Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XIII - n. 13 - 15 luglio 1907

RIVISTA POPOLARE 351 della fortuna di essere retta a monarchia, colla disfatta di Custoza ..... La vanità morbosa di Vittorio Emmanuele intanto non era un fiore del male sbocciato all' improvviso; era di data antica, divenuto cogli anni male incurabile. Sentano i signori bigotti della monarchia ciò che scrive lo stesso Colonnello Chiala: « Vittorio Emmanuele I e Vittorio Emmanuele II « ebbero un punto di contatto ( e fu il solo!), che « entrambi cioè credettero di essere grandi gene- <c rali ». <e Del Re Vittorio Emmanuele I ha raccontato <e recentemente il generale Genova di Revel che si <e reputava capace di fare quanto Napoleone e lo di- « ceva apertamente. Nel 1820 ribadiva sulle gesta <e da lui operate nella guerra delle Alpi e ripeteva << che se lo avessero lasciato agire come intendeva, « avrebbe battuto Napoleone. Vittorio Emmanuele II « era più modesto, ma già durante la campagna del << 1848, nella quale come Duca di Savoia comandò la « divisione di riserva, mostrò di avere di sè un <e buon concetto come stratega, tanto da renderne « geloso il padre suo, Carlo Alberlo, che in un <e consiglio di guerra tenutosi a Somma Campagna, <e ebbe ad indirizzargli queste pungenti parole: <e Dites, donc, Vietar, est-ce que vous croyez, par ha- « sard, d' è tre devenu un genéral? >> · « Vittorio Emmanuele non rispose, ma salitb al <e trono e avvenuta la spedizione di Crimea , alla <e quale contribuì mandando un corpo di 15 mila « uomini, non tardò a manifestare quell'alto sentire <e di sè medesimo inviando nella primavera del 1855 <e uno dei suoi aiutanti di campo , il colonnello « D'Angrogna , a Londra e a Parigi , coll' incarico <e di dichiarare che Egli era pronto a recarsi sul <e teatro della guerra per prendere il comando degli <e esercì ti alleati , qualora gli effettivi fossero stati <e portati a 200 mila uomini, espérant avec ses troupes <e et une unité de commandement changer la marche « des choses là-bas et pent-ètre le pian d' action ....... <e Sentendo così altamente di sè, di leggieri si <e comprende come nel 1866, dopo avere comandato <e l'esercito Sardo nella guerra• del 1859, sebbene « sotto gli ordini dell' Imperatore dei Francesi, il <e Re Vittorio Emmanuele ri reputasse in grado di <e comandare in campo un esercito di oltre 200 mila « uomini>> (Ghiaia, pag. 564- Nota 1). Ma ben altra rampogna aveva indirizza:o il padre Carlo Alberto al figlio Vittorio Emmanùele Il. Il primo un poco più tardi del consiglio di guerra di Somma Campagna dovette sospettarlo peggio che un caporale presuntuoso. Siamo al momento della battagHa di Novara; e lascio la parola a Luigi Anelli. « Mentre Novara egli scrisse, tutto scommovevasi « nella paura e in sì miserando stravolgimento di <e feroce disperazione, una mesta scena passava nella <e casa Bellini. Il re Carlo Alberto abbandonatissimo « d'animo e pieno di vergogna della battaglia infe- <c licemente successa, allorchè vide l'onta del pro- « prio esercito, erasi per istanchezza di vita esposto <e dove più furiosamente battevano le nemiche arti- « glierie per morire almeno nell'armi, ma la morte <e non aveva saputo che farne. Domandate tuttavia <e in sull'ore otto di sera le tregue, e uditi i patti <e che il maresciallo imponeva, venne alla presenza << dei figliuoli, dei generali e del ministro Cadorna, << Quivi con parole interrotte, come uomo a cui il << dolore troncasse idee già per sè medesime avvi- « luppate o perplesse, disse; egli aver fatto molto « per l'indipendenza d'Italia; dura necessità la pace <e e (che era peggio) vergognosa; i cieli avergli ne- <c gato di morire in battaglia, ma da quell'istante « il figliuolo Vittorio Emmanuale sarebbe re. Poscia <e