Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XV - n. 5 - 15 marzo 1909

RIVISTA POPOLAkE 133 padrone; e questa identità di tendenze dette l'unità. alla storia del Comune. Tutte le misure immaginabili erano state 1;rese per impedire lo stabilimento d1 un potere centrale unico. D'onde l'instabilità sistematica del governo e la breve durata della magistratura, !a molteplicità delle istituzioni , I' assenza della limitazione dei poteri. Questa instabilità rimproverata da Dante ai Fiorentini era una loro qualità perchè così a Firenze nulla ostacolava l'azione delle energie individuali. La fortuna era sempre il prodotto di uno sforzo personale e i fitli non pote ·:ano godere nell'ozio dell'eredità paterna. I Medici per pervenire al primo rango e mantenervisi spiegarono del genio. Quando la tradizione della libertà era ancora viva, t.ra un vero tour de force conservare per sessantannidal 1434 al 1494 - una sovranità di cui tutti avevano coscienza. Il segreto della loro forza sta va sopra tutto nell 'abilità colla quale si conciliarono la simpatia generale e addormentarono la coscienza popolare. Dettero a Firenze uno splendore sino allora mai raggiunto; ma essi conservarono un'apparenza familiare di bonomia che li rendeva accessibili a tutti. Erano già dei principi, e Lorenzo particolarmente era trattato come tale negli altri Stati d'Italia, ma erano ancora dei commercianti che si occupavano personalmente dei loro affari e vivevano come tutti gli altri loro concittadini ricchi. Ci volle I' arroganza e la balordaggine di Pietro figlio di V>renzo e la forza di suggestione di Savonarola per provocare l'espulsione dei Medici. Ma nel secolo XVI i Medici raccolsero i frutti degli sforzi dei loro antenati e divennero du_;hi di Toscana. Le rivalità delle famiglie ricche .;.agionavano a Firenze come altrove il desiderio della loro gloria o della loro p· tenza propria piuttosto che il bene della Repubblica. Ma esse producevano un 5enere di emulazione superiore a quello comune. Non c'era il lusso di cattivo gusto dei parvenus, che spendono in piaceri grossolani il meglio delle loro rendite. Essi accr e scevano lo splendo. e della città sia colle feste splendide, che davano; sia coi monumenti che innalzavano o colle opere d'arte, che facevano eseguire. Era nei luoghi accessibili a tutti che i ricchi mettevano in mostra il più grande lusso e gli stessi loro palazzi brilla vano di più per la beltà e la grandiosità della loro architettura che per la suntuosità degli appartamenti. Buon numero di questi palazzi avevano una Loggia aperta che dava ospitalità agli uomini di affari e ai ginochi dei fanciulli e alla celebrazione delle cerimonie familiari. Gli spettacoli più magnifici erano accessibili a tutti. Vi s'incontravano dapertutto, si avvicinavano incessantemente tutti i cittadini tra loro e nessuno si sentiva straniero all'altro. La città aveva un'anima unica, alla quale tutti partecipavano. Il Fiorentino perciò erà fiero ed orgog[ios ; della sua Firenze; Firenze per lui era il mon:io e l' esilio era la punizione più grave, in cui poteva incorrere. Dante in mezzo agli splendori del Paradiso pensa con malinconia al suo esilio e spera che il suo poema gli riapra le porte di Firenze. Fra i cittadini e la repubblica fiorentina esisteva un legame naturale nell'ambiente fisico e nel fondo comune del carattere: erano attivi, di uno spirito vivo e netto, amavano lo scherzo, erano artisti, dotati ad un tempo di un grande senso pratico e di una terribile immaginazione che poteva allontanarli dalla realtà ; eran" ricchi di quei contrasti che suno l' indice della fermentazione interiore d'onde sorge ogni vita creatrice. Avevano il sentimento del!a comunità della loro natura e questo sentimento si manifestava coll' amore ch1.. essi portavano alla loro città e coli' orgoglio che ponevano nel vederla bdla e potente. Con ciò non sì vuol dire che fossero uniti come fratelli e che non vi fossero antagonismi tra. le classi sociali. Tu_tt'altro. Ma non c'era divisione radicale, contrasti acuti, l'assenza di ogni legame