516 RIVISTA POPOLARE Quando mai alla Minerva, si presero sul serio i desiderata ctegli insegnanti? Ecco il guaio grave della nostra scuola &ta tutta in quest' ultima : ma, e non si è - a quanto pare - vicini a cancellarlo. A. AGREST[ SpetTitnentalistno soeiale La disoccupazionesecondo le professioni Federico Chessa nella Rivista italiana di sociologia (maggio-agosto 1909) dà un eccellente riassunto critico di un libro di Lazard (Le chomage et la profession. Paris. F. Alcan, 1909) che tratta un problema interessante di attualità. Perciò crediamo opportuno riprodurne i punti principali. Non si può provvedere alla disoccupazione se non se. ne conoscono le cause; perciò il Lazard tenta di stabili re il coefficiente del fenomeno per ogni professione. L'A. studia e pone a confronto i due censimenti industriali francesi del marzo 1896 e 1901 coi censi_menti industriali tedeschi del giugno 1882 e del dicembre 1895. In seguito a questo studio egli può sostenere: a) che ia disoccupazione è in perfetta relazione colle varie professioni; b) che i fattori professionali di disoccupazione restano normalmente costanti per uno stesso paese e per una stessa epoca dell'anno;· variano invece di molto quando si confrontino due paesi o due stagioni differenti, e, più ancora, allorchè coesistano le due cause predette; e) che in varie classi professionali il saggio di disoccupazione è soggetto a brusche variaziuni ; ciò accade più specialmente per quelle industri.e che producono oggetti d'arte (la scultura, la plastica), per la pesca, per la navigazione marittima interna per l'edilizia, per la fabbricazione dei laterizi,. e per le industrie relative agli oggetti di moda e di Lisso; d) che nelle altre professioni la disoccupazi_one si manifesta con una certa regolarità e le divergenze che si notano sono costanti. Tutti questi rapporti che esistono tra la disoccupazione involontaria e la professione chiariscono quali siano le cause che determinano il fenomeno e dimostrano la poca influenza che su di esso esercitano le cause individuali (sciopero, malattie, vecchiaia. invalidità) e sociali. Ed in vero, se lo sciopero fosse il risultato dì una o più volontà individuali, in virtù della legge dei grandi numeri dovrebbe determinare in tutte le classi d'operai un saggio di disoccupazione presso a poca uguale. Il che invece non accade, come ~i dimostra dal confronto tra i risultati dei censimenti tedeschi e francesi, sebbene i primi, contrariamente agli altri; tengano conto del numero degli scioperanti. ,a Della disoccupazione per causa di malattia si tiene_ co~to nelle statistiche fran~esi quando cagiona lo sc10ghmento del contratto d1 lavoro .. Il saggio dato dalle statistiche industriali tedesche dovrebbe dunque, se la malattia agisse come causa principale di disoccupazione, essere meno differente dal saggio dato dal censimento industrtale francese. Ma ciò non avviene; è necessario ammettere perciò che la malattia o non è che una causa apparente o è almeno una causa subordinata di disoccupazione.l.4 Se poi la vecchiaia ò la invalidità fossero realmente cause principali dì disoccupazione, ·esse. dovrebbero manifestarsi egualmente in tutte ie classi de_lla P?Po_lazione. e . dovrebb~ro tendere ad eguagliare 11 livello d1 d1soccupaz10ne nel.1e diverse industrie. Ed invece dall' esame fatto si verifica uno squilibrio tra i saggi notati per le varie professioni. Così pure, contrariamente a qnanto si crede in generale, secondo l' A. non hanno influenza sulla disoccupazione le cause naturali o sociali. Ed in vero, se le stagioni agissero sull'aumento o diminuzione deile giornate di lavoro, non si d0vrebbero riscontrare, come l'A. ha notato, indici eguali di disoccupazione per le varie stagioni. Il che si verifica, ad esempio, nell'industria edilizia. Così pure non esercitano influenza le altre cause, quali la disoccupazione avvenuta per lo scioglimento del contratto e quella che si nota negli operai che la• vorano a. domicilio per rispetto agli altri salariati: Questi sono in breve i risultati ai quali giunge l'A. Come facilmente può notarsi, l'A. non ha dato uno svolgimento completo all'argom~nto, specie alla parte riguardante il coefficiente di disoccupazione. Ciò crediamo debba in parte attribuir.-;i al materiale statistico di cui l' A. s'è servito per trarre le sue illazioni. Ed in vero i censimenti industriali, che debbono riferirsi a determinati periodi di tempo, non possono tenere conto del modo con cui si verifica la disoccupazìone nelle varie stagioni, nè possono fornire dati per lunghe serie di anni. Tali censimenti possono perciò darci l' immagine del mercato del lavoro solo nel periodo dì stasi e non nel momento dinamico d' esso, mentre invece la stasi costituisce un'eccezione dei mercato del lavoro e di tutti i mercati in genere. Dal complesso dell'opera parrebbe poi che , secondo l' A., la disoccupazione dipenda specialmente dalla professione e che questa sia la causa più importante di ogni altra. Ora ciò non corrisponde alla realtà dei fatti, i quali dimostrano che la disoccupazione è il risultato d'uno squilibrio manifestantesi tra il capitale applicato all'industria e l'offerta di lavoro e che il saggio di disoccupazione è in ragione inversa dell' importanza dell'opificio nel quale l'operaio esplica la sua attività. invero recenti inchieste hanno dimostrato che il numero delle giornate medie di lavoro aumenta a mano a mano che daila piccola industria si giunge alla media ed alla grande industria. Nelle industrie tessili, aà esempio, il numero medio dei giorni di lavoro in un anno é di- 260 per gli opifici che impiegano meno di 20 operaie; sale a 267 in quelli con roo a 499 operaie; e finalmente a 290 in quei laboratori nei quali sono occupate 500 e più operaie. Un tale fenomeno non si riscontra solo se si considerano le industrie tessili nel complesso ; ma anche se si esaminano i vari rami nei quali tali industrie si distinguono. Ed in vero neli' industria del cotone il nnmero medlo dei giorni di lavoro è di 267 per gli opifici con meno di 20 operaie, mentre invece è di 300 per quelli che occupano 500 e più operai; nell'industria della lana gli opifici con meno di 20 operaie hanno un numero medio di giorni di lavoro di 268, e di 304 per contro quelli con 500 e più salariate. Nè é da credere che ciò si verifichi soltanto nelle industrie tessili : chè per le industrie estrattive può riscontrarsi lo stesso fenomeno e l' esperienza ci dimostra, d'altro canto, che nell'agricoltura la domanda di lavoro cresce a mano a mano che dalla cultura estensiva si giunge a quella intensiva. Così là dove alle locazioni individuali sono succedute le affittanze collettive, non solo l'agricoltura è diventata più produttiva, ma é aumentata la qualità di lavoro impiegata nell'unità di superficie e conseguentemente è cresciuto il numero di giornate di lavoro degli operai. Naturalmente l'aumento della domanda di lavorc è maggiore nei territori situati nelle valli o nelle pianure anzichè nei terreni montuosi. Ciò si rileva facilmente considerando la influenza benefica esercitata dalle affittanze collet~
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