Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XIII - n. 12 - 30 giugno 1907

RIVISTA POPOLARE 313 navali preponderanti di Rosas, tiranno della Repubblica Argentina e nemico dell' Uraguay. E il generale Bartolomeo Mitre, soldato valoroso e politico intelligente che lo conobbe in quelle occasioni dai ricordi di quelli inizi straordinarii fu tratto a scriverne più tardi coi sensi della più calda ammirazione espressa anche con letteraria eleganza (1). Come venisse giudicato sin d'allora si può scorgere da queste parole dello stesso Mitre: « L'impressione che mi produsse fu di una mente ·e un cuore equilibrati, di un'anima infiammata di fuoco, con tendenza alla grandezza e al sacrificio e la persuasione che era un vero eroe in carne ed ossa, con un ideale sublime e con teorie di libertà esagerate e mal dirette, e che però possedeva in lui abbastanza elementi per conseguire grandi cose. Da quel giorno non dubitai che Garibaldi col tempo sarebbe divenuto l'eroe dell'Italia libera, e nella corrispondenza che abbiamo mantenuta in questi ultimi tempi, ebbi occasione di ricordargli i grandi destini che nel mio giovanile entusiasmo avevagli predetto >>. Il valore e l'agilità delle mosse militari di Garibaldi rifulsero prima del 1848-49 nell'America del Sud; nel 1848 si riaffermano sui campi di Lombardia; maggiormente nel 1849 con la difesa di Roma. Le qualità militari spiegate nella difesa di Roma furono tali che essa richiamò l'attenzione di Moltke e trascinò alla constatazione del suo valore e della sua abilità il generale Schonhals, l'unico interprete come lo chiama il Luzio, del pensiero di Radetzki. Tra gli stranieri lo esaltarono per quella Campagna gloriosa il tedesco Hoffstetter, il Loevinson, l' olandese Koelman, l'Illustrated London News del tempo; ma tutti supera nella documentata apologia il Trevelyan (2). Lo storico inglese tratteggia con forti pennellate artistiche gli episodi leggendari in cui s' immortalarono con Garibaldi, Medici, Masini, Manara·, Dandolo, Morosini, Mameli, Pisacane. Le giornate gloriose dell'assedio di Roma non sono superate che dalla marcia attraverso le Romagne ed il Lazio, onde sfuggire alla caccia che gli davano spietata quattro eserciti: quello francese che l'aveva com battuto slealmente in Roma sotto il generale Oudinot, quello dei Borboni, lo Spagnuolo e l' Austriaco. (1) George Trevelyan Macaulay, l'ultimo grande st·orico di Gariba!di, narra l'origine molto modesta della Camicia rossa, desumendola dai ricordi dell'ammiraglio inglese Winnington Ingram, che fu testimone oculan: nella sua giovinezza delle: guerre civili sud americane. Fu un mercante di panni che offc:rse al massimo buon mercato a Garibaldi uno stok di camice rosse eh' erano destinate ai macellai dei >saladeros di Buenos Ayres, per vestire gli uomini della legione di Montevideo. Garibaldi accc:ttò colla certezza che i suoi legionari le avrebbero nobilitate. (Ga,·ibaldi's Defence of the Roma11 Repubblic. Londra 1907. Longman, Green Editori). Allora non usava la camicia ro3sa dei suoi commiliteni di Montevideo, con la quale: si presentò più tardi in Europa come una fantastica apparizione all'assedio di Roma contro i francesi. li suo abito, dice Mitre era una . ' giacca azzurra senza alcun distintivo, con il bavero rovc::sciato alla militare, con una doppia bottoniera dorata, costantemente abbottonata dall'alto in basso. Portava un cappello bianco di castoro, di forma cilindrica e alto di cocuzzolo, con larga tesa rivolta ali' insù a guisa di una visiera alzata di un casco medioevale. Per un moto macchinale, il suo gesto più encrgiLO in mezzo al fuoco era di portare la mano in mezzo ali' ala del suo cappt:llo, raddoppiandola in alto, come per meglio scoprire la sua fronte spaziosa ed arquata. (2) Rica viamo alcune delle notizie sugli storici mili tari di Garibaldi da un interessante articolo di Alessandro Luzio nel Corriere della Sera