.. RIVISTA POPOLARE 385 della sua vita letteraria in tale feroce continua battaglia, dando sempre la caccia alle parole e forme francesi, e spogliando, per dir così, le sue idee per rivestirle di nuovo sotto altro aspetto. << Fatica indicibile - scrive lui - ingratissima, e da ributtare chiunque avesse avuto (ardirò dirlo) una fiamma minor della mia » ( 1). Naturalmente gli sforzi dell'Alfieri ebbero prospero successo ed egli riuscì a rivestire il suo pensiero d'una forma sobria, svelta, spesso elegante, qualche volta rozza; ma sempre aliena dai lenocini e dalle parole superflue (2). Rimasero le impurità ed i francesismi, soprattutto nella poesia; ma l'Alfieri stesso riconosce che prima di pervenire a « lucidare » in se lo stile tragico, gli toccò in sorte di errare assai lungamente brancolando, e di cadere anche spesso nello stentato èd oscuro, per voler troppo sfuggire il fiacco e il triviale I Così « i puristi e accademici che ogni bello ripongono nella regola e nella parola i> ebbero modo di muover guerra impotente negli sforzi, miserarabile negli sdegni, al nome e agli scritti di Vittorio Altieri, il più italiano degli italiani dopo lo Alighieri e il Machiavelli (3). All' Alfieri, dopo la pubblicazione delle prime quattro tragedie, giungevano continuamente lettere dai pedanti. « Erano queste lettere - dice lui - qualcuna scritta con sale e gentilezza, le più insulsamente e villanamente; alcune fìrmate, altre no; e tutte concordavano nel biasimare quasi che esclusivamente il mio stile, tacciandomelo di durissimo, oscurissimo, stravagantissimo; senza però volermi o sapermi individuare gran fatto il come, il dove, il perchè >> (4). Di tale oscurità e durezza l'Alfieri in parte si difende e in parte l'accetta; nel brano della Vita, che abbiamo riportato innanzi, riconosce d' essere alquanto oscuro; ma nell'epigramma XIX dice Mi trovan duro ? Anch' io lo so ; Pensar Ii fo. Taccio ho d' o,curo? Mi schiarirà Poi Libertà (5). E nel Sonet d'un Astesan an difeisa dl stil d'soe tragedie egli rincara la dose dicendo : « Sono duro, lo so, sono duro; ma io parlo a gente dall'anima (1) Id. pag. 176. (2) Ecco come il De Sanctis, con la sua consueta genialità, giudica lo. stile dell'Alfieri: 11 Scrisse come viaggiava, correndo e in linea retta : stava al principio e l'animo era già alla fine, divorando tutto lo spazio di mezzo. La parola gli sembra non via, ma impedimento alla corsa, e sopprime, scorcia, traspare, abbrevia ; una parola di più gli è una scottatura. Fugge le frasi, le circonlocuzioni, gli ornamenti, i trilli e· le cantilene : fa antitesi a Metastasio. Tratta la parola come non fosse suono, e si dilt:tta a lacerare i ben costrutti orecchi italiani , e a quelli che strillaqo dà la baia. « Mi trovan duro? ecc. » (Francesco De Sanctis, Storia della Letl. Jt. Napoli r870, u, 435). (3) Vita, Virilità, VII, pag. 203. (4) Vita, Vir. Cap. X, pag. 217 (s) Quest' epigramma - scrive il Renier - è da riporsi fra i parecchi che l'Alfieri scrisse contro i detrattori delle sue tragedie. Sin dalla partenza da Roma ebbe l' Alfieri a subire i morsi della critica letteraria. Egli si vendicò con epigrammi terribili in cui concentrò tutta quanta la sua natura biliosa. Gli veniva specialmente rinfacciata la durezza del suo stile. A mano a mano per altro che la fama dell' Alfieri andava crescendo diventava egli più non curante delle critiche. Nel 17881 quando la sua maniera tragica fu parodiata nel Socrate,- dramma tragicomico d'ignoto autore - egli non se l'ebbe a male. E sì che quella parodia doveva colpirlo molto sul vivo, perchè riuscitissima. Renier, op. cit. pag. LXXVII. molle e slavata, la quale, avendo la testa le. orecchie e gli occhi pieni di Metastasio, vo;rebbe gli eroi castrati e lo stile tragico impotente ». Son dur, lo seu, son dur, ma ì parlo a gent ~h'an l'anima tant mola e deslavà, Ch' a l'è pa da stupì, s' d' costa nià I piazo appena appena a I' un per cent. Tutti s'amparo 'l Metastasio a ment . ' E a n' han l' orie, 'I coeur, e j'eui (odrà · I' Eroi ai veulu vede, ma castrà ' 'L tragic a lo veulu, ma impote~t, ecc. (1) Coi:tro i pedanti l'Alfieri, oltre l'arguta satira omomma, ha pure diversi epigrammi. Eccone qui• uno, che fa ricordare gli <e Eroi da poltrona » del Giusti Pedanti, pedanti Che fate voi ? Ansanti, sudanti Stiam dit:tro a voi. Ma i pedanti e i cruscanti contro l' Alfìeri non scrivevano soltanto lettere anonime o firmate argute e gentili o insulse e villane 111a nche articoli ne.i (og!ietti _di Firen2.e e Pisa;' e furono questi i pnm1 g10rnah letterari che l'Alfieri vedesse e sol- ' tan~o allora penet1~ò ~e nei recessi di codesta rispettabile arte, che biasima e loda i diversi libri con egua~e ~iscer~1ime~1to, equità e dottrina, secondo c~e Il g1~rnahsta e stato prima o donato, o vezzegg!ato, o 1~n~ra~o, e ~p:ezfato, dai rispettivi autori » (2). E a1 g10rnahst1 1 Alfieri dedica un altro dei suoi epigrammi letterari che nel concetto corrisponde al passo della Vitd or ora citato: (Continua) Dare e tòr quel che non s' ha E' una nuova abilità. Chi dà fama? I giornalisti. Chi diffama ? I giornalisti. Chi s' infama? I giornalisti. Ma chi sfama I giornalisti ? Gli oziosi, ignoranti, invidi, tristi. DOTT. ENRICO GRIMALDI ( 1) I due sonetti piemontesi - che sono gli ultimi componimenti degli epigrammi-hanno un tono festoso e giocondo che non trova riscontro in quello abitualmente nero e scontroso dell'Alfieri; ed è strano che;: lui, il quale mostra nella Vita molto disprezzo pel « gergaccio piemontese >> che « in nulla riusciva favorevole al pensare e scriven~ itali~no >>, per burlarsi d:i suoi_ detrattori, si sia servito d' un di_aletto eh' egli aveva m uggia. (2) Vita, Ep. lV, pag. 218. 1\i nostri abbonati - Mancandoci il N. 0 1 dell'annata in cor·so, dob biamo cominciare l'invio della Rivista ai nuovi abbo nati al N. 0 2 o dal N. 0 che si pubblica immediata mente dopo la richiesta di abbonamento. - Riceviamo continuamente dagli abbonati r·ichiesta dei numeri della Rivista Popolare 11 e 12 dell'annata XI. 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