548 RIVISTA POPOLARE vedere con la pura. e diritta concezione estetica dell'arte: la realtà, cioè, e la morale - ciò che é in sè e per sé vero, ciò che é in sé e per sé buono. Or la poesia, dic' egli, in quanto è imitazione della natura, che, a sua volta, imita l'idea divina. (onde l'arte è a Di,o quasi nepote, direbbe Dante) s' allontana di tre gradi dal vero. Rigu1:1.1:doalla moralità, affermava di aver trovate non poche oscene cose e bestemmie in Omero - e finiva col concludere che, non foss'altro, le opere d'immaginazione servon a destare negli amici i fremiti e il turbine di insani desideri e d'ig,nobili passioni, che andrebbero invece raffrenate. Alla dottrina, diciam cosi, iconoclastica dell' autore del Fedone, fa sensibile contrasto, nella stessa Grec~a, il nobile panegirico dei poeti, che Aristofane fa pronunziar ad Eschilo in quel capolavoro di critica e un pochino anche di malignità che sono le Rane: ............. Dai tempi più lontani Guarda i nobili vati quant'abbiano in effetto Giovato: Orfeo ne apprese sacri riti e il precetto D'astenersi dal sangue; Museo rimedi ai mali E vaticinii; Esiodo l'opre dei campi, e quali Delle raccolte i tempi, dell'aratura i modi: E il divo Omero ond'ebbe cotanto onore e lod1, Se non perchè maestro d'egregia cose ei fu Agli uominì, attelarsi, combatter con virtù, Indossar l'armatura? (Ranae, w. 1030 sgg.; trad. Franchetti) Ad Aristofane par che si ispiri, nel mondo romano, Orazio, là dove con bellissimi versi esalta, oltre al1' istruzione e al diletto che si deriva. dalla. poesia., l'efficacia ch'essa esercitò in ogni tempo su l' umana civiltà: Silvestres homines sacer interpresque deorum Oaedibus et victu foedo deterruit Orpheus, Dictus ob hoc lenire tigres rabidosque leones. Dictus et Amphion, Thebanae conditor urbis, Saxa movere sono testudinis et prece bliinda Ducere, quo vellet. Fuit haec sapiantia quondam, Publica privatis secernere, sacra profanis, Ooncubitu prohibere vago, dare iura maritis, Oppida moliri, leges incidere ligno, Sic honor et nomen divinis vatibus atque Carminibus venit ....................... . (Ars 1Joet., 39L-401) Il Medio-Evo, epoca. ascetica e teologica, se al tra mai, in cui la visione e la concezicne del mondo e della vita assunsero un carattere e delle espressioni al tutto speciali, ripeté insistentemente le accuse di Platone contro le opere dell'irnmaginazi?ne, appianando ad argomenti più immediati e pratici le ragioni metafisiche del filosofo greco Cosi Tertulliano: «..... al cospetto di Dio è adultero tutto ciò cbe non è reak. Dio non potrà 1uai approvan, amori , ire, pianti immaginarii > (De Spectac. XXIII). E Isidoro di Siviglia riteneva non i:Ji dovesser leggere i poeti cbe • eccitano la mente agli allettamenti delle libidini per via dei piaceri di vane favole, (Differentiae III, 13, 1). Nè si tralasciò di ricantare sol tono platonico che la letterat11ra metta lo scomp•glio nel.l'anima, ecciti le pas8ioni, t11rbi insomr.ia la tranquillità e la pace della vita, c11i Dio ci destina (Tertulliano, De Spectac. XV). Insieme con le fantasiose aspirazioni ultraterrene, é caratteristica del ·Medio-Evo una spiccata tendenza a sr.oprire i lati e gli aspetti più propriamente pratici delle cose che avessero, in ispecie, attinenza con la condotta del1' uomo. Questa particolar attitndine delle menti medievali si esplica naturalmente anche nel campo ideale della lettera.tura e dell'arte. Agli occhi di quegli uomini non appariva chiaro il modo onde la poesia potesse governar l'azione e ne conclusero eh' essa non ha alcun valorepratico e eh' è meglio, quindi, addirsi ad occupazioni più utili al civile consorzio. E' curioso, intanto, notare come quel principio dottrinario che condannava l' arte in nome della realtà effetti va e l' altro, eh' io direi mate1·ialistico, che mirava alle. pratica utilità delle discipline, venissero ad esRer applicati in alcune opere poetiche medievali, che di poetico non hanno altro che la grama veste , mentre son , poi , aride enciclopediescient1fiche. Gli autori di queste opere, nel tempo stesso ch'ei uegavano il genio artistico, venivano implicitamente a riconoscerlo pel solo fatto eh' ei cercano di, render più attraente quel loro pesante dottrinarismo mediante le parvenze esterne dell'arte. Fra coloro che meglio ebber coscienza di codesta missione puramente pratica dell' opera artistica sl da farsene un inane e· quasi rabbioso fanatismo, é notevole quel Cecco D'Ascoli che osò contrapporre fieramente la sua sterile· Acerba nientemeno che alla Commedia, con parole di aspro biasimo per le favole dantesche: • Qui non si canta al modo delle rane; Qui non si canta al modo del Poeta Ohe, immaginando, finge cose vane Lascio le ciance e torno su nel vero, Le favole mi fur sempre nemiche. (Acerba, Lib. V, Rub. XIII) Dante Alighieri, che pur assegnava al suo poei.Jla. un intento eminentemente didattico e che mostra di accostarsi, in certo qual modo, alle idee del tempo, quando ricorda Orazio satiro e Seneca morale, Dante· si ribellò evidentemente alle accuse che i mistici scagliavano contro la poesia, allorchè per bocca di Stazio disse quello di pceta il nome che più dura e più onora (Purg. XXI, 85), ripresentando in forma nuova il pens10ro di Lucano, Phars: IX, 980: O sacer et magnus vatum labor: omnia fato Eripis, et populis donas mortalibus aevum, che è poi quello di Parad., XVIII, 82-4. E fn quella di Dante sentita e vigornsa affermazione che appar più nuova e significativa per quel franco e pagano riconoscimento della terrena gloria, eh' ebbe poi miglior esplicazione e, direi, coscienza di sè uel Petrarca - il poeta laureato iu Campidoglio - e fu, come tntti sanno, un lato caratteristico dell'Umanesimo, consapevole affermatore dell'individuo. Ma lo stesso Medio-Evo che avea formula.te le accuse contro la poesia, seppe anche appigliarsi >td un metodo tn tto particolare di sventarle: l' interpretazione allegor1ca, cioè, delle oµere lettera.rie. Il metodo, in verità, era tutt'altro che 11uovo, anzi antichissimo, se é vero che può farsi risalire ai Sofisti e, con più larghezza, agli ultimi .Stoici. Non istarò a citar esempi, ché la cosa. è abbastanza nota, non foss'a ltro per l'applicazione che Dante ne fece nella Commedia. Questo
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