Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XV - n. 4 - 28 febbraio 1909

92 RlVISTA POPOLARE di terre che soprattutto nel Sud attendono ancora per produrre l'opera fecondatrice dell'uomo; al numero d' Italiani che cercano lavoro qui e alla quantità di lavoro che cerca braccia altrove. E quando si osserva che per ora fra questi due estremi non c'è cornunica:i.ione o trasfusione, sembra imperiosa la necessità di provvedere in qualche modo. E' chiaro che l'immigrante che arriva a NewYork, Boston o Philadelphia trova facile lo stabilirsi nella ~rande città. E' assai poco arduo il trovare oc.:upazione nella citrà porto di mare, dove ci è lavo· o per tutti e ne avanza tanto che l'immigrante risparmia tempo e fatica accettandolo lì, su due piedi, qualunque esso sia. E' naturale che si fermi lì, perchè, inoltrandosi nf'l paese per lui sconosciuto, troppo spesso riscontrerà che la sua ignoranza della lingua, le condizione d'isolamento, l'ambi ente, tutto in genere si manifesta contrario a qualsiasi tentativo di irradiazione. Finchè è coi suoi amici, parenti, compaesani, si sente a posto. Ed è naturale, date le condizioni in cui gli verrà fatto di trovarsi fuori della città affollata che non si senta a posto se non quando è nel congested district cittadino. A noi tocca ora fare in modo che fuori non si senta sperduto. Non è, come troppo comunemente si crede, non è che l' immigrante si voglia fermare nel congested district perchè è sporco, perchè vi costa poco l' alloggio perchè è malsano e antigienico o per tutte quelle 3ltre immaginarie ragioni che altri, specialmente gli osservatori inesperti e superficiali, adducono a suo nome o emettono come opinione propria. Si ferma lì perchè lì trova lavoro, richiesta e paga per il suo lavoro, perchè quello che gli offrono è il lavoro che gli occorre, da eseguirsi a condizioni che gli convengono, in mezzo ad un ambiente familiare, l'ambiente paesano. Fi nchè voi gli offrite condizioni migliori di guadagno nella città, non possiamo aspettarci di trovarlo pronto a faticare e soffrire fuori della città, in omaggio alle teorie della sociologia e magari ai desiderii di questo ottimo Comitato e autorevolissimo Congresso. L'immigrante non conosce le teorie sociologiche o i principii dell'igiene, conosce la pratica della vita dal punto unilaLenle ma ultra importante del guadagno, e prima Ji tutto cerca di accomodarsi dove la soc.ioiogia o chi per lei o contro di lei gli darà da mangiare, vestire e guadagnare per sè e la famiglia. E' vero che ci rimette un tanto di salute e che la razza degenera, ma egli non ha l'idea del valore etico e civile della salute deil' integrità della razza. Non accusatelo di favorire la congestione: la congestione è favorita dalle nostre condizioni industriali, d2lla nostra connivenza ad un ordine di delitti sociali che non tentiamo nemmeno di condannare, nonchè combattere. Noi siamo l'elemento c0nsapcvole: l' immigrante è inconsciente. I doveri sono nostri. P1 ovvederc alla distribuzione tocca a noi: non dobbiamo aspettarcela da lui. Si è detto e strepitato tanto intorno all'analfabetismo dell'immigrante, e ora siamo noi, noi che sappiamo di letteratura e di matematica e de quibusdam aliis che abbiamo il coraggio di domandare all' anaffabeta e di attendere da lui la soluzione di questi gravi problemi? A noi tocca fare, se qualcosa si possa fare, come è chiaro che fare si deve. L'immigrante è designato a lavorare di braccia ed è pronto a farlo, non ad occuparsi della cosa pubblica. Nè per risolvere il problema vogliamo l' esclusione. Distribuzione é necessaria , non esclusione. Se mettete la gente fuori del campo, non avrete battaglia, ma nemmeno vittoria. Mettetela sul campo ma datele buoni condottieri e dalla battaglia emergerà il trionfo. Per assicurarci questo trionfo dobbiamo dunque mettere l'immigrante in condizioni tali che favoriscano l'evoluzione delle sue buone qualità, e per far ciò dobbiamo studiare sui luoghi dove queste buone qualità hanno avuto occasione di dimostrarsi e di esemplificarsi. Attraverso tutto il paese, dappertutto dove ci sono delle piccole ltalie, fuori dei terribili congested dislricts, troverete del buono.: Troverete che la criminalità tanto deplorata non esiste nè meno sporadicamente dove la Piccola Italia è davvero tale, dove alla gente è possibile vivere in condizioni decorose, se pure modestissime. Che cosa sa l'immigrante delle vere condizioni della vita civile. in questo paese? Egli è messo a marcire nel distretto più miserabile per condizioni ambiente e affinità; i primi cittadini americani che incontra sono policeme!l e salonisti (tenitori di bars e spacci di liquori). Ciò che egli vede e che tutti si fanno un dovere d'imprimergli bene in mente è la violazione, la corruzione o l'applicazione della legge per proprio conto; della stessa legge non arriva mai a vedere l'ordine, la maestà la bellezza. Molte volte non sa che questa legge esista finchè non si trova condannato per averle contravvenuto. Coi cittadini del buon governo, colle Gle di coloro che in politica combattono la buona battaglia , l'immigrante non viene a contatto mai. Fortunatamente queste condizioni accennano a cambiare in alcune delle minori città, dove il piccolo commercio e la specializzazione dei mestieri rendono più facile l'accesso alla vita cittadina. Voi :-icordate come, nel libro famoso ancora nei nostri giovanissimi anni, Topsy era « sbocciata » in questo modo. Ebbene, allo stesso modo mentre ci sono state delle Piccole ltalie premeditate e premedi tatemente stabilite, ci Hono anche delle Piccole Italie che si trovano sbocciate senza saper come, e fanno ottima riuscita. Andate a veJere quegli immigranti rurali e li troverete al lavoro sopra piccole e sopra grandi farms, uniti nell'onesta opera quotidiana, troverete che sono buoni italiani e buoni italiani e buoni americani allo stesso tempo, che le preziose qualità ereditarie ·dell'italiano e il sen_s? dell'ordine pubblico americano hanno in loro frutt1ticato. Ricordo di aver parlato in città e villaggi diversi con cittadini e magistrati indigeni , e tutti hanno avuto parole di lode per il settter itaiiano. Dal Michigan, all'Alabama e dal New Jersey all'Arkansas troveretno sui nostri passi una vera horitura di coloniette italiane notevoli per le loro buone attività altre ne troviamo nell'estremo Ovest, altre le abbiamo qui alle porte della città. . Piantano, seminano, trafficano, vendemmiano, queste coloniette permanenti, mentre le masse dei lavoratori della pala e del piccone, peregrinando per tutte le regioni del paese , fanno un altro lavoro non meno necessario e fecondo. Nel Sud, ove la terra spopolata chiede braccia e può quindi grandemente contribuire all'opera di sfollamento da noi auspicata, ci troviamo tuttavia di fronte a gravissimi prl;blemi. Il Sud ha bisogno del lavoro italiano, questo è un fatto. Dovunqne l'italiano ha trovato da fare, ha dimostrato che meritava la buona occasione, ha dimostratto sulle farms che è competente in materia agricola, e che il suo lavoro è così infinitamente superiore a quello del negro che ogni paragone sarebbe assurdo. Ma appunto per questo deve essere trattato da uo:110 e non dev'essere nella mente di un foreman bestrnle qualcosa d'intermedio fra l'uomo bianco e l' uomo nero com e qualche volta di lui si pensa.

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