abbracciati gli astanti, domandò di restar solo; << e indi a poco tutto pieno di dolore scrisse parole <e me6te d'addio alla moglie, baciò ma senza pian- <c gere, i Ggli, e al re Vittorio, che pur voleva ba- <c ciargli la mano, con austera severità, ritraendola, <e disse: non fare: a te basta il trono: ordina piut- « tosto al cocchiere di sferzare i cavalli ed io mi <e par-tirò per l'esilio » ( 1). A Novara, adunque, il non ancora caporale degli zuavi, si comportò per lo meno come un qualsiasi Generale Della Rocca, che sarebbe stato fucilato dopo Custoza come fu fucilato Ramorino dopo Novara. Ma come dopo Custoza nel 1866 gl'ltaliani furono considerati come traditori della Prussia, per colpa degli ozi di Torre Malamberti e della politica sleale e servile di Vittorio Emmanuele verso l' Imperatore di Francia; così dopo No vara sorsero voci insistente di tradimento. L' Anelli discute lungamente l'ipotesi del tradimento a Novara, di cui « il sospetto dura ancora in moltissimi » egli dice. Ma egli trova la ipotesi insostenibile. La sapi~nza politica del nuovo Re, però, brilla in tutta la sua luce da questo contrasto rilevato dallo stesso storico: << ••••• il generale Ramorino per condanna espiò <e col sangue la sua disobbedienza o il suo tradi- <c mento, mentre lo Chzarnowski, autore vero di <e tutte le nostre sciagure, ebbe dal nuovo re pre- « mi ed onori , i quali però nol salveranno dallo <e spregio che ne dirà eternamente l'Italia. >> (Op. dt. pag. 341). Ecco serviti i bigotti della monarchia e gli storici salarla ti sulla indegnità della promozione a generale di chi non poteva e non doveva rimanere che caporale degli zuavi. + . Il secondo punto che ha dato ai nervi dei bigotti della monarchia è quello della ingratitudine di Vittorio Emmanuele II verso Garibaldi. Me ne sono occupato nel numero precedente con dati e fatti, che gli storici salaria ti e cortigiani nè possono, nè sanno contestare; non ci sarebbe d'uopo, quindi, di tornarvi sopra. Ma voglio completare il quadro con qualche dettaglio, che avevo dimenticato e con qualche altro nuovo che mi viene fornito dal libro testè pervenutomi dell'Albanese. Nuovi e vecchi dettagli si aggirano attorno ad Aspromonte, che costituisce la pagina più nera e più vergognosa della monarchia in tutti i suoi episodi anteriori e posteriori alla grande tragedia. Il malanimo, le intenzioni sinistre della corte Sabauda si possono desumere dalla scdta del generale che doveva dare la caccia a Garibaldi ed ai garibaldini: Cialdini, animo piccino, nutriva singolare antipatia contro il colosso. Ma se le sue disposizioni naturali 1101:i. fossero bastate ad assicurare i (1) L. Anelli: Storia d'Italia dal r8r4, al r863. Voi. 2° pag. 340. Gli storici cortigiani hanno esaltato al di là di ogni misura il magnanimo di rimorsi giallo; perciò mi pare opportuno, per gi' ignari, riforire questo equanime giudizio dell'Anell1: - (( Le usate adulazioni, che oggi empiono di monumentali men,rogne le capitali e le provincie, esaltarono Carlo Alber~o da eroe e da martire del!' indiptndenza d' lta!Ia. Ma la stona che spassionata se ne fa giudice, lo colloca tra il volgo dei re. Tollerabile monarca ,in paragone;: degli altri, lo diresti pessimo se il raffronti coi bisogni dei tempi. Fiero vantatore d'indipendenza e di libatà, in effetto preferiva il poco e 11 certo al molto se rischievole, e per servire la politica tra vols1: in basso la propria fortuna; d'onorata fama come soldato, da re e da capitano mancò del gludizio e della prudenza dovuti a quegli uffici, nei quali l'onore o la vita si dello Stato come dell'esercito si contic::ne. Pure seppe soffrire le sventure e sa - rebbe delitto non obliarne le colpe » (pag. 340 e 341).

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