Il Socialismo - Anno I - n. 14-15 - 25 settembre 1902
214 IL SOCIALISMO mente alla legge del grano, che in Inghilterra fu com– piuta dal radicalismo borghese: massima delle forze rivoluzionarie che abbiano operato nel secolo xix in Inghilterra, dove invece la organizzazione economica del ceto operaio è stata sempre piuttosto una forza con– servatrice. Per questo immenso aumento della ricchezza pub– blica, sopravvenuto senza merito suo, non il proletariato inglese, ma la parte pit.1colta e più agiata di esso Yidea un tratto prosperare le sue organiz;,;azioni economiche. Gli scioperi che non riuscirono prima, quando i disoccupati eran numerosissimi e le industrie versavano in condi– zioni difficili, riuscirono facilmente quando la disoccu– pazione fu scemata, il lavoro abbondò, gli industriali guadagnaron molto e quindi non furono costretti alle inflessibili resistenze dei tempi anteriori. Le Unioni si ingrandirono e si perfezionarono, costituendosi un pa– trimonio con le contribuzioni dei numerosi e agiati operai, preparando un personale tecnico di segretari e impiegati, atto a compire la delicata opera sua, elabo– rando con la esperienza un corpo di tradizioni e di regole, che servirono loro di norma nelle contese, del resto sempre più cortesi e cavalleresche, con i capitalisti. Nè tutte le Unioni e tutte le agitazioni, si noti bene, neppure in Inghilterra, neppure in questo periodo cosi prospero e felice, riuscirono. Quando I'Arch tentò di muovere i contadini a una agitazione per il rialzo dei salari, simile a quella che avevano combattuta gli operai delle industrie superiori, ebbe si un repentino successo in principio, ma dovè presto smettere 11 impresa. Volgiamoci adesso al\' 1talia. E' supponibile che possa riuscire un movimento operaio, a cui mancano tutte queste condizioni che lo fecero riuscire in Inghil– terra? Molte Camere del lavoro, molte Leghe e J7"ede– razioni e Sindacati sono stati impiantati: ma non è un mistero per nessuno che il maggior numero versa in cosi grande miseria, da non poter quasi far nulla. lo non sono nella politica militante; eppure quante Camere del lavoro hanno scritto perfino a me, per pregarmi di andare a tener conferenze a pagamento, con cui empire un poco la vuota cassa! Nè la povertà di queste Camere e di queste Leghe deve attribuirsi principalmente alla incuria e alla negligenza della classe operaia. Che spe– ranza si potrebbe avere nell'avvenire cli queste organiz– zazioni, se già nel principio, quando il fervore e la fiducia sono maggiori, la stanchezza e la malavoglia fossero così grandi ! Non è certo mancato, in questi anni e in ogni impresa, slancio e passione alla classe operaia: mancan purtroppo i denari, e le Camere e le Leghe vanno male, quasi dappertutto, perchè i lavora– tori sono pochi e poveri e il contributo mensile è dif– ficile. Siamo in un circolo vizioso: quelle istituzioni che dovrebbero servire a migliorare i salari degli operai, non possono operare, perchè agli operai manca il ca– pitale per impiantarle e metterle in movimento, A combattere contro il capitale la lotta puramente economica, per il rialzo dei salari, il mezzo migliore è lo sciopero. E difatti gli scioperi non sono mancati, in Italia. Se qualche bravo giovane volesse studiare la storia delle agitazioni operaie in questi due anni, il loro seguito, la ripercussione delle une sugli altri, le vicende delle lotte e le conclusioni, soffermandosi mag– giormente sugli scioperi più importanti, potrebbe com– piere nel tempo stesso un eccellente lavoro e rendere un servizio ali' Italia e al proletanato. Tuttavia, anche senza aver dinanzi una raccolta di documenti vagliati e classificati, credo, avendo seguìte con attenzione le vicende di un grande numero di scioperi, di esser giunto ad alcune conclusioni che corrispondono, sia pure un po' all'ingrosso, alla verità e di cui chiamo giudici volen– tieri quelli che sono stati in mezzo a queste agitazioni. Qualche cosa hanno ottenuto gli