RIVISTA POPOLARE 467 « nella te1 re. dai Faraoni, ed il delicato suono vi ac- « compagnava fra le palme ed i tamarischi del Nilo « come una soave melodia della patria lontana >. FRANCESCO FERA ~TBééONeINI éBTTBR~RI XXXVIII Il castello dalle mille candele - Destino fatale - li diritto di amare - La profezia - Idillio moderno - I due imperi - Il pupazzettofrancese - Vocidei lari - Satira clvUe - Pagine di storia comunale - Opuscoli - Per la scuola nuova. Quando ho letto sulla copertina d'un denso volume della S. T. E. N. il nome esotico, anzi transoceanico, di Meredith Nlcholson,e il titolo fantastico e transnaturalistico di IL CASTELLODALLEMILLECANDELEh,o sùbito provato l'impressione d'un dovere pesante da compiere, di una lettura antipatica da subire. Io ho infatti provata sempre, fin da ragazzo, una cor - diate avversione per questa sorta di romanzi e di romanzieri, che escono dalla realtà e dalla verità, dall'osservazione e dallo sperimento, pcr abbandonarsi alle più pazze creazioni della fantasia, non più trattenuta da alcun freno, nè governata da alcuna ragione. lo sento in simili orgie d' immaginazione un non so che di puerile, di primitivo, di atavico, e, se vogliamo, anche di un pò pazzesco, da cui la mia anima di uomo maturo, non solo individualmente, ma etnicamente, cioè prodotto e nu - trito da una civiltà due volte millenaria, ripugnll assolutamente, come dai piaceri troppo semplici e grossolani dei barbari e dei sel_vaggi,dalle • fantasie n degli abissini, dalle ore hestre dei pellirosse, dalle agapi dei neozelandesi, :!alle danze dei papuasi. In tali condizioni di spirito, lo confesso, e pensando, per contrasto, a Gustavo Flaubert e a Gabriele D'Annunzio, ho affrontato, dunque, il romanzo yankee: f, come avviene per certe donne brutte ma affascinanti, antipatiche ma domir-atrici, che si detestano ma si subiscono, si odi~no ma si a:nano, volli giun gere alla fine, e, giuntovi, rimasi scontento e mortificato ... e ben persuaso che un 'altra volta, come per il p~ssesso di un 'altra di quelle donne fatali, rifarei la stessa bestialità ! E come per la donna si trovano poi le scusanti, i pretesti, le giustificazioni, di un profumo, di una trasparenza, di un gioiello, d'una qualunque s_eduzione occasionale ed e~trinseca, così qui per il libro io spiegai a me stesso il fenomeno di averlo letto d' un fiato, in una sera, sacrificando il passeggio, la granita, i convegni amichevoli, e poi anche una buona parte del sonno e del riposo , dicendo che era solo pel singolare sapore stilistico, pel raro profumo di nuovo mondo, pei lenocini dell'imprevisto e dell'inverosimile, persino per i caratteri c.>sÌ chiari ed aerati e per la carta così leggiera ed opaca da quasi sopprimere ogni sforzo dell' occhio ed ogni fatica dei nervi... Ma la verità vera, è forse quest'altra : che l'autore segue un'estetica molto diversa dalla mia, ma è, dopo tutt J, un artista autentico : precisamente come quelle tali donne non hanno belli, forse, nè le forme, nè il colorito, nè i gesti, nè la voce, nè gli occhi, nè la chioma, nè le orecchie, nè la bocca, ma sono pericolosissime lo stesso, soltanto perchè molto femmine, dalla punta dei capelli all'estremità delle unghie: e sul maschio, è questo, che fa presa: com!, appunto, ciò che fa presa sul critico è l'essere artisti. iil Altro romanzo straniero, o almeno semistraniero , ma do• vuto a penna femminile: FATALEDESTINÉE, della principessa Enrichetta di Ginettl, nata Kellermann de Valmy (Torino, S. T. E. N.): un'artista anche questa, diciamolo subito, un' artista della stecca e della penna insieme, ma che io finora non conoscevo che per la prima di queste sue virtù : un' artista curiosa, in questa sua nuova manifestazione, e che m'ha lasciato per molte pagine a ;sai