Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XIV - n. 4 - 29 febbraio 1908

RIVISTA POPOLARE 107 Chiesa cattolica. Io, sì lo credo - perchè credo nel Cristianesimo o nel bene che ancora potrà fare agevolando la via ad ogni progresso ed alla elevazione umana; e credo infìne, che la grande quistione della pace progredirà ben poco senza l'aiuto del Cristianesimo inteso e predicato secondo il genuino pensiero di Cristo ... Con ossequi cordialissimi mi creda di lei Dev.ma RAGHNILD LUND "IVl.5T A [)ELLE ~IVl.5TE Maggio,-ino Ferraris: La qnestlone vinicola. - C'è quest'anno la grave quistione della sovraproduzione del vino, che merita esame attento. Poniamo anzitutto i termi1.i del problema. li raccolto d'uva del 1907 fu abbondante in tutta Italia; si fecero dovunque vini in gran copia, talora anch~ scadenti. Le statistiche sono mal sicure; si parla ad ogni modo di una produzione di 55 a 60 milioni di ettolitri, mentre il consumo difficilmenle eccede i 35 milioni circa. Da ciò, l'invendita e il ribasso disastroso dei prezzi, che costituiscono una vera rovina per molta parte delle campagne d'[talia. Che fare? E' possibile aumentare il consumo interno? Alcuni credono di sì, qualora si abolisse, od almeno si riducesse a metà, il dazio di eonsumo sul vino. Stnza dubbio. ogni soppressione o diminuzione di tassa rappresenta un beneficio per il produttore e nessun regime d'imposta è più irrazionale del dazio consamo. Ma anche su questo punto, oramai il paese non si fa più' grandi illusioni: la crisi vini.:ola la pìù intensa, che la Francia ricordi, scoppiò appunto dopo l' abolazioae del dazio consumo sul vino. Ad ogni modo, nessuno certo vorrebbe mantenere un'imposta siffatta se si sapesse soltanto dove prendere le parecchie dieci ne di milioni occorrenti: siccome essi mancano, così ogni buona volontà rimane inattuabile. Anche più difficile appare ogni tentativo per accrescere le esportazioni dei nostri vini ali' estero, soprattutto dopo la pletora ed il rinvilio della produzione francese. Come vini fini, siamo battuti dalla Francia: come materia prima da taglio dobbiamo sostenere la conco.rrenza vivisaima della Spagna, della Grecia, della Turchiu, ecc. E d' altra parte è notorio che il cosumo del vino aumenta pochissimo nel mondo, se pure non decresce per testa di abitante. Quindi anche per l'esportazione c'è poco da sperare, eziandio per ragioni a cui accenneremo in seguito. Resa difficile l' una e l' altra via, gli enofili si sono gettati con passione sul tema della distillazione dei vini per la fabbricazione dell'alcool e domandano con insistenza che il Governo aumenti I' abbuono del 40 per cento già ac-:ordato e proroghi le sue concessioni oltre il marzo. Su questi punti e specialmente sul secondo, il Ministero pare disposto a concedere qualche cosa. Ma il sollievo che tali provvedimenti arrecano, per quanto apprezzabile, non è decisivo. Qualche milione di ettolitri di vini deboli sarà ritirato dal mercato, ma continuerà sovr'esso tutta la pesantezza prodotta dal!' ingente eccesso della produzione. Nè certamente manca di acutezza la proposta del signor Sa - bino Samele, direttore del Consorzio vinicolo di Cerignola, che domanda la facoltà per ciascun proprietario di distillare in franchigia una parte del suo vino, a condizione di servirsi del!' alcool così ricavato per alcoolizzare la restante parte e conservarla per l'anno venturo. ln tal guisa, la quantità di vino che pesa sul mercato verrebbe diminuita per due vie diverse: sia per effetto della distillazione di una parte del vino, ais. per la conservazione per l'ai:_moventuro di un'altra parte. Così si niminuisce, almeno per quest'anno, l'eccedenza della produzione in confronto del consumo e si favor=sce l'equilibrio fr.1 l'uno e l'altro lamine. Sotto questo aspetto, la proposta si