512 RIVISTA POPOLARE Barzilai ammonì il nostro ministro degli esteri il 18 dicembre 1906 in questi termini: « Guardi, onorevole Tittoni, quale insegnamento per regolare i rapporti con l'Austria-Ungheria le _dà ancora, ed ho finito, il massimo uomo di Stato della Germania, un uomo, che, si noti, aveva tanta fede nell'alleanza con l'Austria, che voleva da principio fosse incorporata nella costituzione dello Stato. Egli diceva: « io desidero i buoni rapporti con l'Austria, ma conosco le forze che presiedono alla politica viennese. Esse sono più complica.te delle nostre a causa della diversità delle nazionalita, delle divergenze tra loro , delle loro aspirazioni, della influenza clericale e delle tentazioni, che nascondono i paesi del Danubio e le regioni dai Balcani al Mar Nero. Noi non abbiamo il diritto di abbandonare l'Austria, ma non bisogna da altra parte perdere di vista la possibilità di essere abbandonati dalla politica· viennese. La direzione della politica tedesca, se essa vuol compiere il dover suo, deve rendersene conto prima che l'evento si avveri ». · Aveva pure ricordato, a dimostrare la grande relatività dei Trattati che nè la Germania nè l' Austria si ritennero legati da quello che reciprocamente li univa, nel venire esse ad accordi separati colla Russia. Ad imitazione di questi esempi egli consigliava accordi separati ed una buona intesa colla Francia e coll'Inghilterra; per gli accordi con quest'ultima specialmente invocava il giudizio di Bismarck, che ha scritto: « L'Italia non deve attendere la tutela della sua integrità territoriale nè dalla Germania, nè dalla Austria; la sua integrità non può essere confidata , che alla cooperazione armata dell'Inghilterra ». E infine conchiuda sulla politica estera vagheggiata con queste precise parole indirizzate sempre all'on. Titfoni: <e Io vi dirò che anche noi vagheggiamo la pace, ma una pace diversa. In Europa vi sono oggi tre Stati, l'Inghilterra, la Francia e la Russia, che, o per volontà delle forze democratiche del paese, o per necessità sono rivolte ad una politica di pace, e le ultime divergenze tra l'Inghilterra e la Russia stanno per essere spianate. Noi crediamo che l' Italia, accanto a queste potenze, potrebbe e dovrebbe tutelare ed imporre una pace, libera dalle ansie e dai sacrifizi di quella alla quale voi prestate le vostre garanzie J>. Ma siamo sinceri amico Barzilai: la politica, ch'è stata derisa sopratutto dai democratici e dai reazionari ad una volta - e che è stata attaccata specialmente in Germania come la politica dei valzers, non è quella che segue il governo italiano da qualche tempo in qua? E questa politica estera non è quella da te delineata e vagheggiata? L'Italia non ha fatto di tutto, se non coi trattati scritti, almeno cogli atti reali , per avvicinarsi , per raggiungere l' entente cordiale colla Francia e coll'Inghilterra? Il contegno nostro nella Conferenza di Algesiras, precedentemente ricordato, non è la più evidente affermazione su quei limiti e su quella relatività dei trattati - e in questo caso del trattato della Triplice - come tu hai delineato nel secondo comma della tua norma assiomatica di politica estera? E allora, perchè brontolare, perchè criticare, perchè invocare una politica diversa? Tu inneggi alla politica di pace: ma quella del governo italiano non è essenzialmente pacifica ? Nella lettera graditissima che mi hai indirizzata ci tieni ad affermare la tua sincerità. Ma le tue critiche m' indurrebbero a pensare che tu desiderando una politica diversa verso l'Austria sinceramente non vuoi la pace. E che tu non la voglia si comprenderebbe pensando che sei un irredento, nel cui animo non può essere spento j} nobile desiderio di vedere unita Trieste all'Italia; ma che in fondo sinceramente tu yoglia una politica diversa dall'attuale, eh' è di pace, si argomenta meglio dalla riproduzione nella lettera di ora del tuo discorso assai meno prudente del I 903, nel quale consigli una politica che non sia di rinuncia; di rivendica 1 ioni ... non immediate. Ecco l'equivoco; ecco i pericoli. Quando si vuole sinceramente una politica di pace, non si deve consigliare la formula negativa di una poli ti ca non di rinuncia. Per farla si va alla politica di ripicchi, di punzecchiature, di risentimenti, di proteste, di rimprovèri reciproci , che Gnisce catastrofìcamente; e finisce: o con ritirate umilianti come quella della Francia dopo Fashoda e di Guglielmo 2. 0 dopo la calata a Tangeri; o con una guerra. Confessare che non fai propaganda per una lotta di t'ivendicazioni bellicose immediate è lo stesso, che avvertire il· nemico designato, allarmarlo e farlo preparare pe1 momento in cui le rivendica1ioni bellicose diverranno ... immediate. Ora l' Austria sa che molti pensano· come te; che le tue idee sono divise da molti; che sono divise sopratutto dal maggiore irresponsabile per destina 1 ione di legge; e l' Austria si prepara pel giorno in cui le rivendicazioni bellicose diverranno immediate ... D' onde l'anomalia da te rilevata, ma di cui tu hai una particella di paternità o di responsabilità, di un'alleata, che tutta la sua preparazione militare volge senza misteri, apertamente e lealmente, contro l'altra alleata del momento! ♦ Passo sopra a minori dissensi, accennando solo a questo: tu non vedi il pericolo per la italianità nella Germania 1 mentre io lo vedo precisamente nella Germania e vengo al punto più importante nella discussione sulla politica estera. Nella tua norma assiomatica di politica estera nel primo comma affermi: essa è una scienza esatta come la matematica nel proporzionare i mezzi ai fini. L'intervento della matematica è assai discutibile; ma passo sopra alla forma per venire alla sostanza. L'accordo mio è completo nella massima; non lo è nell' applicazione che gl' irredentisti più o meno larvati e quelli che vogliono le rivendicazioni bellicose, sebbene non immediate, ne fanno ogni giorno. Del proporzionamento dei MEZZI AI FINI ebbimo esempio magnifico nella politica di Bismarck e di Moltke, che prima si svolse ai danni dell' Austria e poscia più terribilmente ai danni della Francia. Non occorre ricordare quale fu. Esempio pm recente, veramente magnifico, di questa politica del proporzionamento dei MEZzI AI FINI ce l'ha dato il Giappone. L'Impero •del Sole Levante all'indomani della guerra vittoriosa contro la Cina nel 1894-95 rimase mortalmente ferito dall'aggressione iniqua venutagli dalla Russia, che con Port Arthur gli strappò il miglior premio della vittoria. Il Giappone in silenzio subì l'affronto, ma si preparò fortemente per vendicarlo; e così in pochi anni dal 1899 al I 904 spes~ straordinariamente oltre 600 milioni - equivalente per molte ragioni a circa due miliardi per noi - nella sola marina da guerra. Quando si sentì militarmente forte, come si sentiva forte del suo diritto, intimò alla Russia di sgombrare dalla Manciuria e di restituirla alla Cina. Dalla intimazione si passò alla guerra coi risultati ben noti, che non c' è bisogno di rievocare. Gli Italiani che aspirano ad unire Trento e Trieall' Italia con serietà e senza esporre la nazione ad una tremenda catastrofe dovrebbero imitare il Giap- .
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