perplesso, pure finendo per conquistarmi essa pure. A prescindere, infatti , dai frequentissimi errori di stampa che rendon bizzarra l'ortografia del volume, la I ingua in cui è scritto, mi fa l' impressione di non essere quella in cui fu pensato: è un francese da persona che lo conosce bene , ma che non lo parla abit_ualmente , sopratutto con sè stessa, nei lunghi e continui soliloqui della cosciel'za; pagine intere sanno di traduzione, per quanto ben fatta: l'amore forse, l'ambiente certo, han più che mezza italianizzata l' intellettuale principessa renana •.. Devo aggiungere , che l'impressione generale che m'è rimasta di questa sua prosa è la stessa che molte volte ho provata davanti a pitture, a sculture, a composizioni musicali di dilettanti bravi: le quali hanno sempre una fi.sonomia diversa da quelle dei professionisti di egual valore : artisti gli uni e ~li altri; ma quanto più « finito », perfezionato, smaliziato il professionista, e quanto più sciolto, ingenuo, disuguale il dilettante ! Difetti che sono anche pregi, pregi cli.e sono anche difetti: il libro della Valmy-Ginetti ha tutta la freschezza, il piccante, il curioso d' un dilettantissimo d'alto bordo, ptù tutto I' incanto delle cose sentite (non dico vedute , poichè in tutto il libro non c' è una riga di vera e propria descrizione, e perchè le donne, per quanto intelligenti, non sanno artistimente « vedere » se non per rara eccezione), delle cose sentite, dicevo dunque, da sensi e da nervi e da viscere femminili, ha tutta l'amabile prolissità delle chiacchiere da solotto, dei racconti che le signore si fanno nei loro interminabili babillages, tra una tazza e l'altra di thè, e che si ascoltano da noi uomini con un sorriso indulgente e sornione , di buongustai, assai più che per ciò che dicono, per la musica delle voci, per l'eleganza dei gesti, per il fulgor degli sguardi, per la malìa dei sorrisi, per il profumo delle toilettes ... In quanto alla tela di questo racconto, è superfluo so,zgiungcre, che si tratta d' una storia d'amore, e, s'intende, dello amore di due donne per un uomo solo, che, si capisce, non domattderebbe di meglio , se non fosse il guaio dcli' incom - patibilità di carattere fra di esse: le quali, tuttavia, finiscono per abbracciarsi, alla fine, ricongiunte dal dolore comune, sul cadavere del\' amato. PER IL DIRITTOn' AMARE,Mario Urso , editore Giannotta a Catania, ha scritto questo suo primo romanzo, e per la rivendicazione di molti altri diritti, e per la preparazione d'una società migliore, egli si propone di scriverne tutto un ciclo, del quale già altri due sono abbozzati: « Giorgio Precorre » e « L&i città del fango ». Insomma, è press'a poco il programma di Emilio Zola nelle ultime cose sue: mettere in luce l'esistenza, reale ma profetica, delle poche creature d'avvenire che già cominciano a fiorire nel nostro mondo presente , così p-:>polato ancora di folle superstiti del passato, di veri antenati, di veri progenitori atavici, che pure, corporalmente, e come per un fatto di reincarnazione e di metempsicosi, son giovani affatto, hanno meno di quarant'anni, meno di trenta, meno di venti ... Mario Urso , invece , è giovane veramente , anche di spirito, ed il suo proposito, se può parer presuntuoso, è nobile, tuttavia, ed è segno di forza intellettuale e morale disciplinata e cosciente. In questo primo suo saggio, i due protagonisti, che del resto hanno già avuti precursori a migliaia di migliaia, infrangono le catene cd abbattono le barriere della istituzione famigliare, e si amano, come cantava in certi suoi versi giovanili un poeta intimissimo mio, (< senza disturbo: di prete o sindaco » : o almeno, senza nuovo disturbo poichè la brava signora Teresa,
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