E a proposito degli austriaci il Luzio sfata la generosità loro, cui si attribuì l' intenzione di -lasciargli aperto lo scampo per Corfù. Tale marcia venne pure illustrata ed esaltata come un modello del gen_ere nella Rivista di Cavalleria del 1902 nell'articolo sulla Marcia di Garibaldi da Roma a San Marino. Colla stessa abilità sfoggì per una seconda volta ai francesi di Du Failly dopo Mentana ed ai tedeschi in Francia Questa sua meravigliosa facoltà di sfuggire ai nemici fa dire al Luzio che egli pareva possedesse un « sesto senso per Gutare tutte le insidie che lo attorniavano e per scrutarle >). Garibaldi generale, infine, - ed è doveroso ricordarlo - tròvò l'apologista e l'illustratore proprio in un generale itali ano, non di origine garibaldina, nato per così dire nella caserma, ma che per sua fortuna era libero dalle ortodossie del mestiere, come esso chiama quei pregiudizi dei militari di professione, che indussero a considerare il nostro Eroe come un capo di banda, come un audace e fortunato avventuriero. Fu 1precisamente il generale Gandolfì uscito dall'accademia militare di Modena nel 1857, che nel 1883 pubblicò il Garibaldi generale, in cui si esamina e si glorifica tutta l'azione militare di Garibaldi, che paragona ora a Timedeone ora a Belisario, dimostrando la superiorità del primo, che seppe conseguire i risultati grandiosi desiderati· e perseguiti con mezzi di tanto inferiori a quelli, di cui disponevano i due generali antichi. Solo Garibaldi, dice Gandolfi, seppe ottenere miracoli con eserciti improvvisati, formati con un atto della sua volontà al momento del bisogno. Così lo storico militare passa in rassegna tutte le gesta meravigliose di Garibaldi dalle battaglie di S. Antonio nell' Uruguay; alla difesa di Roma, ai 28 giorni dal 3 al 31 luglio 1849 in cui compie ventisei spostamenti e percorre 518 chilometri con una abilità che forse non ha. riscontro nella storia ( r); alla spedizione dei mille, alla campagna sul Volturno; alla campagna del 66; all'altra che ebbe l'epilogo tragico di Men tana; e intìne a quella sui campi di Borgogna, in cui fu riconosciuta la sua eccellenza dai generali tedeschi Verder, Manteuffel, Kettler. Il Gandolfì non solo riconobbe che Garibaldi fu un genio in potenza) ma che lo fu in azione e sempre in tutto ciò che operò; e mette in rilievo il grande merito di Lui: quello di saper suscitare la forza morale, e di sapersene valere; g uella forza morale, senza la quale la forza n~merica degli ese rei ti non conta e non vale; quella forza mora le ch'è il primo e maggiore elemento costitutivo della vittoria, a giudizio dei più grandi generali di ogni tempo e di ogni razza. Ed è questa forza morale che fa dire spesso a Garibaldi non il tragico: quì bisogna morire; ma: quì ad ogni costo, quì bisogna vincere; come egli disse a Milazzo e a Bezzecca (2). Garibaldi suscita ed adopera mirabilmente la forza (1) Su questa marcia scrisse il Gandolfi : (( Egli scopre sempre quel debole bagliore che doveva guidarlo alla migliore soluzione, nè gli fecero mai difetto quel senso d'intuizione, quel colpo d'occhio e quella risolutezza nell'agire, che dovevano aprirgli semprç la via al raggiungimento dello scopo finale di portare le sue forze là dove si avesse ancora volontà di combattere o si combattesse per la sua Italia, e di mantenere acceso nel cuore dell'Italia stessa la scintilla. Durante la sua marcia riuscì sempre vincitore in questa lotta di alternative, provocare e rifiutare il combattimento. E fu vittoria vera e completa, Fu senza dubbio "i ttoria strategica , pere hè per raggiungere lo scopo prefisso (recarsi a Venezia) era per Garibaldi assolutamente:: necessario di evitare ogni scontro ». (2) Felice Cavallotti liricamente commemorando Garibaldi nella sala dd 500 a Firenze l' 8 Giugno 1890 lumeggiò la differenza fattiva delle due formule.

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