Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XV - n. 24 - 31 dicembre 1909

RIVISTA POPOLARE 661 Le donne dei contadini aiutano gli uomini nei lavori campestri, ma d'ordinario non lavorano la. terra si adattano invece a portare enormi pesi sul capo, a raccogliere ulivi etc. etc. + Un cenno speciale merita la vita dei pastori. Essi vivono per lo più in montagna dall'aprile al novembre : ai primi freddi scendono colle greggi a svernare nelle vicinanze dei vilhggi. Molti di questi pastori noi abbiamo veduto sull'altipiano dell'Aspromonte e potremmo minutamente descrivere il loro genere di vita. Se dalla storica pineta, dove cadde l'Eroe ferito da piombo italiano, si guarda la sottostante pianura non alberata si vedono sparsi qua e là, nella verde distesa dei prati, gruppi di pagghiari (1) e talvolta, attorno ai pagghiari, i chiusi. Colà stanno j pastori. Sono uomini che appartengono a famiglie diverse e che là sulla montagna formano una famiglia a sè col suo capo, il massm·o, e la sua disciplina. Soltanto nei giorni festivi i pastori sMndono per turno ai loro rispettivi paeselli per rivedere le loro donne e per fare delle provviste. La mattina i pastori si destano prima del levar del sole e si pongono subito al lavoro. I ragazzi vanno ad attingere l'acqua al vicino ruscello con le secchie tradizionali appese alle due estremità d'un palo che essi portano sulla spalla. Allora si fa pulizia rgenerale, si lavano le marmitto, la caldaia, la tavola ecc.; quindi i giovani vanno nei chiusi a mungere il latte nelle secchie ; tornano alla capanna, lo versano nella caldaia filtrandolo con una specie di staccio formato di erbe verdi e ritornano a mungere ancora. Terminata questa operazione, restano nella capanna due o tre pastori per lavorare il latte e gli altri vanno a zappare le terricciate dove coltivano le patate. I pastori rimasti nelle capanne .eseguono tutte queHe operazioni che sarebbe lnngo descrivere e che servono a trasformare il latte in siero , ricotta, cacio etc. Inutile dire che quei pastori usano metodi affatto primitivi. Appena finito questo Javoro che dura un paio d'ore si radunano tutti i pecorai e mangiano insieme 'llla zuppa di pane, ricotta e siero : danno poi a mangiare ai cani, che non sono mai meno di una mezz9. dozzina e si nutrono di solo siero , e infine vanno a ringare, cioè a fare uscire il gregge dal chiuso. Ogni pecoraio va allora a pasturare per suo conto, portando s_ecoun pezzp di pane e _un pò di companatico. La sera verso le quattro si raccolgono di nuovo alle capanne, mungono il latte, mangiano la cagliata o la polenta o le patate e poi si sdraiano a dormire per terra. Questa, in breve, la vita di quei disgraziati , fra i quali, inutile dirlo, l' emigrazione ha mietuto largamente ... + Le antiche e caratteristiche fogge di vestire dei contadini calabresi vanno scomrarendo dopo le inno- (1) Son piccole capanne a ferma di tende o di cono, costruite con fra.sche e zolle sovrapposte ad uua specie di telaio fatto di travicelli. vazioni degli ame1·icani•. Le calorce cedono il posto a i scarponi chiodati, le brache; che prima si abbottonavano ai ginocchi, scendono giù come sulle ga.mbe dei galantuomini e solo i vecchi portano ormai il lungo berretto a forma di sacco. Anche i vivaci colori delle ve::iti femminili tendono a sparire _e colle pittoresche abbigliature delle belle pacchiane si dileguano tutti i caratteristici costumi delle popolazioni calabresi. Le prefiche piangenti e urlanti scarmigliate sui cadaveri, quelle prefiche dinanzi a cui il dott. De Nobili restò non so se pii1 nauseato o atterrito, bisogna andare a cercarle col lanternino in qualche rimoto paesello di montagna o in qnalche vecchio libro sm costumi calabresi. Oiò che poco è scomparso finora in Calabria. è il fanatismo religioso e le vecchie' e strane supertizioni. Il sentimento religioso laggiù si manifesta specialmente con spari, luminarie, processioni, sbornie. In certi paeselli si spendono dalle 1500 alle 20~ lire per ogni festa; e nei mesi estivi e autunnali sono più che frequenti, perchè i santi da celebrare sono più che numerosi. Il prete intanto vigila a che nn raggio di luce· non penetri in quelle coscienze ottenebrate e alimenta il fanatismo religioso di quelle genti e con tutte le mali arti di cui fu sempre esperto nei secoli. Bisognerebbe as8istere al pellegrinaggio del santuario della .Madonna dei Polsi presso Montalto per farsi un'idea dell'abbiezione veramente bestiale a cui il fanatismo religioso spinge quelle popolazioni. Sono schiere di uomini, donne, vecchi, fanciulll, infermi di tutti i morbi che ogni anno, nei primi giorni di settembre, dai paesi più lontani, i:-i recano a piedi e si fanno trasportare al santuario dei Polsi. Quivi giunti i più si abbandonano agli atti più depravanti di umiliazione, di annientamento; alcuni si percuotono, altri si trascinano carponi strisciando la lingua sanguinante per terra come al santuario di Casalbordino cosi vivamente descritto dal D'Annunzio. Dei monaci grassi e rubicondi insaccano insaccano danaro e oggetti preziosi portati in voto. Fuori del tempio poi i devoti si abbandona.no alla crapula più sfrenata e, quando l'alcool sale alla testa di quella gente, si veggono fra i tronchi degli alberi 1 uccicare le lame dei coltelli ... Oh noi sappiamo quanta tenebra si adugia in quelle anime, in quei cervelli I Spiragli di luce si aprono, è vero, nella mente dei contadini emigrati che tornano con maggior fiducia delle proprie forze, con idee nuove, con- nuove aspirazioni. Ma ciò è ben poco, ancora; occorre sopratutto la scuola, ma non la scuola da burla, la scuola che educa, illumina, redime ; che toglie i fanciulli dalla via dove si esercitano a tirar di coltello e gli operai dalle cantine dove tramano i delitti, per restituirli alla società uomini onesti e cittadini coscienti. ANTONtNO FiLASTÒ Dirigere lettere e vaglia al Direttore On. Napoleone Colajanni Corso Vittorio Emanuele 115 - Napoli

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