di ordine economico o morale tra due parti della popolazione come lo conosciamo oggi. Il ricco mercante fiorentino sfruttava l'operaio; ma direttamente e quasi paternamente. Non c' era il rentier moderno , occupato soltanto a tagliare le cedole, colle quali preleva la sua parte di benefizio dalle intraprese di cui ignora la natura e il funzionamento e che non ha mai visto. La vita oziosa del capitalista moderno era senza esempio a Firenze; era condannata in principio, perchè era necessario di essere iscritto in una del:e corpora zioni per accedere alle cariche ufficiali. Le fortune non ·erano stabili e nella famiglia prevalevano le virtù domestiche. I ricchi avevano delle conoscenze tecniche profonde e a' intendevano del commercio proprio. Esisteva un debito pubblico, il monte comune, che rendeva nominalmente il 5 °fo e in realtà tre volte di più; tale debito cresceva e varia va colle fluttuazioni politiche ; enormemente in tempo di guerra e per pagarne gl'interessi si ricorreva alle imposte producendosi dei fenomeni analoghi a quelli odierni, ma in proporzioni minori e di molto. L'imposta non pesava interamente su tutt ' il popolo. Le imposte sul consumi erano molto più lievi di quelle attuali e le imposte dirette colpivano più i ricchi che i poveri. Que!li che nulla possedevano nulla pagavano. Lo sviluppo della grande industria ha prodotto un peggio - ramento del lavoratore colla uniformità della sua occupazione specialmente; nulla di simile a Firenze. Solo certi mestieri in sott' ordine , come quelli dipendenti dall' arte della lana - cardatori , battilana ecc. - ricordano gl' inconvenienti della moderna grande industria. La maggior parte dei mestieri ri • chiedevano destrezza manuale , intelligenza e talora un senso artistico. I piaceri estetici non erano nè ecce,ionali, nè aristocratici. Non si faceva distinzione tra il mestiere e l' artt. Il lusso .ion aveva il carattere di superfluità che gli si attribuisce oggi; rispondeva a un bisogno profondo, risentito dalla generalità. A questo bisogno rispondeva una folla di artigianiartisti, di cui si è perduta la rana coli' arte industrializzata odierna. I piccoli padroni oggi vegetano miseramente non hanno abilità, non hanno spirito d'iniziativa più degli operai. A Firenze, invece, erano la maggioranza, inventavano ed ese. guivano un'opera perft:tta, perchè la conoscenza dei mezzi tecnici reagiva sull' inve ..zione e l'invenzione alla sua volta animava la tecnica. Questi maestri avevano attorno a loro un piccolo numero di allievi che educavano e perfezionavano. Ma nel secolo XV le corporazioni già decadono, lo spirito di corpo si perdeva e la concorrenza individuale la sostituiva. Il popolo aveva pic:olo potere politico; il governo era nelle mani della grossa borghesia. Le sette arti maggiori-giudici, notai, medici , banchieri , mercanti di drappi, di seta ecc. - nominavano tre quarti dei magi~trati; le quattordici arti minori si dovevano contentare del resto, Ma se il popolo non aveva il potere riconosciuto dalla legge era forte pel numero e in tempi di lotte civili questa forza temuta poteva determinare la vittoria ; e siccome un partito non poteva trionfare che con un colpo di mano, così gli ambi1iosi lusingavano e corteggiavano il popolo e ricercavano i suoi favori. Così agirono i Medici nel secolo XV. Perciò a Firenze tutto favoriva lo sviluppo delle individualità. Le istituzioni sociali teoricamente difettose non mantenevano nella miseria il popolo e i mali del popolo derivavano maggiormente da cause sociali: dalle epidemie e dalle carestie ch'erano più frequenti che oggi. Minori i danni delle carestie, perchè la repubblica era ricca e provvedeva ali' acquisto del grano. Malgrado la sicurezza relativa , di cui godevano la città e il contado , c' era la guerra tra i flagelli di cui soffriva tutto il popolo. Era fatta per mezzo di mercenari , che avevano come scopo il loro profitto personale e preferivano devastare i campi e saccheggiare le città anzichè dare delle botteghe,

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