/ 214 RIVISTA POPOLARE Giratela e rigiratela: la pietà finisce sempre li, quando non sia un bel brano di prosa o un brano ugualmente bello di retorica. in rime. Finisce sempre nella sontuosità di un' opera palese insarcita di lodi e di glorie; quando· non termini con la carità benedetta, che distrugge nell' uomo il senso dalla vita e della conquista. Il tema è all'ordine del giorno. Oggi le anime più grette ed i portafogli più chiusi si aprono al sole della pietà, per gareggiare in un primato di beneficenza. Io credo che molti, i più, offrono 1 cinque, cento, i mille franchi, per quella stessa convenienza per la quale si mette la cravatta ed il colletto. Ogni borgata mira anzitutto all'onore di aver raccolto quanto più poteva: ed ogni individuo mira alla gloria di far leggere, col maggior decoro possibile il proprio nome nella lista del Comitato. E' la pietà di parata: si tratta dell'onore del proprio campanile e della propria famiglia. Poi ... poi tante miserie esisteranno ugualmente; poi poi tanta gente morrà per non potersi curare (oelle grandi sventure almeno non mancano medici e medicinali); poi tanti uomini s'incretiniranno io stesso, per deficenza di cibo o se cibo cattivo, come in tutte le nostre età. Quale fra i maggiori oblatori non si opporrebbe a un aggravio minimo di tasse per l'umanità sofferente? O quale fra i maggiori apostoli della solidarietà umana rinunzierebbe a una parte del pròprio stipendio? L'obbiezione? volgare: ma si tratterebbe più della pietà estestica. Io non voglio con questo distruggere e negare nell'uomo un senso pietoso. Nell'uomo che ha sofferto, nell'uomo che conosce le tristezze e i dolori della vita, c'è 1rn senso di simpatia per chi soffre, u~ senso capace di compiere quelle meraviglie del cuore umano, che dipendono sempre dalla facoltà egoistica di comparazione. E questo senso deriva da una specie di commiserazione per noi stessi, che ci riesce piacevole confortare con la visione nitida dell'altrui dolore. Negare una tale sil1lpatia, sarebbe negare l'affinità degli uomini e la famiglianza della vita loro. Ma questa simpatia, come un intimo dolore, si svolge silenziosa., senza pompa e senza parata uffficiali, e si esplica sempre nella vicinanza di chi soffre. Quande l' uomo e lontano dal luogo della sventura, quando è assente, non vi è che un novello in tento a ricostruire il luogo e la scena. Si: perchè l'uomo è curioso di penetrare freddamente nel dolore altrui; è curioso di vedere come si soffre, come si piange, come si muore: tutto egli vuol indagare pur di accontentare la pl'Opria curiosità morbosa e crudele. E come la folla si abbevera all' agonia dei giustiziandi. alternando scherni e offese al loro estremo attaccamento alla vita: cosi il cittadino, dopo aver versato il proprio obolo nell'urna della beneficenza, corre a godere mezz'ora di svago al cinematrografo, che riproduce le sc·ene più spaventose dell'immane disastro. E per la pietà I... Buona anch'essa per mettere in evidenza tante anime cachetiche, che, senza tale risorsa , non avrebbero ma potut.o emergere. Piccole bestie umane , moralmente non superiori ai così detti " sciacalli • , che, in attesa dei più abili mansioni, risicarono la pelle per un salame o per un litro di olio. Buona anch'essa per trastullare il pubblico annoiato. Ma si capisce : l'uomo essendo poco pietoso, quando pnò esserlo, si diverte, per il piacere di esserlo. FERRUCCIO LUPIS ~TBLL<;NCINI LBTTBR:fa\:RII XLIII. L'arte di parlare in pubblico - Contro avvocati o medici - Favole ed apologhi sociali - Psichemalata-Patria ed urna• nità - Il vangelodella vita - Sant'lsidoro - Juliette - Dalla spuma del mare - Versi - Letteratura giovanile. Angelo Majorana, ch' è uno dd più facondi oratori della Camera nostra, ha scritto un libro su L'ARTE DI PARLARE IN PUBBLICO (Milano, Tre·,es): ed io mi sono affrettato a procurarmelo e a divorarmelo, e a farmene sangue del mio sangue, io che di quest' arte, e particolarmente della sua forma più modesta , ma anche piu schietta , più viva , pit\ feconda , la lezione , sono oramai un veterano, dopo un quarto di secolo <lacchè ho salita la prima volta la cattedra. Arte vecchia, invero, come la stessa civiltà umana, ·e glorificata già dai più antichi poemi , dalle storie più remote, d' ogni tempo e d' ogni paese , ma rinnovata e rimutata con vicenda perenne ad ogni cangiar di regimi, di fedi, èii criterf, di gusti : sicchè un libro come questo dovrebbe quasi rifarsi ad ogni generazione, per adattarlo alle sempre rinnovate e incalzanti esigenze ; ma risulta più che mai opportuno al dì d' oggi, in cui il progresso civile e sociale va sempre più spostando la somma del potere e della sovranità dai pochi ai molti , dai privilegiati alle masse, dai forti agi' inermi , dai ricchi ai poveri, dall'aristocrazia alla pkbe. In simili condizioni, e la nuova arma 11 non è più, come. nel libro di Mario Morasso, la macchina, ma la parola; e, d 1 preferenza, la parola parlata, più accessibile a tutti, più immeJiatamente comunicativa e persua~iva, più riccamente dotata che quella scritta, di suggestioni, di fascini, di malìe, di potenze seduttrici e conquistatrici : strumento quasi onnipotente di propaganda e d' unione , leva quasi irresistibile a smovere inerzie , a schiantar resistenze , a precipitar frane e valanghe di volontà collettive, capaci di stritolare o di sepp~ltire ogni ostacolo. S' intende 1 che a questo non bastano più i vecchi razzi e le sfatate risorse della retorica puramente letteraria; che per essere eloquenti, nel ventesimo secolo, bisogna essere psicologi e sociologi , critici e naturalisti , uomini di mondo e tempre d'organizzatori; e che Angelo Majorana, professore ed avvocato, statista e conferenziere , deputato e ministro , pubblicista ed oratore , aveva a sua dispusizione tutte le attitudini e tutta l'esperienza necessaria ad assolvere l'arduo còmpito che s'era proposto. Questo libro , come ogni altro di teorica e precettistica d'arte, non ha il potere, naturalmente, di conferire con formule magiche o con ricette infallibili il dono dell'eloquenza a chi da natura non l'ebbe: oratores jìunt, va bene: ma non ex mhilo : si fanno , cioè si formano , si perfezionano , con I' esercizio, con lo studio, con la pratica, con l'esempio, ma aila condizione, sine qua non, comune a tutti gli artisti, che ce ne sia la stoffa iniziale, la vocazione primitiva.
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