384 RIVISTA POPOLARE soltanto ai princ1p1; ma anche i vescovi e gli arcivescov·i, i papi e i cardinali, i frati e i confessori - che insieme ai re, ai medici cd agli avvocati formano le quattro pesti del mondo - hanno la loro parte di contumelie; e non parliamo neppure dei <e Galloni »; cui, oltre il Misogallo, l'Alfieri dedica molti degli epigrammi extravaganti. Gl'Italiani poi sono trasformati in una « qualcosellina >>, che qui non è opportuno ricordare (Ep. xux e xxr). Gli epigrammi politici non sono i più graziosi, che l'Alfìeri abbia scritto, e tanto meno i più arguti; essi sono però violenti nella forma e nella sostanza, ed hanno il verso energico e sicuro, sebbene qualche volta poco armonioso. Tuttavia ci sono alcuni epigrammi non privi di sale: eccone qualche esempio: Volar non pon senz' ali i Galli-cani: Volan essi per ciò sol con le mani. Ecco il vero perchè, Sia 'I volar, sia 'I rubar, chiaman volé. E quest'altro, pure contro i Galli, in francese Crnt soixante notabks Sont assemblés, dit-011, Pour rassembler cent- dix-millions Qu' ils donneront au diable. La France heureuse a trouvé, En rapprochaot Jes deux sommes, Un deficit moins demontré De millions qm: de grands hommes. Il. Anche utile e interessante riesce lo studio degli epigrammi letterari, non perchè essi abbiano un valore artistico snperiore a quello degli epigrammi politici o perchè siano numerosi e contengano notizie sul poeta; ma semplicemente perchè essi rap- , presentano lo sfogo letterario di Vittorio Alfieri, che veni va annoiato, seccato e importunato dai barbassori {Ìorentini circa lo stile della tragedia e la forma più o meno chiara e più o meno italiana, che egli dava al suo pensiero: onde si vendicò dando la stura agli epigrammi, i quali costituivano un genere nuovo per lui. Certo la forma letteraria dell'Alfieri presenta pure i fianchi alla critica, giacchè in essa si trovano facilmentt, come in quella del Cellini e del Vico, nèi, stonature, anacoluti, oscurità ed imprecisione di vocaboli; ma nel crìticare bisognava anche tener conto· delle singolari condizioni, in cui si era· sviluppato il genio di Vittorio Alfìeri. L'essersi egli troppo tardi dedicato allo studio vero ed assiduo, l' aver sempre frequentato la compagnia di giovani, che parlavano tutte le lingue, ad eccezione dell'italiano, fecero sì che la sua forma letteraria non riµscisse sempre limpida e pura, nè chiara e corretta, ·non ostante gli sforzi continuamente fatti per disceltizz.arsi e sbarbarinarsi. Poichè, come di tratto in tratto ricompariva qualcuno degl'incomoducci attaccatisi al suo corpo, frequentando le donne andaluse; così la maniera e qualche volta addirittura la parola francese, in veste italianizzata, veniva a galla nelle nervose pagine·, che il <e fiero Allobrogo » scriveva, invaso da sacro furore. Di modo che mentre da una par"te gittava fuoco e fiamme contro la lingua e i costumi, la morale e la politica del Gallume, contro il quale scriveva una specie di pamphlet diffamatorio, non s' accorgeva , dall'altra, che egli, senza volerlo, usava l'aborrita lingua; cioè quella lingua che lui aveva parlata fino alla sua giovinezza. Sicchè l'italiano fu per l'Alfieri una lingua quasi straniera; tanto che spesso, volendo seri vere qualche· poesia, se ne asteneva, appunto perchè non era padrone del mezzo linguistico e gli veniva a mancare la frase e perfino la parola , proprio come accade a chi, provandosi a scrivere in una lingua non sua, qLialora di essa non sia abbastanza pratico, deve astenersi dall' esprimere certe sfumature del pensiero per