Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XV - n. 9 - 15 maggio 1909

244 RIVISTA POPOLARE L'elemento rosso di cui egli s1 preoccupa come di un grave problema di politica coloniale, si mantiene assolutamente estraneo alle nostre g11erriccinole di parte, non vive delle nostre ambizioni e dei nostri pettegolezzi, nè ha potuto finora deviare quella massa di pacifici lavoratori che l'ufficio del lavoro della direzione d'immigrazione da nna parte e - da un paio d'anni per la nuova organizzazione datagli dal Conte Macchi di Cellere - la società di patronato e rimpatrio rinvigorita da più sane energie, avviano nelle provrncie. Penso che quei nostri lavoratori costituiscano la vera Colonia italiana_; e di loro nnicamente il Console Testa avrebbe dovuto occuparsi per dire chi siano, cosa facciano, cosa vogliono - invece di fermArsi a considerare il fenomeno migratorio con disq 11isizioni scientifiche e sottile analisi psicologica sulla scorta degli studi che il Combes ha compiuto e che male Ri adattano - mi sembra - per un complesso di ragioni - alla nostra emigi·azione per l'Argentina. Se è vero che la spinta ad emigrare nelle Americhe non è data sempre dalle vere necessità economiche, onde i nostri lavoratori emigrano a volte senza coscienza e vanno incontro all'ignoto, e ·in un dato momento l'emigrazione transoceanica poté sembrare un vero e proprio fenomeno di follia collettiva, è ancl1e dimC'Rtrato cbe i nostri coloni e i oostri operai, q nel li che q 11i arri vano per impiegare le loro traccia in un proficno lavoro trovi-1no io nn dato periodo del!' anno occupazione facile e rimunerativa. Non si può d' altrn, parte affermare ebe l'innato <•rgoglio dei nostri lavoratori emigrati sconsigli loro di tornarsene in patria poveri, se si riflette ebe dall'Italia si è stabilita da anni la emigrazione detta « golondrina • dagli Arg 0 11tini. Le rondinelle vengono a stormi in primavera e q ni restano quelle che han potuto farsi il nido o hanno pot11to trovate dopo il raccolto un'altra occupazione qualHiaRi che permetta loro di attendere la primavera futnra. Di questi connazionali ve ne sono a migliaia e,. ripeto, è di loro esclusivamente che le nostre autorità consolari dovrebbero occuparsi. Come ? Qui sorge la questione che io mi propongo di trattare in una serie di corrispondenze e che il Console Testa, con l'autorità che devouo avergli dato i molti anni di residenza nell'Argentina avrebbe potuto disc11tere nel seno del Congresso degl' italiani all'estero. Egli deve conoscore certamente i bisogni di quei poveri lavoratori, vittime assai spesso delle ingi nstizie di caudillos politici, che se si sono diradati perché il D<?Strolavoro l'insegue, non sono ancora del tutto scomparsi dai paesi dell'interno. Il Console Testa, che ba la sua giurisdizione in una delle provincie più popolose e più ricche, troppo vasta forse perchè abbia potuto percorrere la zona entro la quale esercita il suo ufficio di tutela, dovrebbe saperne qualcosa. « I nostri lavoratori, i quali trovano nella Repubblica terre feraci, fonti inesauribili di ricchezza (e i latifondi?), egli dice, non trovano sempre la dovuta sicurezza e la dovuta giustizia>. Ed é vero. Ma non n,i sembra afiatto che l'ottimo f,rnziunario, abbia risolto il problema assai complesso della protezioofl dei nostri lavoratori, quando consiglia di dare ai consoli maggiori attribuzioni (µerchè non ha consigliato di aumentarne il numero e di pagarli meglio ?) nè fondando istituti sureriori d1insegnamento, di etti non potranno nsnfruire, pur troppu, lavoratori itali1rni attendati n~l le pampas. Si vorrebbero istituire le scuole tecniche all' Argentina e si dimentica che le associRzioni italiane di mutuo socrorso, forse anche per le muta te condizioni èconomiche dei nostri lavoratori, non sanno come fare a mfrntenere le scuole per il confronto che e:-ise devono mantenere crm quelle del paese che ci ospita, Io sono amico dellfl scuole italiane e non vorrei vederne la fine, per la idealità di questi fancit1lli che balbettano nel uostrio idioinn, ma non mi faccio delle illnsioni e non mi nascondo e~e piuttosto di vederle vivere cosi, di piccole economie fatte sulle medicine degli ammalati preferirei di vederle morire. E' una bestemmia? Ma e' è un'altra ragione che al Console Testa è sfuggita, ed è la lotta sorda delle autorità del Consiglio Nazionale di Educazione contro le scuole estere. La gnerra cb'e si fa alle nostre s;rnole dovrebbe stringerci intorno ad esse in nome di quel sentimento di compatta italianit,à che ha gemmato nella sede consolare del Rosario; ma non è cosi invece e il Console Testa parlandone a Roma che raccoglie tutte le voci, non avrebbe dovuto dimenticare che senza l'intervento del ministro d'Italia, più acccorto e più fortunato di Rltri suoi colleghi, il q11ale si valse artatamente anche i11 quella circost~nza, più che della sua autorità di ministro - che nessuno discute - delle sue inffoenze personali, le scuole si sarebbero chiuse. Cosi il Console Testa vorrebbe le scuole tecniche perché il sentimento della patria nasce solo più tardi, qua.ndo cioè i bimbi abbiano raggiunto la pubertà del c0rpo e quella dello spirito. Quando essi giungono a questo pnnto -:- soggiunge - la scuola. italiana, che non oltrepassa le elementari, è finita per loro. Ecco come noi ci e8altiamo per quel benedetto vizio di esser poeti. Discorriamo troppo di patriottismo e di scuole, come se tutta la nostra influenza dovesse scaturire dalle nostre associazioni di mutuo soccorso ' certo benemerite. ma troppo ·divise perchè ci diano autorità, forza, µrestigio. La nostra ernigrazione, ic questi ulti,ui tempi è migliorata e migliora, ma io sono persuaso che all'estero la funzione delle t1cuole è importante, quando per i me'.tzi di cui si dispone si è in grado di mantenerle al livello delle altre; aHsai più utile può essere in patria per quella stessa vita di pengiero e di azione che i connaz.ionali emigrati deyouo svolgere nei nuovi paesi. E penso che se i bimbi che emigrano quando ancora hanno raggiunto la pubertà del corpo e dello spirito sapessero almeno leggere e serivere, diverrebbero Argentini as~ai più tardi degli a Itri per la forza di assimila11in11edel nuovo ambiente. Riµet,o, io non sono nemico de!IA scuole; dico soltanto clrn non ri::;poudono al loro scopo per le r istrettezze in cui vivono e affermo che se n,)n rifletteranno

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