presenta come ingegnosa, anche facendo astrazione dalle ;omplicazioni burocratiche re lative all'applicazione della tassa sull'alcool, nonchè dal peri-- colo di una crisi, anche più intensa l'anno venturo, qualora ii raccolto continui abbondante. Ma questa seconda obbiezione ci pare piuttosto esagereta: spesse volte è già un beneficio rinviare .una difficoltà che non si può vincere. Ma senza disconoscere i lati buoni di questa proposta, è evidente che essa verrà piuttosto in aiuto a pochi grandi pro duttori che a tutta la massa infinita di piccoli proprietari, che non ha nè gli impianti tecnici, nè i capitali per giovarsene. E' tattavia innegabile che anche essi ne proverebbero un beneficio indiretto con il rialzo dei prezzi, dato che la distillazione prenda proporzioni tali da alleggerire il mercato. Ed è questo il punto più dubbio. Comprendiamo benissimo che in una situazione doi:Jrosa, quasi disperata, come l'attuale, i viticultori si aggrapperebbero anche a~li uncini: ed ogni sollievo, anche se parziale e temporaneo, è buono. Ma è inutile tacere che neppure su questa via possiamo illuderci di trovare la soluzione del problema, anche senza disconoscere i pericoli eventuali della finanza. Non dimentichiamo che la situa.1:ione presente è molta ana Ioga a quella che abbiamo avuta nel 1902, dopo la vendemmia copiosa dd 1901. [ fatti, le doglianze, le proposti! del 190 1-902 si rassomigliano pienamente a quelle del 1907-908: tutti in allora parevano animati dal desiderio di fare; ma tra scorsa l'annata di abbonJante raccolto, tutto ricadde nel con. sueto obblio! La situazione di oggi è identica a guella d'allora e ben po ro v'ha da ridire suìl'argomento. Per noi la causa principale della crisi vinicola consiste sempre nelle condi:p'oni inorgani • che della produ 1 ione e del commercio dei vini. Una parte ingente del vino d'Italia continua oggidì, come ai tempi del buon Noè, ad essere prodotta con sistemi pri • mitivi, da centinaia di migliaia di piccoli viticultori. A parte i metodi patriarcarl i di vinificazione, questo numero infinito di produttori non è guidato da alcun criterio direttivo, nè nella Produzione, nè nel commercio. Ognuno cerca di fare quenta più uva è possibile e di vendere localmente, al più presto, ed al migliore prezzc, spesso disorganizzando il mercato o subendone le temporanee variazioni. La correlazionG fra l'offerta e \a d0manda - fra la produ • zione ed il consumo - è la base del commercio mondiale. Ora questa correlazione, se si verifica nel commercio del vino in Italia, è affatto casuale e non va quasi mai a beneficio del piccolo proprietario, anche perchè questi spesso è premuto a vendere dal bisogno, oppure produce con metodi cosi primitivi, che difficilmente può tenere in serbo il suo vino oltre la primavera. Si aggiunga che di tutti i prodotti agrarii, l'uva è uno dei più variabili per quantità e qualità: da un . anno al l'altro si passa facilmente da un raccolto eccessivo ad una vendemmia scarsa. Spetterebbe agli stocks la funzione di perequare la quantità e i prezzi da un'annata all'altra: ma, come già si disse, ciò non è facile, per il disagio dei produttori e per la natura poco conserva bile Jel prodotto, così come 'è da molti lavorato. Ed anche per queste ragioni, l'esportazione non può essere che limitata, anche se possiamo favorirla con qualche ribasso, sia pure temporaneo, delle tariffe ferroviarie. Pare quiadi evidente che per quanto si inJaghi la materia, il solo rimedio efficace e duraturo sarGbbe quello di dare ftrma più organica alla produzione ed al commercio dei vini. li che non si può ottenere che per due vie: medianti grandi commercianti o col mezzo di potenti cantine sociali. L'una e l'altra soluzione devono concorrere a riso Ivere il problema

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