ignoranza delle frasi o dell~ parole, con cui quelle sfumature si dovrebbero esprimere (1). Sen::a dubbio la colpa era della società in cui l'Alfieri viveva. Il Baretti, verso questo tempo, scriveva dei nobili piemontesi, che pochi sapean l'italiano, pochissimi il latino, nessuno l'alfabeto greco(2). Fra i pochi non poteva certo esser annoverato l' Alfieri (3), a cui <e il ~ontinuo conversare con forestieri, e il non aver occasione mai nè di parlare nè di sentir parlare italiano gli andavano a poco a poco scacciando dal capo quel poco di tristo toscano eh' egli ai;esse potuto intromettervi in quei due o tre anni di studi buffoni di umanità e retoriche asinine (4) ». L'italiano se ne andava, ma nel capo dell' Alfieri cc sottentrava >) il francese, tanto ch'eg!i in un accesso di studio lesse quasi tutt' i 36 volumi della Storia ecclesiastica del Fleury, della quale si accingeva a far degli estratti in lingua francese. Dall'istoria ecclesiastica si ringolfò nei romanzi, rileggendo molte volte gli stessi, tra gli altri Les mille et une nuits. Anche durante il primo viaggio (Milano, Firenze, Roma) egli parla in francese coi suoi quattro compagni, legge in francese alcuni Viaggi d'Italia e in francese finalmente scrive <e alcune memoriette ridicole eh' egli andava schiccherando su questi suoi viaggi (5) >). A Vienna, malgrado le insistenze del <e degnissimo conte Canale », non aveva voluto intervenire alle adunanze letterarie, che si tenevano in casa del Metastasio; e ciò non solo in grazia della famosa « genuflessioncella d'uso »; ma anche perchè era tutto ingolfato nel francese e sprezzava ogni libro ed autore italiano (6) J>, e, qualche volta, la lingua italiana gli esce <e dall' animo e dall'intendimento a tal segno, che ogni qualunque autore sopra il Matastasio gli dava molto.imbroglio ad intenderlo (7) >). Quando poi l' Alfìeri comincia a scrivere, è costretto ad importunare e interrogare gli amici sulla lingua italiana; e i suoi primi saggi poetici, - come l' <e abbozzaccio » della Cleopatra e le Colascionate - sono pieni di sgrammaticature e di errori metrici, che lui stesso doveva poi mettere in burla nella Vita. · Ma la reazione comincia ben presto nell'Alfieri, il quale dà cc interissimo bando ad ogni qualunque lettura francese. Da quel luglio in poi non volle più mai proferire parola di codesta lingua, e si diede a sfuggire espressamente ogni persona e compagnia da cui si parlasse ,) (8). 11 Paciaudi e il Tana furono i suoi santi protettori, che se gli avessero ordinato di gettar tutto nel fuoco, egli lo avrebbe fatto volentieri. Così l'Alfieri consumò ben tutto il p~imo anno (1) Le Satire vennero ideate in Firt:nze nel 1777 e furono comp0ste circa 9 anni dopo, cioè dal 1786 al 1799, perchè, come seri ve l'Alfieri (( scarso ancora di lingua <:: di padronanza di rima, mi ci era rotto le::corna » (Virilità XVI p. 243 44). Il Novati poi nota che in un punto l'Alfieri volea dir << estro, vena poetica, >1 e non trovando, non ricordando o non e 0110. scendo il vocabolo, per fissar l'idea, scrisse quel che pensava: verva I (Novati, A. poeta comico i.·1Studi Critici e lett. Loescher, Torino 1889, pag. 32). Ndla Vita usa parecchie volte combinare in senso di desumere. ( 2) Baretti, Gl' Italiani, cap. XllI, vers. it. Milano , Pirotta 1818, citato del Novati. 13) Novati, op. cit. pag. · 3 r. (4) Vita, Ado/escen:ra, Cap. VII, pag. 61. (5) Ib, Giov., Cap. I, pag. 72. (6) Ivi, Giov. vm, pag. IOO. (7) Vita, Giov. XII, pag. 124. (8) Id. Virilità, Cap. I, pag. 168.
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