... RIVISTA POPOLARE 51 sibbene i melodrammatici fautori della pace ad ogni costo. Vi è tutta una letteratura patetica, cht: va dall' almanacco al romanzo storico, la quale, confondendo la causa coll'effettto, crede come il miglior modo di sopprimere la guerra sia quello di sopprimere gli eserciti permanenti. Ebbene, ecco un germe del male che ci affi1gge ! Esso non può al certo distruggersi con proibizioni e s~questri , ma va controminato col raziocinio , opponendo stampa a stampa. E sarebbe tanto facile! A tutti questi umanitari passò mai pel cervello il dubbio che le guerre più spaventose sono quelle che non hanno una conveniente preparazione ? Che si può dimostrare coli' abbaco alla mano come le battaglie dell' antichità erano molto più feroci delle moderne , come la mortalità nelle guerre è andata scemando col perfezionarsi delle armi e dell' organica militare? Che le conflagrazioni tra popolo e popolo, attraverso la storia, scemarono man mano che gli eserciti divennero poderosi? Tra i socialisti non mancano coloro che da un lato temono di passare per militaristi e dall'altro comprendono come il primo popolo che in Europa non avrà più esercito sarà il primo che perderà l' indipendenza, ed allora questi signori se ne sortono colla Nazione armata: farmaco buono a tutto- ed in particolar modo per le finanze dello Stato ! Anche tale idea è seducente: il giovane fresco di studi vi scorge il riedere ai tempi classici, il democratico l' invincibilità popolare , il teoretico I' effettiva eguaglianza di tutti. Eppure nulla di più facile dello sventare in modo inconfutabile code~ta fisima, giacchè il concetto della Nazione armata rappresenta un ritorno alla formazione primitiva della società e cioè un regresso. Per attuare, ad esempio, in Italia un tale concetto si dovrebbe predisporre quanto occorre per le armi e per i movimenti di oltre 3 milioni di combattenti , cioè un decimo di tutta la popolazione: i calcoli più minuti portereb - bero a questa concmsione , che cioè il bilancio della guerra andrebbe ptù che triplicato, che il numero degli ufficiali salirebbe a roo mìla in guerra ed almeno a 30 mila in pace, che le caserme per le istruzioni periodiche, le fortezze, la rete ferroviaria, tutto andrebbe ampliato, duplicato, o triplicato: i quadrupedi di tutto il Regno non basterebbero alla bisogna J le attuali fabbriche d'armi dello Stato impiegherebbero quarant'anni per fornire un nuovo tipo di fucile alla fanteria. Di tutto questo si può dare la dimostrazione matematica : ma è inutile crederlo e discuterlo a quattr' occhi: bisogna col sapere, cogli scritti, colla storia persuaderne il popolo. E quando si parla della Svizzera bisogna rispondere che questo Paese in realtà spende relativamente per la difesa terrestre più dell'Italia, ha aumentato il suo bilancio militare ... ed an · cora non è contento de' suoi armamenti ! Poichè una lunghissima permanenza sotto le armi non è più possibile e per ragioni tecniche e per ragioni sociali, parrebbe, a prima vista, che_ almeno almeno non dovrebbe essere molto breve. Qui sta l' errore. Io sono d'avviso che i soldati non i,i devono tenere sotto le armi più del tempo necessario per compiere la loro istruzione militare. Vi è anche un'altra ragione che milita a favore delle ferme brevi, una ragione economico sociale . Il tempo nel quale il giovine sta alle bandiere nei rapporti economici può essere pregiudizievole al suo avvenire : esso va dunque abbreviato per quanto si possa. E poi, per la maggior parte de' coscritti , il servizio militare rappresenta, nella lotta per l'esistenza, una pausa, un sollìevo; si fatica molto meno in piazza d'armi che a zappare i fianchi dell'arida collina, ed è certamente migliore la zuppa dell'acc;tmpamento, che il pane di melica ammollito nell' acqua del fosso. Per quanti diventano piantoni di maggiorità, addetti ai servizi fissi , i;er gli attendenti soprattutto, la ferma sotto le armi è una