RIVISTA 'POPOLARE 411 ebbrezza del martirio. Ma la coscienza riflessa dell'unità il popolo nostro non l'ebbe nè potè formarsela in modo saldo e duraturo come sarebbe stato desiderabile dopo la presa di Roma. L'Italia, dal '70 in poi, sentì i dissidi che travagliavano le altre nazioni sorelle. La questione nazionale pressochè risolta , m~. 1100 perfettamente perchè rimanevano le zone grigie, di Trento e Trieste io potere dell'Austria, Corsica e Nizza della Francia, fu ricacciata nello sfondc, del q nad ro. Al primo piano si affacciò la questione sociale, la quale, come dicemmo più sopra, è il problema caratteristico dei tempi. II proletariato che si era scarsamente interessato dei rivolgimenti passati! comprese che per lui si trattava di questione di vita o di morte. Se nessuna ideologia , neppure la marxista è stata finora capace di sintetizzare le aspirazi0ni un po' caotiche, un po' torhide di questa clai;se, sentimenti, le emozioni e le passioni che ne costituiscono il substrato, sono forze operose di s11i le classi dirigenti devono tener conto. La minaccia di una conflagrazione europea, a quando a quando, serve di diversivo pe1· gli articoli di fondo dei giornali conservatori. Ma senza pretendere di avere la virtù di quel Diavolo zoppo1 che secondo il fantasioso romano del Le Sage, poteva, a suo talento essere presente, non visto, anche nelle sale, ove si decide il destino dei popoli, possiamo giurare che i gabinotti più bellicosi, devono aver sentito echeggiare io varie lingue questa angosciosa domanda: e Lo scoppio di una guerra importa che noi esigiamo dal proletariato, sacrifici di sangue, di danaro. Orbene, siamo noi sicuri che mentre i nostri eaerciti accorreranno alla frontiera, il quarto stato, non colga il uwmento opportuno, per insorgere e riveudicare i suoi diritti? > L' uomo di Stato che non ventilasse e non pesasse codesta eventualità, sarebbe nn folle morale. Certo è che questa conflagrazione europea, senza una trasformazione nella distribuzione dei la ricchezza, è una visione apocalittica che spaura gli amm1 p,u incalliti alla politica e più scettici in fatti di idealità morali. Udine, r o Aprile 1907. F ELICB MoMIGLIANO "GLI EPIGRAMMI,, di V. ALFIERI (continua,rione e fine v. num. precJ E la « fame » che spinge a scrivere contro l'Alfieri : Fame, imbratta d'inchiostro Fogli a tuo senno. Forbirli ove si denno Fia il pensier nostro. È la fame che accomuna il Moschi e il Gramosi, Poi (< una pariglia, Che d' inchiostro in Venezia a stento campa. Ciò che il primier dal gran cervello figlia, Tosto il secondo in carta straccia stampa >). « Dell'onesto guadagno a mezzo fanno: Dell'infamia i due terzi al Moschi vanno». (1) In data 4 settembre 1783 l'Alfieri scriveva da Siena una breve letterina al marchese Albergati Capacelli, a Bologna, parlandogli dello Zacchiroli, che a Siena faceva « il suo solito ufficio di sparlar delle persone dietro, e lodarle in faccia. I sonetti, le lettere francesi e i dialoghi, che lo Zacchiroli scriveva, erano soprattutto diretti a canzonare le tragedie dell'Alfieri, il quale « per dar segno di vita », gli lascia andar dietro tre versetti soli, non parendogli che meritasse di più. E i tre versetti formano il seguente cc epigrammetto >> : Fosco, losco, e non Tosco, Ben ti conosco: Se avessi pane, non avresti tosco. Ma l'Alfieri non si scompone molto della spietata guerra, che gli muovono i pedanti, cui risponde ora con l'invettiva ora con lo scherno, ora col disprezzo ed ora con la più olimpica noncuranza. Il b;asimo altrui è una lode. Hammi il vostro biasmarmi assai laudato : Ma il laudar vostro non mi avria biasmato. Gl' invidi censori riescono soltanto a fare tutto il contrario di quello, che essi vorrebbero fare. Biasmando laudate ; Laudando biasmate, Parlando tacete Tacendo tacete, Ma non campate. (.é'p. CIII). L' Alfieri sa bene che cosa farsene delle ingiurie; egli non se ne cura, appunto per non fare, come oggi si direbbe, la réclame ai cani, che gli abbaiano alle calcagna. Ho visto già quel eh' è: Tu sparli ognor di me, Perch' io ti mandi ... alla posterità. Se a ciò basta un mio calcio; eccotel, va. Ma nel nomar io te Mai la mia penna non s' imbratterà. (Ep. XXXVII). Fa poi contro sè stesso un appello ai Toscani Toscani, ali' armi : Addosso ai carmi D' uom che non nacque D' Arno su l' acque. Forse 1 carmi Non li capite? Vi paion strani ? Saran Toscani. Son duri duri Disaccentati ... Non son cantati. Stentati, oscuri, Irti, intralciati ... Saran pensati. Molti pedanti però sarebbero stati più gentili verso l'Alfieri, e probabilmente non gli avrebbero scritto contumelie, se lui fosse andato per consiglio da loro, anzichè dall'abate di Caluso, dal Gori e da altri ( r) Il Loschi e il Gra,riosi sono i veri nomi del Moschi e Gramosi, editore l'uno e impressore l'altro d'una Ristampa delle Tragedie d'Alfieri fatta ali' insaputa dell'autore - Renier, op. cit. pag. LXXIII.
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