Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XIII - n. 13 - 15 luglio 1907

350 RIVISTA POPOLARE La benevole tolleranza , anche gli aiuti nascosti di Cavour alle spedizioni successive a quella dei Mille mostrano ciò che nessuno nega: che a fatti bene avviati, se non compiuti, il governo piemontese. non voleva disinteressarsi dall'impresa e voleva raccoglierne il frutto. Ecco tutto. La lettera di Medici a Cosenz che ho pubblicato nel· numèro precedente della Rivista mostra che nella sfera ufficiale non si aveva alcuna fiducia nella riuscita della spedizione dei Mille e che anche Medici, guastato dal contatto coi cortigiani, considerava Garibaldi come un fortunato avventuriero (I). Intanto è bene che gl'Italiani sappiano, nel momento in cui si commemora Garibaldi e lo si paragona a Cavour, è bene sappiano come l'avventuriero fortunato giudicava il grande ministro. Lo apprenderanno da questa pagina che tolgo dal libro di un monarchico, Enrico Albanese, che fu un fedele garibaldino (2). Ecco come si esprimeva Garibaldi a Caprera in una conversazione avuta con lui il 20 ottobre 1862: « ..... Perdio! Il primo Parlamento Italiano, che doveva mostrare all'Europa, sino a far tremare il mondo, la sua dignità, fu inaugurato con la vendita della patria di Massena e della culla di Casa Savoja. Io son pentito di non aver detto tutto quanto doveva dire, sì, ma fui inondato da tutta quella malva, che si diceano allora i miei amiciche ora sono o mercanti della patria o ministritutti canaglia (3). Io voleva e doveva dire francamente a Cavour, che non si propone ad un Parlamento Italiano la cessione di terra italiana ; ma per Dio ! se gli uomini non hanno la fierezza della propria dignità , che cosa sono allora? sono cipolle (4); maiali sono, non uomini: Si doveva dire all' uomo che ciò proponeva : - Voi avete bisogno di oro, ebbene tenete, noi vi affogheremo nell'oro, ma non cederemo mai la culla di Casa Savoja e la patria di Massena !. .... No!. .... Quando i posteri esamineranno gli atti del governo e del Parlamento Italiano durante il risorgimento nazionale, vi troveranno cose da cloaca, mio caro Albanese. Povera Nizza! Io feci male a non parlare chiaramente , a non protestare con energia, a non dire, là in Parlamento, a Cavoqr, che era una' canaglia, ed a quei che ne votarono la rinunzia, che erano tanti vili ». « No, non si cede un palmo di terra per averne un altro; la patria non si baratta, nè si vende per Dio! >> (pag. 106 e 107). + Al paragone ed ai rapporti tra Vittorio Emmanuele 2. 0 e Garibaldi. Due punti sdegnarono gli storici salariati e i bigotti della monarchia: 1 ° l'avere io osato dire che mentre Garibaldi fu gr 1nde come generale, Vittorio Emmanuele II non potè meritarsi grado superiore a quello di caporale degli zuavi guadagnato colla sua bravura personale; 2° l'avere lumeggiato la ingratitudine del Re d'Italia e della monarchia verso Garibaldi. L' indignazione dei critici potrebbe essere santa ad un patto: dimostrando che io ho errato, ho calunniato, ho diminuito la figura di Vittorio Emmanuele II. La dimostrazione non è stata nem- (1) Segnalo con piacere sulle qualità militari di Garibaldi un rarallelo brillante tra Garibaldi e Moltke nell' Italia Moderna del 30 giugno. E' del signor Lionello De Benedetti. Sarei più lieto se potessi annunziare che egli è un ufficiale dell'esercito italiano. (2) La ferita di Garibaldi ad Aspromonte. R. Sandron, Milann-Palermo-Napoli, 1907. (3) Il corsivo è del libro. (4) Il corsivo è del libro. meno tentata; la loro ira, quindi, non può essere che a freddo, a base d'ipocrisia e di menzogna. Intanto documento più ampiamente la mia antitesi - la tesi é la grandezza militare di Garibaldi; l'antitesi la meschinità militare di Vittorio Emmanuele 2. 