Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XIII - n. 2 - 30 gennaio 1907

RIVISTA POPOLARE 55 c:v'essere il telegramma, cui accenna Jach la Bolina nel Nuovo Giornale di Firenze - vergato, com'egli dice dalla mano augusta ed frresponsabi/e del Re comandante in capo. Se non che, Jach la Bolina mal ricorda - dicendo che La· marmora, quariJo il telegramma fu a lui attribuito, tacque. No: non tacque - smenti nella Opinione del 17 dic. 1886; 20 Che la crisi del Comando è imputabile anche al re. Una vera anarchia - scrisse lo stesso Chiala nel 1601 - segnava nelle alte sfere politiche alla vigilia della Campagna del , 66 - e il Chiala la narrò particolareggiatamente nel suo scritto sul Dina. Il re - in un Consiglio di ministri da lui presieduto in Torino, nel marzo del '66, - disse tra l'altro in dialetto: - (< Con Lamarmora e Cialdini non passerebbero due giorni che ci romperemmu la testa insieme ». E giudicò fannulloni Durando e Della Rocca. Si fermò sul Petitti - ch'era stato due volte ministro della guerra. Ma Cialdini non volle. E allora pensò al Lamarmora - che mise innanzi il Cialdini. « Rifiutando entrambi -- così il Chlala - il re stava per rivolgersi al Generale Garibaldi ~. E sarebbe stata la fortuna d'Italia ! Ma Garibaldi era la bete noire di Napoleone III - e allora Lamarmora, sollecitato da Cialdini e da altri, finì per accettare. Se non che, confessa il Chiala: - (< Non solo i due Comandanti di Corpo d' armata nella giornata del 24 giugno non fecero nulla; ma non erano passati nemmeno due giorni che avvt!nne eziandio la rottura di testa fra lui (Vittorio Emanuelt:) e Lamormora >1. E il Lamormora si dimise il 26. Perchè? « Il perchè - continua il Chi ala - è abbastanza chiaramente indicato nel prezioso scritto del Bonghi intorno all1Alleanza prussiana: Più dispacci e di gravissimo momento erano partiti dal campo senza ch'egli (Lamarmora) li vedesse. E siccome in seguito a questi dispacci il generale Cialdini aveva deciso di abbandonare le sue posizioni sul Po, e il generale Lamarmora invano gli aveva raccomandato di conservarle, ne era seguito per lui la necessità di dare le dimissioni, onde si potesse stabilire una vera e forte unità di comando 11. Ma ho dimostrato - con la testimonianza del Petitti, del Cialdini, del Lamarmora, che ciò non fu, per causa del re, possibile - e si deve concludere ch'è ben singolare e pericoloso un regime costituzio • nale, nel quale il principe non può risponder di nulla e quindi dovrebbe essere escluso, come osservava anche il Bonghi, dal comandare gli eserciti; - ma appunto cio non è impedito dalla prescrizione positiva dello Statuto, che anzi gliene accorda espressamente il diritto ! Cormons e la pace di Vienna coronarono e mitrarono Cu - stoza ! Il giorno stesso dell' armistizio, Bixio lanciò quel peggio e quel taccio il nome - cht vanno diritti al Comandante supremo dell'esercito. La nazione fu trascinata - dissi! Garibaldi - in una cloaca di umiliazioni t E Giorgio lmbriani scriveva dal Trentino: - Sciagurato chi ebbe per u,:i momento fede nelle istituzioni monarchiche. Io morrò da repubblicano. - E per la repubblica morì. Come suo zio, in Venezia - il poeta dotto del Carducci: Alessandro Poerio ! Nel dibattito, anche su la pagina triste del '66, tra Alberto Mario e Fanfulla - quando il prode cartaceo della disfida di Barletta disse che aveva piene le mani di documenti per provare al Mario nel '66 noi fummo inabili, ma onesti - il Mario rispose che a lui non era riuscito fatto di cancellare le paroì~ di Napoleone m: - Durante la campagua potrebbe accadere che fosse utile che l' Italia non facesse la guerra con troppo vigore. Ed io - soggiu~se il Mario - sarò telice di essermi ingannato, perchè amo l'onore del nome italiano ancor più della rt;pubblica. (Avanti della Domenica, 19 gennaio). ♦ Andrea Carnegie : Il vangelo della ricchezza. - Il [mmaginiamo cinque fratelli, figli tutti di un intraprendente coltivatore. Il primo risiede in New-York lity , il secondo in problema della ricchezza deve richiamare di tempo in tempo l' attenzione del mondo civile, perchè essa è troppo disugualmente distribuita e in ultimo deve venire ad una più equa ripartizione. Di ciò ci possiamo convincere leggendo il discorso del Pre• sidente Roosevelt dd 16 aprile· 1906; il quale consigliò di distinguere tra le fortune male acquistate e quelle legittima - mente guadagnate. Le donazioni a scopo di beneficenza non devono distrarre da tale ricerca. Le grandi fortune, disse il Presidente devono essere colpite da una forte imposta di successione o di trasmissit>ne a benefizio dello Stato federa!e. Uguale proposta feci io diciassette anni or sono in un articolo sulla Ricchena pubblicato nella North Amèrican Review e ripubblicato il 2 I settembre 1906. Proposi l' imposta progressiva e l' esperienza di tanti anni mi ha confermato nella giustizia della proposta. Si è detto che l'imposta progressiva è socialistica ed intacca l'individualismo e il sorgere di ogni intrapresa. Ebbene io sono convinto cht! nell' individualismo sta il segreto del continuo progresso della civiltà. La virtù dev' essere premiata, il vizio punito, il lavoro pagato, la pigrizia deve condurre alla miseria. L' energia e la diligenza devono conseguire un premio , che dev' esstre negato all'indolenza e all'ignoranza. Si respinse il comunismo perchè era contrario al progresso della civiltà e si adottò la proprietà privata perchè lo favoriva. Ma con ciò non è detto che di fronte all'enorme accumulo della ricchezza nelle ~ mani di pochi non sorgano altri pericoli e· che non sia necessario adottare una politica che favorisca il pubblico :bene. Il primo mezz1) da adoperare è quello della imposta progressiva di successione, che non è novità e che esiste da lungo tempo in Inghilterra, dove la si appoggia eoll' autorità de nome di Adamo Smith. La giustizia dell' imposta risulta evidente quando si fa una indagine sulla origine della fortuna. Ecco un esempio : Un padre lascia due tenute o fattorie ai suoi due figli : una nel centro dell' isola di Manhattan e l'altra ad Harlem. La sorte assegna la fattoria di Harlem al maggiore dei figli; quella di Manhattan al più giovane. Entrambi hanno preso moglie coltivano entrambi con uguale diligenza sono tutti e due degli ottimi cittadini e i loro figli nascono e sono educati insieme. Intanto la città di New-York si sviluppa dal lato del Nord e la fatt,)ria del figlio più giovane diviene terreno ricercatissimo dì costruzione ; così senza che egli ci abbia messo lavoro, intelligenza, abilità superiore diviene milionario. La comunità senza altro suo merito lo ha fatto milionario. Non è conforme a giustizia che la comunità che ha creato la loro ricchezza, ne abbia una larga parte ? In un paese prospero, la cui popolazione cresce rapidamente come negli Stati Uniti gran parte della ricchezza creata viene dall' aumento nel valore della proprietà fondiaria; così il censimento ha mostrato che dal 1890 al 1900 il valore della proprietà fondiaria aumentò da 39,544,547,333 dollari a 52,537,628,164 dollari; cioè un aumento di circa 13 miliardi di dollari (1). Questo incremento della ricchezza non è dovuto ali' opera dei singoli individui, ma delle collettività. Se la popolazione rimane stazionaria il valore della proprietà resta stazionario ; se la popolazione diminuisce la ricchezza diminuisce e: cresce questa se cresce l' altra. Consideriamo ora la creazione e I' inérc:mento della ricchezza negli affari, nei quali l' attività personale vi hs grande parte. (1) Cioè 65 miliardi di lire italiane; quant' è la ricchezza totale dell' Italia I N. d. R.

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