Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XIV - n. 14 - 31 luglio 1908

RIVISTA POPOLARE 371 e conseJuenzedi disfatte politkhe. Ma a tanto c essi non vorrebbero arrivare, essi che alle apparenze della giustizia tengono ed hanno ancora la sens\bilità delle parole troppo crude ». tt E occorrertbbero infatti parole assai dure per giudicare l' at·c:ggiamento d'un gruppo d'una classe di cittadini che mirano a forzare o deviare I' azione del parlamento sotto lo stimolo della paura elettorale. Perchè c'è un dilemmadal quale non si può sfuggire: o gl'impiegati hanno maturata nella loro mente la bontà delle teorie socialiste, e allora non s' intende la minaccia di diventaie ciò che si è, o nel partito socialista vedono solamente un mezzo di creare imbarazzi al Governo e di metter paura ai deputati malcerti del futuro nel loro collegio, e allora il loro contegno è ancor più biasimevvle, e in esso vi avrebbe l'assoluto disconoscimento di ciò che può o,- gnificare educazione politica i! di tutti gli elementimorali che de<·onocostituire la dignità di un uomo civile ». e Questo insistere e persistere nel giocare con le opinioni fa ìntenJere fino a qual punto la politica può diventare lo strumento di tutte le opinioni particolari e come, in tale stato di cose, corre rischio di rimanere sopraffatto l'interesse generale del paese Peggio: questa disposizione a considerare i partiti - che pur vogliono avere un serio contenuto politico e sociale- come dei semplici spauracchi e le idee come dellt: armi ;.er le ve-idette e dei rifu"i pei rancori, dim(stra quanto cammino si debba ancora fare er arrivare alla piena educazione civile degli italiani 1 • Il fatto che un giornale come Il Corriere della Sera si associò nel mio giudizio sulla lettera ricattatoria a chi conosce i metodi polemici della stampa socialista lasciava comprendere che sarei stato accusato, come altre volte, di conservatorismo. E infatti la coincidenza nel giudizio venne già rilevata da Claudio Treves nel Tempo (22 luglio). Non mi fa nè caldo, nè freddo ; nè ho bisogno di ripetere ciò che altra volta scrissi qui stesso e nel Lavoro di Genova. Se questo fosse un tòrto per me lo sarebbe più grave per Turati, per Bissolatj e per altri rappresentanti del socialismo riformista; i quali ebbero spesso le lodi degli organi del governo per la loro temperanza e ragionevolezza. Si sa ciò che rispose Giolitti ad una mia interruzione alla Camera: con quella risposta il Presidente del Consiglio volle stabilire· la netta distinzione tra il mio sovversismo e la benemerenza di Turati, che stava entro l'orbita delle istituzioni • e che poteva diventare Ministro sotto la Monarchia; ciò che esplicitamente e lealmente dichiarò Bissolati nella Nuova Antologia. Di che nè mi sorpresi, nè credetti mai che il fatto costituisse un demerito per Turati, quantunque i socialisti rivoluzionari e i sindicalisti gliene movessero e glie ne movano aspro rimprovero. Come e perchè ciò eh' è un merito per Turati secondo i socialisti riformisti possa divenere un demerito per me, il cui conservatorismo repubblicano è oggi ciò che era 30 anni or sono, non vale la pena d'indagare. Ma l'articolo accennato del deputato per Milano, che porta il titolo significativo di Revolver elettorale ! non si limita a segnalare l' approvazione che era venuta alle mie critiche da parte del Corriere della Sera; va più in là. Nitscianamente, direi, che va al •·di là del bene e del male. Claudio Treves, infatti, sorge a difesa non del solo caso Nurra, ma di tutto un sistema che a quel caso s'informa e ne fa un titolo grande di onore al partito socialista, che lo ha adottato e allargato nell'applicazione. Nulla di più paradossale e di più anormale di un uomo d'ingegno non comune costretto a difendere una cattiva causa. Il sofisma ed un certo speciale coraggio , che si suole chiamare di ordinario con parola più cruda, allora inesorabilmente vengono fuori da ogni linea