operai, quando hanno dovuto lottare contro molti capitalisti piccoli e medi, disuniti, impressionabili, pavidi di aggiungere ai molti crucci delle loro poco prospere aziende il guaio di una lotta lunga con i loro operai. Ma gli scioperi contt·o i grandi cotonifici e lanifici sono quasi tutti fal– liti; falliti o quasi sono il maggior numero di scioperi contro le Società dei tram vai e delle ferrovie secondarie. contro le ricche imprese di illuminazione delle grandi città. Lo sciopero dei gazisti a Milano sarebbe stato facilmente schiacciato dai capitalisti, senza !' intervento indiretto del Municipio, a favore degli scioperanti: tanto è Yero che l'eguale sciopero, tentato di lì a poco, in condizioni simili, a Torino, è fallito disastrosamente. Pili lagrimosa ancora fu la sorte degli scioperi agrari, incominciati cosi felicemente l'anno scorso, falliti così miseramente quest'anno! I successi del 1901 erano stati ottenuti cli sorpresa, sopra una classe di proprietari che si sarebbe aspettata piuttosto una eruzione vulcanica fuori dai ghiacciai del Monte Bianco, anzichè la rivolta dei suoi contadini ; ma troppo maggiore era la forza economica e sociale dei proprietari che quella delle Leghe, e alla nuova ripresa queste sono state vinte. 4. - Pcrrhè l'organiz=azione economica è ancora slcrik e stentala ùt flalia. Ora nè l'audacia nè la perseveranza son mancate in queste lotte alle classi operaie. Le resistenze sono state formidabilmente lunghe e tenaci; e tanto più straordi– narie perchè il maggior numero degli scioperi fu comin– ciato a\·venturosamente, senza fondi di riserva e senza aiuti di associazione; perchè la guerra fu dichiarata quasi sempre senza approvvigionamenti e croce rossa, alla garibaldina o alla boera. D'altra parte il momento era favorevole, perchè i capitalisti furono colti ali' improv– viso, impreparati a sostenere l'urto dalla lunga abitudine di veder gli scioperi risolti dai gendarmi e dai tribu– nali correzionali. Eppure questo slancio così intenso ~i è perduto, in gran parte, nel nulla. La ragione è questa: che le condizioni economiche generali del paese sono ancora troppo cattive. Molti si rappresentano i salari come un valore mutabile a pia– cere, che gli uomini possono accrescere o diminuire a loro beneplacito, con artifki molteplici; ma i salari non mutano - pur troppo! - per il solo desiderio degli uomini di goderne maggiori: sono il resultato necessario di complessi fattori, tra i quali importano maggiormente: il numero dei lavoratori che si offrono, la quantità delle cose che si possono fabbricare con sicurezza di esser vendute e il prezzo a cui possono essere vendute. In altre parole, il saggio dei salari è in funzione della ric– chezza comune. Perciò tentare un rialzo dei salari, quando la disoccupazione abbonda, le industrie sten– tano a vendere quanto producono e le cose si vendono a prezzo vile, significa correre volontariamente in av– venture rischiose che non son destinate a riuscire. Ora in Italia, sebbene la miseria degli anni terribili ~ia un poco diminuita, la disoccupazione è ancor nu– merosa e certi segni farebbero dubitare che debba cre– scere; il maggior numero delle industrie soffrono di soverchia produzione, i prezzi di quasi tutti i prodotti industriali, specialmente di quelli prodotti per il mercato interno, sono terribilmente vili; il capitale è'insufficiente, mal ripartitò nel paese, maneggiato egoisticamente da poche banche monopolizzatrici, che non sono costrette dalla concorrenza reciproca a favorire davvero le indu– strie; il maggior numero delle imprese industriali sten– tano la vita, tirano avanti con una inesauribile inge– gnosità di espedienti ; e la minaccia cli una crisi intensa pende sempre sul c :i.po di tutti. In condizioni simiglianti, un aumento delle mercedi è impossibile.; e nessuno sforzo cli solidarietà, nessuna cabala di Leghe e di Sin– dacati potrà procurarlo ai lavoratori.
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