0 - aspettando che gli storici della Tribuna mi diano la sintesi. Non c'è una battaglia importante vinta per opera del solo Re d'Italia. La storia invece ricorda P,agine tristi sulla sua inettitudine. Non è storia scritta da me, ma da militari monarchici devotissimi a Casa Savoia; non sono giudizi miei che intaccano la fama di generale del cosidetto padre della patria, ma sono dei suoi fedelissimi luogotenenti o di suo padre, Carlo Alberto. I bigotti della monarchia, se fossero onesti , dovrebbero risparmiare le esplosioni d'indignazione a freddo contro di me dovrebbero prendersela coi generali Petitti, La Marmara o Cialdini, che giudicavano severamente l'inettitudine al comando in guerra di Vittorio Emmanuele. Leggano essi le lettera che i tre suddetti generali si scambiarono ~n una nobile gara alla vigilia della guerra del 1866 per far sì che il comando supremo fosse affidato al più meritevole e sopratutto per impedire che in un modo o nell· altro lo assumesse il Re che giudicavano incapace e quelle durante la guerra. Tali lettere non le ho inventate io; le hà pubblicate il colonnello Chiala nell'interessantissimo libro: Ancora un po' più di luce sugli eventi politici e militari dell'anno 1866. (Firenze, Barbera 1902) (r). I tre generali non riuscirono ad evitare che il Re fosse il duce supremo della guerra: Lamarmora non ne fu che il gerente responsabile. All' uopo è significativa la lettera -. pubblicata dallo stesso Chiala - dal generale Petitti indirizzata al generale Lamarmora nel 1868, quando tutte le responsabilità della guerra infelice del 1866 si gettavano sul secondo. lvi è detto: « La nostra fu una cam- <c pagna disgraziata e doveva essere così, perchè la <e s'impegnò in condizioni di comando, che non po- <c tevano andare. Per abnegazione tu accettasti sif- <c ±atte condizioni, e il risultato fu quello che doveva <e essere >> (pag. 595 a 598). · Il Generale Petitti in una memoria inedita scrisse: <e Era noto che il Re non aveva attitudine al comando in capo ed era sentita la necessità, che, lasciata a lui la parte onorifica del comando, la condotta effettiva della guerra fosse affidata a chi ne avesse la capacità .... (Chi ala: op. cit. pag. 560). L'incapacità militare di Vittorio Emmanuele era tanto conosciuta , che era pervenuta notizia anche a lui di ciò che gli altri pen ">avano. Perciò il Re nel 1859 in una lettera burbanzosa e sciocca al Conte di Cavour, in data 10 maggio, dopo certe spiegazioni sull' opera sua di generale aggiunge: << Dunque vede che non sono tanto bestia ...... J> Egli non soltanto era un generale incapace; ma come tutti gli uomini di limitata intelligenza era ostinato come un mulo. Della sua ostinazione si discorre nel libro di Chiala specialmente da pag. 560 a 572. Il Re stesso n' era conscio , perciò subì a malincuore come Capo di Stato maggiore il La Marmara, convinto che dopo due giorni si romperebbero la testa insieme (pag. 572). Chi ebbe rotta la testa ed offeso anche l'onore fu l'Italia. Vittorio Emmanuele in una repubblica forse non sarebbe nemmeno divenuto caporale; ma era Re e volle per vanità, se non per peggiori motivi politici, essere duce supremo; e l'Italia fu gratificata (1) Sulla capacità militare di Vittorio Emmanuele, sui danni della divisione del comando durante la guerra del 1866 si riscontrino specialmente le pag. 318, 329, 332, 336, 339-345.

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