e da ogni parola. Così Claudio Treves per difendere il contenuto della lettera del Nurra e proclamarlo corretto ed altamente meritorio non esita a paragonarlo nè più nè meno all'avviso di un giornale o di una rivista, che mette tra le condizioni di abbonamento il relativo prezzo da pagare. Nurra avrebbe detto ai deputati: « volete i nostri voti? respingete la tale legge ! )>. Il direttore del giornale e della rivista direbbe a chi desiderava l'uno o l'altra: « Vuoi la rivista? Paga cinque lire e l'avrai ! >>. Offenderei me stesso ed offenderei i lettori della Rivista se m'indugiassi a combattere siffatto paragone e le conseguenze) che ne scaturiscono. Del resto non è facile oppugnare certe differenze, che vengono avvertite o no secondo il diverso senso morale degli individui ; e ciascuno è padrone di averne uno, che anche non possa riuscire gradito ad un altro. Il Treves, perciò, considera questi rapporti come negoz.i;_ nei quali il partito socialista ha messo la sincerità, conchiudendoli alla luce del sole, mentre prima tra il parroco e il candidato si conchiudevano di nascosto. In ciò egli vede « una « enorme conquista di educazione politica », che si deve al partito socialista ... Ora il caso Nurra, disgraziatamente per Claudio Treves, mancherebbe· della caratteristica che stabilisce la legittimità del negozio: della pubblicità, eh' è la condizione sine qua non in questo caso, delle sincerità. Se nella lettera non si trattava di un ricatto politico, perchè non renderla impersonale, pubblicandola in un giornale che fosse l' organo dei negozi della Federazione degli impiegati civili di Milano? La lettera, invece, era indirizzata al singolo deputato; era tanto poco pulita, che non era destinata alla pubblicità. Se la conobbi io, e poscia dalla audacia del Nurra fui costretto a pubblicarla, ciò si deve ad un vero accidente. Se questo poi è un negoz.io legittimo e altamente morale non si comprende perchè non sia altrettanto legittima e morale la vendita dei voti. L'elettore come il direttore del giornale o della rivista, dice al candidato: « Vuoi il mio voto? Dammi cinque o cento lire; se no, non l'avrai e lo darò a chi me lo pagherà anche di più >>. Il Direttore del Tempo ·previde il ragionamento e mise le mani innanzi conchiudendo con altri paragoni, che a me sembrano mostruosi, per quella relatività dei criteri morali, che non si possono ridurre nè a forme giuridiche, nè a formule matematiche. Egli aggi unse: t( La legittimità del contratto è sicura appena non si possa dire che chi lo propone non lo fa per calcolo di interessi personali, ma per calcolodi interessi generali, interpretati, s'intende, secondola propria particolarecoscienza.Turpe è colui che mercanteggia il suo voto per cinque lire , o per un impiego o per una grazia. Ma l'amnistia, ma l'insegnamentoreligioso, ma la libertà degli impiegatisono ..-. evidentementeconcezionico~tradditorie,ma sempredi interessi generali. Sono idee politiche di cui è lecito cercare il trionfo da parte dei partiti imponendoleai candidati ed ai deputati che vogliono godere dei voti dei partiti che le propugnano I ». Il paragone tra il movimento per l'amnistia, di un fatto, che doveva riuscire a beneficio altrui, di individui che si ritennero iniquamente condanna~i, con la lettera Nurra mi sembra semplicemente mostruoso. 11 paragone colle leggi Pelloux, coll'insegnamento religioso ecc., di assoluto ed incoutrastabile interesse generale, rappresenta uno sforzo sofìstico gigantesco. Che nello Stato giuridico ci fosse stato, attraverso allo interesse di una classe, quello dei singoli individui, che la compongono; attraverso alla forma degli interessi morali nella legge sullo Stato giuridico non ci sia stato quasi esclusivamente l'interesse materiale, solamente chi ignora la genesi e le manifestazioni del movimento dei funzionari può affermarlo ..... Claudio Treves non

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