RIVISTA POPOLARE 349 altro delitto; ma c10 non avvenne per merito loro. Senza ricord~re le piccole ostilità, le denigrazioni sistematiche contro Garibaldi vivo per parte dei monarchici e dei cattolici, non si esagera e non si calunnia affermando che se i birri di Carlo Alberto avessero preso Garibaldi nel 1834 avrebbero eseguito la condanna di morte emanata contro di lui; altrettanto avrebbero fatto i mercenari internazionali di Pio IX nel 1849. La capacità a delinquere di Carlo Alberto il magnanimo e quella di Pio IX non è un'ipotesi gratuita e malvagia: le eseguite condanne di morte di Vochieri e di Efisio Tola ec., di Locatelli, Monti e 'Tognetti non sono una malignazione partigiana. Arso vivo non sarebbe stato Garibaldi, se non fosse sfuggito alle ricerche dei suoi giudici monarchici e cattolici, perchè i tempi non consentivano più tale pena; ma certamente sarebbe stato fucilato alla schiena o librato in aria tra i sostegni di una forca. Prima che il Luzio abbia il diritto di gridare al1' offesa alla storia quando i repubbìicani commemorano a modo loro Garibaldi, egli dovrà dimostrare che Garibaldi non fu repubblicano e non fu odiatore del regime del Papa e dei preti. Il silenzio sulle sue idee nel momento in cui solennemente lo si èommemora sarebbe la maggiore viltà, la maggiore ipocrisia, la maggiore mutilazione adulteratrice della storia. Se moderati e clericali riconoscessero quale fu realmente Garibaldi recitando il mea culpa per gli errori e per le colpe dei loro predecessori potrebbero essere ritenuti sinceri ed ammirati; ma il pretendere che i repubblicani_ e gli anticlericali non ristabiliscano la verjtà storica su Garibaldi morto per fare comodo ai partiti, che lo perseguitarono e avrebbero voluto impiccarlo vivo - via! è tale mostruosità logica e morale, che l'uguale non si era mai vista. 1 repubblicani, cui non è serbata alcuna soddisfazione cui tocca il dileggio quotidiano degli opportunisti e della gente pratica ora che fortunatamente non sono più minacciati dall'esilio, dalla prigione e dalla forca hanno diritto e dovere, quando gli storici salariati e· cortigiani si sbracciano a falsare o a fare dimenticare la storia, di ristabilire la verità ed apprenderla ai giovani sopratutto, che la ignorano. l repubblicani in un sol caso sarebbero degni di biasimo: se tacessero che Garibaldi subordinò le proprie convinzioni politiche al conseguimento della unità e della indipendenza della patria. Non conoscp amici politici che stoltamente lo abbiano tentato. Per parte mia qui, a Milano, a Firenze ho insistito nel dimostrare che Garibaldi-come Mazzini, come quasi tutti i suoi discepoli-fu prima italiano e poi repubblicano. Con ciò non rimpicciolisco la sua gigantesca figura, ma la rendo più radiosa per la magnanimità del sacrifìzio delle proprie convinzioni al conseguimento di un più alto ideale. La magnanimità di Garibaldi, di Mazzini repubblicani, che cooperano ad ingrandire una monarchia rifulge maggiormente al confronto della grettezza odiosa dei monarchici, che per fare l'Italia non avrebbero mai cooperato acl aiutare una repubblica - qualche eccezione fra i combattenti di Roma e di Venezia non può formare regola-;al confronto della ignobile condotta di Carlo Alberto, che non volle correre in aiuto di Milano, mettendo in pericolo la vittoria delle Cinque giornate, col suo rifiuto se prima la Lombardia non proclamava l'annessione al Piemonte ... E gli storici salariati proclamarono magnanimo Carlo Alberto ! + Eccomi scivolato nelle comparazione; in quel metodo delle comparazione che ha dato tanto ai nervi dei bigotti della monarchia pel mio discorso di Firenze. Per commemorare un grande, anzi un gigante, è lecito compararlo con altri grandi? Sino a tanto che non troveremo l' assoluta grandezza , l' ideale, l'archetipo perfetto degli uomini, non ci sarà modo migliore di lumeggiare le figure eroiche che quello della comparazione. Non sono stato il primo a ricorrervi per commemorare Garibaldi. Nella magnifica commemorazione di Carducci in Bologna all'indomani della morte dell'eroe, - per non citare quelle bellissime di De Amicis, di Cavallotti, di Barzellotti ecc.-non mancano i paragoni. Per fare brillare maggiormente le vin ù di Garibaldi come fattore dell'unità italiana o come generale dovevo forse metterlo in antitesi, se non paragonarlo, con Baglione Malatesta che tradisce Firenze, o col Principe di Satriano che ricondusse la Sicilia sotto il dominio dei Borboni? Quella si, sarebbe stata una sconvenienza, una profanazione, che nessuno avrebbe dovuto perdonarmi! L'ho paragonato, invece, con coloro che gli sono stati messi accanto come principali fattori dell' unità e della Indipendenza della patria: a Vittorio Emmanuele 2°, · a Cavour, a Mazzini. Sono gli uomini ai quali lo hanno paragonato e Carducci, e De Amicis, e Barzellotti e tutti i .commemoratori odierni di Garibaldi. Si dice, quindi una stupidaggine quando si afferma, al solito che ho rimpicciolito la figura del nostro eroe ricorrendo ai confronti, che sono sempre odiosi ... per coloro, che ci perdono. Ora il mio delitto di lesa grandezza di Garibaldi sta in questo: nell'avere tentato di dimost:-are che l'eroe di Caprera fu maggiore di coloro che i bigotti della monarchia dicono grandissimi. Ecco come l'ho rimpicciolito; ecco perchè secondo il prezioso scrittore della Tribuna ho visto la tesi e l'antitesi, senza scoprire la sintesi ... La mia comparazione potrà essere stata erronea; avrò potuto sbagliare nel dimostrare che accanto a Garibaldi può stare soltanto Mazzini come fattore dell'unità italiana e che gli sono alquanto inferiori Cavour e Vittorio EmmaI_J.uele , dei quali non negai menomamente il forte contributo apportato alla grande opera nazionale. I gior11-ali che hanno affermato il contrario hanno mentito spudoratamente. Di Cavour sopratutto ricordai con alta lode la sua politica di lavoro, l' azione spiegata nella guerra di Crimea, l'alleanza conchiusa colla Francia nel 1859, il suo sdegno per la conchiusa pace di Villafranca. I fulmini lanciatimi dai bigotti della monarchia avrebbero colpito nel segno se avessero dimostrato che io nei confronti ero stato ingiusto; se ingiusto non fui, dimostrando che Garibaldi fu superiore di cento cubiti a Cavour e a Vittorio Emmanuele 2°, compii nel modo più adatto e più conveniente la glorificazione dell'eroe. Tutto ciò che c'era da lodare di Cavour lo lodai, c'era da aggiungere una parola per la sua politica interna e specialmente anticlericale. Deploro la dimenticanza involontaria e riparo adesso. Più in là non si poteva andare senza falsificare la storia, specialmente per guanto riguarda il punto fondamentale: la parte da lui avuta nella spedizione dei Mille e nella liberazione della Sicilia e del Napoletano. Il lungo articolo del Luzio inteso nella sua ultima parte ad esaltare Cavour precisamente, non riesce che ad attenuare la fiera requisitoria di Mirabelli, che ha completato quella di Alberto Mario; e l'amico Mirabelli, che risponderà da par suo, forse mi proverà , che nemmeno all' attenuazione è riuscito il Luzio.
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