Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XIV - n. 9 - 15 maggio 1908

242 RIVISTA POPOLARE Noi crediamo che sarebbe stato atto deplorevole di debolezza prendere a norma delle deliberazioni riparatrici l'equita prin:a che il dominio della legge venisse pienamente confermato ed applicato e prima che i ferrovieri acquistassero b convinzione della efficacia dello articolo 56 e della responsabilità , cui vanno incontro quando agiscono con criminosa leggerezza e con dis:1strose conseguenze per lo Stato e per la società , violandolo allegra men te. Ma le discriminazioni sulle diverse responsabilità dei puniti riteniamo che s' impong:1no e suggeriscano gli opportuni temptramenti , che rendano più giuste e più incensurabili le punizioni. Non siamo seguaci ed ammiratori di Dracone, che tutti i reati voleva puniti colla pena di morte perchè a quelli lievi la riteneva applicabile e per quelli gravi non trovava pena più grave da applicare. In questo caso la clemenza rappresenterebbe una attenuante o una correzione delle severità della lèggc scritta, che ha con se i11esor:1bilmente una certa rigidità , che non consente le numerose e spesse volte imprevedibili differenziazioni nelle condizioni di fatto e nelle conseguenti diverse responsabilità. Se la clemenza non intervenisse in favore di Peraudo e di Cabianca rimarrebbero draconianamente colpiti con pena uguali i più e i meno colpevoli. Noi la consigliamo , quindi , in nome della giustizia anzichè della opportunità politica ; e ci crediamo in dovere di raccomandarla noi, che verso i ferrovieri abbiamo saputo mostrare di non avere debolezze codarde e condiscenze pericolose e che sapremo ali' occasione riprendere la nostra attitudine di combattimento, quale altre riviste ed altri giornali politici p,er viltà o per altri motivi non lodevoli, non han110 assunto. Ciò premesso diamo la lettera del Drago. la Rivista Roma, 26 aprile 1908. Caro Cabianca La IV. Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto che coi provvedimenti presi contro i ferrovieri scioperanti non si è violata la legge. Tranne Toni ni, legittimamente assente per malattia e perciò nel1' assoluta ed intuitiva impossibilità di cadere comLmque sotto la sanzione del famoso art. 56, voi e gli altri siete rimasti «dimissionati volontariamente». Il i:aso Tonini, del resto, era di per sè la dimostrazione immediata ed irresistibile del modo con cui fu applicato l'art. 56; modo, che nella ipotesi più benevola per l'Amministrazione delle ferrovie dello Stato, e pur considerato il momento eccezionale, si potrebbe definire e a mosca cieca >): tanto più se si pensi anche al casJ vostro e a quello di Allais ( per non parlare degli altri), nei quali la severità dell'Amministrazione appare meno grottesca ma non meno irragionevole che nel caso Tonini. Ma tutto ciò non importa. La IV. Sezione del Consiglio di Stato era giudice del.la legittimità, non del merito dei provvedimenti impugnati da noi. Un provvedimento, lo sapete bene, può esser conforme ad una data legge, e non conforme all'equità, alla giustizia ed alla logica comune. Figuratevi p'Ji quando si tratti di una legge di eccezione e di guerra, come il famoso art. 56 della legge 7 luglio 1907. Se però è chiusa una questione di legittimità, resta aperta una questione- di giustizia e di opportunità, ed anche di lealtà e di onestà. La questione_, alla quale io guardo non soltanto nell'interesse dei ferrovieri «dimissionati», ma nel1' interesse medesimo di uno dei più importanti servizi pubblici, è questa. Dalle stesse dichiarazioni della Direzione Generale delle Ferrovie nella sua difesa avanti il Consiglio di Stato, risulta che si vollero considerare come " dimissionarii volontari >)quei soli f-: rrovieri che avessero «trascinati colleghi o dipendenti» allo sciopero; e punire tutti gli altri con mis~ire meno severe. Posto tale criterio, è evidente che, anche secondo la Direzione Generale, sarebbe ingiusto l'esonero dei ferrovieri che non avessero trascinato colleghi o dipendenti allo sciopero; e, più che ingiusto, assurdo ed iniquo l'esonero di chi, come voi, ha speso la sua influenza per contribuire a far cessare il più presto possibile lo sciopero a Milano (scoppiato fulm~neo e perfino ad insaputa di gran parte dei puniti), e per impedire che lo sciopero fosse proclamato a Verona. Se il Direttore Generale fu ingannato in fatto, ha il modo, semplicissim'1, ~i di~ingannarsi; ~a~to pi_ù dopo le risultanze del d1batt1mento avanti 11 Trtbunale penale di Milano, le quali dimostrano, fra l'altro che l'anonima supposizione che voi foste un promotore dello scior.::r? fu esclusa p_erfinodall'inchiesta di un funzionario delle ferrovie dello Stato. La sentenza di Milano, che mi auguro di vedere riformata in appello, ha intanto un significato ben eloquente in favore dei colpiti; pe1:chè, non solo ha applicato la sospensione ~al_l'~ffic1~ ( e una breve sospensione) anche ai « d~m1ss1onat1 » ! ma ha applicato la condanna condiz10n.ale, la cos1detta «legge del perdono>). Senonchè, a prescindere d~ cotesta ~ da altr~ considerazioni, io penso che 11 pr:ovveJ1mento. d1 radiazione dai ruoli non possa logicamente e. gm: stamente sussistere, quand?, a cose app~rate, ns:11~1 fondato sopra una supposiz10ne contran_a al_laventa; e non può sussistere, per lo s~esso cnteno che la Direzione Generale ha detto d1 avere adottato. Se no vorrebbe dire che non è vero essersi adottato qu;l criterio con serietà e sincerità - ma piuttosto essersi dichiarato di adoHare, tanto per mostrar di seguire un qualsiasi _criterio co~fe~sabil~. salvo a seouirne in fatto di 111confessab1h 1n odio b di determinate pers8ne. . . . Dovendo escluder§i questa 1potcs1, non nmane che riconoscere un errore di fatto, e conseguentemente correggerlo. Ciò,' nel ca_so no~tro, è molto facile. Ed è anche un dovere d1 coscienza per qualunque galantuomo -·specialme~te quan~o quell'er: rore importa la rovinn di- bravi e onesti lavo_rator~ e delle loro famiglie, 4la -perdita del pane e d1 tutti i diritti acquisiti per il lungo lav~)f? prestato? con tutte le tristi conseguenze matenah e morali che si possono agevolmente intuire. . . , . Non so quanto gioverebbe alla d1g01-tamorale d1 una pubblica Amministrazione manten~re _provvedimenti così gravi, presi sopra inform~z10n1 s~gret~ e non contestate, e in ogni modo nsultant1 og~1 privi della base di fatto voluta dalla s,tessa Amm1nisirazione, e quindi ingiustifìcati alla stregua d_el suo medesimo dichiarato criterio. Non so quanto o-ioverebbe ao-li interessi del servizio ferroviario, r, 0 N • h ·r cioè a(J'li interessi generali della azione, c e 1 errovieri, i quali han tanto cooperato all'e_s_erciziosta: tale delle ferrovie, si sentissero, non gia rnttopost1 al o-iudizio illuminato di superiori capaci e imparziali ma piuttcsto in balìJ. dell'arbitrio di un uomo o di' un·oli o-archia burocratica. La quale, sia detto oggi per i/:cidens, 1 ha già cominciato_ a ~~re _sagg~ sconfortanti del modo di spendere 1 m1liom dati dalla Nazione per le sue ferrovie.

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