principio teorico che si riferisca alla causa dell' im– 'posta sonç>dal Labriola cl:1.Ssificntiin due categorie. In primo luogo viene esaminala la teoria ecoJJOJJlica dd /mo-– meno finanziario uei suoi interpreti principali, il Sax ed il /Jf,.zzzola. L' A. critica la concenzione del Sa,c secondo il quale • gli · scopi dello Stato esigono da parte del cittadino un'erogazione di ricchezza, che corrisponde al costo della soddisfazione dei bisogni collettivi, alla quale provvede lo Stato. I bisogni cosiddetti pub– blici o dello Stato sono bisogni degli uomini non pili considerati come privati individui, ma come membri della consociazione ,,. A questa è contrapposta la teoria del ?.fo.zzola che invece so• stiene servire i beni pubblici a conservare ed a garantire il godi• mento dei beni privati. Le imposte servono ad assicur:lre il rego– lamento della giustizia, la vita normale degli eserciti, che tutelano la persona e gli averi contro le inv~sioni esterne e le interne sommosse, lo sviluppo della coltura e cosi via. 1fa anche questa teorica. non tiene conto del fatto che non esiste sempre una rispondenza tra il sacrificio del!' imposta ed il beneficio ricavatone; che quando un!l. classe è padrona dello Stato riversa sulle altre i pesi e tiene per sè•i vantaggi. Di quì la teoria politica della scienza delle fiHanze. L' A. esa– mina principalmente le idee del Loria, del Conigliani, del Monte• martini, rilevando dap"prima nel Loria la soverchia schematizzazione. Questo economista presenta di solito le leggi di tendenza come leggi reali. È una tendenza del sistema capitalistico di ridurre il salario al minimrm1 per mezzo dell'imposta; ma, osserva il Labrio b., noi vediamo spesso coesistere con salari evidentemente superiori al minimum la tassazione delle classi ricche, e viceversa coesistere col salario al minimo l'assenza di ogni tassazione delle classi ricche. li primo caso si può trovare in Inghilterra, il secondo in Russia, in lspagna ed in Italia. Altrettanto dicasi dell'altro fenomeno dell'estensione irrazionale delle spese pubbliche. li Coniglbni in parte corregge le conclusioni del Loria. li l\fontemartini definisce lo Stato come quella particolare forma d'intrapresa che, mediante la coazione, produce un reddito a CO· loro che hanno lo Stato nelle mani. Mi pare che il pensiero del :Montemartini non sia reso esatta mente da.Il'A. In ogni modo il Labriola in contrapposizione a questo grupp6 di economisti, rileva come al disopra delle varie /<>nm di società umane, vi sia la socicltÌ umanà, cioè quel n·esso rudimentale che le esigenze naturali stabiliscono fra i varii uomini. Ed è innega– bile che il reddito pubblico non si spende tutto in oJ)ere direue alb difesa delle forme specifiche di una data societ3, ma una parte è destinata alla soddisfazione di bisogni realmente sentiti dalla collet.tività (istruzione pubblica, ecc.). . L'Autore arriva a. questa conclusione: • la verità' consiste nell'ammettere che le due teorie offrono contemporaneamente gli elementi per spiega.re due campi diversi delb stessa attività finan• zia.ria ", Fa inoltre il parallelo tra quesl.!l concezione integrale, e quella già dis!!gnatasi nelb scienza economica. a proposito del valore (vedi Montemartini, Viniarski ed il Labriola stesso) basata sulle tre concezioni particolari del v::ilore-lavoro, del costo di produzione e degli equilibri del mercato. Nei capitoli successivi l'A. esamina la questione se i due prin– cipii studiati non possano ri,lurSi sotto una regola superiore p:uti– colare, diversa dalle ~leggi generali della scienza economica. La conclusione è negativa, poichè anche nella scienza finanziaria si ri. scontra nel suo assoluto vigore la legge del minimo mezzo; ed il caso dell'imposta non si può trattare diversamente da quello di qualsiasi altra condizione che perturbi l'equilibrio economico. • Onde l'espressione di scimza delle finanze è giusto che s' in• tenda adoperata non nel senso rigoroso che alla parola scienza si dà, ma in que'llo assai più vago di complesso t!i co,wscmze relative al processo tributario •· Al volume è annessa un'appendice, nella quale viene discussa la teoria sui prestiti pubblici del professor Ricca-Salerno. Questi sostiene che le conseguenze di un prestito e d'una contribuzione straordinarb siano le stesse.

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