350 KlVlSTA PUPULAKt. molto che ancora resta a farsi, i a materia di previdenza ed assistenza sociale. Tutto ciò forma obbietto di un mio lavoro sulla teoria sociologica della popolar_ione economicamente passiva, che è in corso di pubblicazione a cura della nostra Università. In questo articolo, invece. tralasciando ogni altra considerazione io mi limiterò soltanto a parlare dei rapporti che passano tra la passività economica e la delinquenza. Procedendo, però, a qualche paragone tr_a_i d~e fenomeni, si può dire ciò che il dott. Cosattrn1 ~cnveva intorno ad una sua interessante comparaz10ne tra l'emigrazione e la delinquenza, nella provincia di Udine. Si può di re cioè, che sono difficili a stabilire le relazioni intercedenti tra la passività economica e la criminalità, poichè i due fenomeni danno sovente origine ad effetti positivi e negativi che si compensano, . Tuttavia, però, possiamo riguardare il grave fenomeno della delinquenza negli individui economicamente passivi da un duplice punto di vista, dirò così: subbiettivo ed obbiettivo, in quanto, cioè, essi siano subbìetto od obbietto di atti criminosi. Dal punto di vista subbiettivo, è innegabile che la passività economica è causa di delinquenza. E noi vi abbiamo accennato più volte, ricordando la massima della sapienza popolare: l'ozio è il padre dei vizi, tramandataci dai romani i quali ~ius~amente ritenevano che omnes iniquitàtes pepent otiositas. Ed invero, gl'individui economicamente passivi incominciano con l'intemperanza, la dissolutezza, l'alcoolismo e finiscono col delitto. E' per legge di compensazione - seco nd? .lo Schaffle - che gli oziosi, spendendo poca attività nervosa e muscolare, Jevono necessariamente cadere in eccessi nel bere, nel mangiare ed in genere nella scioperataggine e nella delinquenza. .Ed a causa soprattutto degli eccessi nel bere , ossia dell'alcoolismo, si genera in essi una più viva e costante ripugnanza al lavoro, di guisa che si gettan 1 - se già non vi si trovano - nel vagabondaggio, nella mala vita, nella prostituzione, ecc., e finiscono così per alimentare grandemente il numero dei deli r.quenti più pericolosi. Senza dubbio, l'alcoolismo è una forma di lusso riprovevole, non solo per gli uomini· ricchi, ma spesso ancora pei meno ricchi. Nota opportunamente il Nitti che l'alcoolismo, quando non è una triste conseguenza del debole nutrimento e dello intenso lavoro, è una forma di lusso volgare, non però meno dannoso alla società che non sia il cattivo lusso dei ricchi. L'alcool, fra tutti i veleni, se non è il più violento, è per fermo il più diffuso e quello che fa il maggior numero di vittime. E' grande la perdita sociale per interruzione del lavoro da parte degli operai avvelenati dall'alcool, e notevole è l'aumento della popolazione degli ospedali e delle carceri , che si deve all' uso di questa bevanda rovinosa. Varie sono le qualità d'alcool di composizione chimica differente e quindi più o meno velenose, poichè la tossicità cresce col numero di atomi di carbonio che gli alcools contengono, ma tutti e sempre son velenosi, qualunque sia la purezza e la qualità, siano o pur no uniti ad essenze (Ioffroy). L'aqua vitae, però produce meno danni all' organismo che tutte le altre forme di alcool, ricavate da tante e tante materie diverse. Secondo le esperienze di Sèrieux e Mathieu, per uccidere un cane di 30 libre, occorrono 90 grammi bi alcool etilico, mentre ne bastano 45 di alcool profilico, 27 di alcool butilico, 2 5 dì alcool amilico. Giustamente perciò può dirsi che l'alcool puro è dannoso di gran lunga meno eh~ tutte altre forme d'alcool che son0 in commercio e che - come aggiungeva il Nitt;_ - rappresentano spesso altrettanti pericoli. E' un'esagerazione, quindi, voler pretendere, come fa il Vandervelde, nel suo saggio gull' alcoolismo, la soppressione della cultura della vite. A parte gli spostamenti economici, che si arrecherebbero ai coltivatori, quasi certamente l'aqua vitae, sarebbe sostituita dalle altre forme di alcool più dannose, che del resto già trovansi in commercio. E' importante però questa constatazione del Vandervelde, che cioè gli opera i dello strato superiore bevono tanto meno quanto più si migliora la loro condizione, mentre quelli dello strato inferiore bevono tanto più, quanto più crescono i mezzi per comprare l'alcool. Sicchè l'operaio che dopo, un lavoro intenso ed un'esigua alimentazione crede di trovare sollievo in una dose di alcool, si avvelena l'organismo, cade nell'invincibile ripugnanza al lavoro e incomincia a percorrere la terribile via del delitto. Fra i più gravi effetti della tendenza al bere, il De Pe tris annovera appunto: una irreparabile stupidità, una dannosa infingardaggine, .l'incapacità di lavorare, la delinquenza. E' notevole il caso di Coupeau delI'Assomoir di Zola, che opportunamente il Colajanni nella Sociologia Criminale, e già prima nell'Alcoolismo, cita a dimostrare come un uomo da onesto e laborioso possa trasformarsi in ozioso e vagabondo. A causa di un infortunio nel lavoro, essendo stato ricoverato in un ospedale, dove rimase lungamente, vi contrasse la cattiva abitudine dell'ozio, dell'ubbriachezza e tìnì per darsi al vagabondaggio. Il processo genetico descritto dal romanziere, dice opportunamente il Colajanni, è un vero documento umano . Sicchè adunque, il lavoratore che non seppe temperarsi nei desideri e si abbandonò nelle ore di ozio alla crapula, al giuoco e ad altri vizi, diventa realmente un peso per la società. Non essendo più abile ad alcun mestiere e licenziandosi ja chi non sa più come adoperarlo, fìnisce per divenire uno dei delinquenti più pericolosi. E se questi sono i perniciosi effetti dell'alcool sugli operai che ne abusano, che deve dirsi degli individui economicamente passivi, che cadono più facilmente in eccessi nt.::lbere, appunto per la vita oziosa che traggono innanzi ? Così l' alcool riempie ospedali, manicomi , prigioni. Ma non colpisce soltanto l'individuo, il veleno terribile colpisce anche la specie. Una statistica di Martin, su sessanta famiglie alcooliche, mostra c,he di 304 figliuoli che e~se ebbero, 192 morirono in tenera età, e di questi 48 con convulsioni gravi; 112 hanno sopravvissuto, ma 60 sono epilettici. E' spaventosa la pr·:>porzione dell'epilessia fra gli al. coolici: si aggiungono l'idiozi11, le varie forme di degenerazione fisica e mentale, la sterilità: in tre, quattro o cinque generazioni, una famiglia alcoolista sparisce (Ioffroy). E quelli fra gli alcoolici che non finiscono al1' ospedale o al manicomio vanno a popolare le prigioni. Negli anni 1877 al 1881 , di coloro che erano entrati nelle case di lavoro e di pena di Zwickau e di Dresda, il 77 °[0 , fra i delinquenti contro la morale erano alcoolici.
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