vita di relativa agiatezza. Ed ecco perchè tutti costoro, ritornando alle dimore della loro infanzia, trovano pesante la vanga paterna e chiedono al deputato, al senatore un posto da procaccia , o da casellante ferroviario. Nulla ottengono e si fanno iracondi, sembra a loro che la vita militare gli abbia rovinati, che si misconoscano i servigi resi al paese (quas~chè fossero reduci dalle patrie battaglie I), ed eccoli oziosi sul sagrato del villaggio , eccoli far capannello, là ove li attende il verbo dell'oratore sovvernivo. Io, che questo so e vedo nella mia duplice qualità di militare e di deputato, potrei passare ad uno ad uno in rivista i 35 comuni del mio collegio ed additarvi i capi lega, i violenti che già erano ottimi giovani, che servirono nell'esercito e che poi, costretti a dover vivere di fatiche , si trovarono spostati , si riconobbero anarchici. Tra costoro vi sono persino degli ex-ca - rabinieri ! Ciò non è certo difetto delle istituzioni~ è eonseguenza dei ·tempi. , In giornata si vive con una intensità molto piu grande del passato, la gioventù di un uomo ne determina l'agiatezza o la miseria per tutta l'esistenza e questa esistenza è una battaglia continuata in cui si urtano cupidigie e bisogni supremi: in tale battaglia guai ai ritardatari, essi saranno i vinti. Niuna maraviglia adunque che il servizio militare appaia, anzi sia, molto più gravoso oggidì di quanto poteva essere or son quarant' anni. Questa è la grande ragione sociale che impone le ferme brevi, che vuole il cittadino al più presto possibile sottratto dall'obbligo militare. Come possono gli ufficiali dell' esercito modificare in pochi mesi il cervello ai giovani? ... Sarebbe necessario che questi, anzichè traviati da fole e da tradizioni che più non hanno ragione, fossero già predisposti a servire il paese. È quindi nella famiglia, nella scuola primaria , nel collegio • che si comincia a formare la coscienza del cittadino soldato, e ciò si dovrebbe proseguire nella scuola secondaria ed in istituti speciali per poi estenderla a tutti i comunelli del Regno. Io non vagheggio per nulla milìtarizzare la scuola, od invadere il campo della vita civile, ma ho il diritto di pretendere che la scuola e gli ordinamenti pubblici non siano padroneggiati dai nemici ddlo Stato, e preparino la distruzione minando l'esercito, come alcune circostanze farebbero temere. Un istituto che armonizza coi nostri intenti si è quello del tiro a segn0, pel quale si fecero progetti colossali, Si preventivarono centinaia di milioni e si spropositò. Il tiro a segno deve apprendere al giovane non soltanto a colpire , ma altrei.ì a non essere colpito , e quindi esso deve insegnare le teorie a tal uopo necessarie: la marcia, la corsa, il maneggio delle armi , il movimento del plotone , i principii della disciplina, della conservazione degli arredi , delle armi , delle cartuccie, il come mettere e togliere un campo, il codice penale militare, la gerarchia, ecco quanto è possibile apprendere fuori dell'ambito della caserma, cioè nei Campi di Tiro. Ciò richiede più tenacia di volere che potenza di monete , l'esercito potrebbe benissimo fornire il materiale occorrente. Per mio conto sostenni e sostengo essere opportuno che molti maestri delle scuole elementari transitino per l' esercito e vi acquistino col grado di sottufficiale una coltura elevata , una gentilezza di costumi, una convinzione tale da assicurarci che essi saranno una garanzia e non un pericolo per la patria. Non vorrei creare privilegi, no; ma i graduati militari coi titoli specifici per l'insegnamento si devono porre in libera concorrenza cogli clementi che direttamente provengono dalle scuole normali. Tale concorrenza è anzi desiderablle. È dai maestri, quali noi si vagheggiano, che potranno pervenire non pochi ufficiali di complemento, raggruppanJo così in un solo individuo attributi importantissimi.
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