Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XII - n. 19 - 15 ottobre 1906

516 RIVISTA POPOLARE sono particolarità secondarie che non distruggono il significato della grande vitroria morgariana. Il fatto che rimane è questo: che i cinque sesti del Congresso si sono schierati contro il sindacalismo rivoluzionario, e che tutto il vecchio Si-ato maggiore socialista, da Turati a Ferri, da Bissolati a Morgari, ha pronunciato una severa condanna di coloro che qualche anno fa pare-yano avere in pugno il movimento operaio d'Italia. E, altro fatto pure notevole, questa enorme maggioranza, unita cordialmente nella condanna del sindacalismo rivoluzionario, si è trovata sufficientemente concorde nello stabilire ·per il futuro una serie di norme che permettono le ragionevoli alleanze elettorali e qualche libertà rattica del gruppo parlamentare senza la quale un partito non può valer nulla entro le assemblee legislative. Il risultato, dunque, è molto chiaro. Esso sta al di sopra delle nostre discusioni se l'integralismo sia il riformismo o viceversa ; esso oltrepassa le nostre abili scherme di tendenze, di gruppi di coteries, per riassumersi nella vittoria del partito socialista, quale si è venuto formando dal 1893 ad oggi, contro tutte le deviazioni che volevano, o con l'assoluta intransigenza ricacciarlo nel periodo della sua infanzia, o col rivoluzionarismo sindacale ricondu'rlo alle convulsioni tumultuarie di un tempo ancora più lontano. Per questo il Congresso di Roma è stato - dal punto di vista dell'utilità del Partito socialista - uno dei più be11efici fra i tanti che si sono succeduti fin qui. ♦ Ma è stato - sento dire da molte parti - il trionfo dell'equivoco. Il riformismo non ha fatto il gesto estetico di affermarsi per quello che è, e si è confuso co11l'integralismo. L'integralismo a sua volta non ha potnto essere quello che è, perchè è stato inquinato dai voti riformisti. Dunque da una parte e dall'altra l'equivoco dura ancora, e l'unità sostanziale del partito socialista non è raggiunta. Vediamo d'intenderci, e sopratutto di vedere da quali parti e da quali impulsi è venuto, all'ultimo momento, quando pareva che una distinzione fra riformisti e integralisti fosse inevitabile, l'adesione dei primi all'ordine del giorno dei secondi. Nella Critica sociale del 16 agosto, io, proseguendo un mio vecchio pensiero, già espresso più volte nella defunta A.zio11esocialista, caldeggiavo un' intesa fra le tre frazioni di cui è formato (all'infuori del sindacalismo rivoluzionario che, per i suoi metodi e la sua dottrina si può considerare come un partito a sè) il p3rtito socialista italiano, ossia quella grande massa di socialisti che dal Congresso di Genova del 1893, attraverso lc ·csperienze più varie, è arrivata fìno ad appoggiare concordemente il ministero Sonnino, lasciando per istrada il catastrofismo rivoluzionario e l'intransigenza assoluta. E scrivevo: <e Un' intesa fra riformisti, integralisti e ferriani non mi pare difficile. Certo, bisogna che Ferri abbandoni senza alcuna reticenza la sua illusione di un'unità in cui tutti i metodi abbiano piena cittadinanza e pieno diritto di tirare contemporaneamente verso i quattro punti dell'orizzonte l'attività del Partito. Certo, bisogna che l'ala riformista consenta, non a sentir condannato il suo metodociò che, essendo esso lo stesso metodo degli integralisti, indurrebbe in un equivoco anche peggiore del primo - ma a vedere ben separate da lei quelle vere e proprie degenerazioni che oggi non inquinano affatto nè la sua dottrina nè la sua azione pratica ma contro le quali è bene mettere in guardia, fin da ora, anche nell'interesse del riformismo medesimo, il movimento socialista. Bisogna, insomma, che ciascuna corrente, fatta la sua doverosa affermazione, si decida a sacrificare qualche eosa della sua particolare veduta alle esigenze generali del Partito >>. .E sovvenendomi del riavvicinamento tra Gucsdc e Jaurès per opporsi riuniti alle minaccie del sindacalismo rivoluzionario francese, terminavo quel mio articolo con queste parole: <e Ocmi l'esigenza suprema è questa: salvare il movimento proletario, non tanto dalle complicate cd astruse teorie sindacaliste che hanno ora così scarsa fortuna, quanto dagli impulsi tumultuarii e anarcheggianti, che quelle teorie, bandite col suggello sociale, paiono legittimare. E per quest'opera, nè lieve, nè facile, è appena sutlìciente l' unione intima e cordi3le di tutte le cc tendenze >> del vecchio socialismo italiano >>. A dare autorità a queste mie previsioni e a qL1esti miei ammonimenti, venne poi il Manifesto dei· socialisti di Reggio in cui si trova l' identica preoccupazione che è nel Manifesto degli integralisti: salvare anzitutto il partito dalle deviazioni rivoluzionarie e incanalarlo, permettendogli sufficiente libertà di movimento, verso la via delle riforme e delle graduali conquiste. Senonchè a minacciare questo acccordo pareva dovesse insorgere quella parte d'intransigenza di vecchio stile che s'era infìltrata nel blocco integralista. A questo proposito, pochi giorni prima <lel Congresso, io scrivevo nell'Avanti! una lettera aperta ad Oddino Morg3ri. 13ada - gli dicevo-che non prevalga l'anima intransigente che si è annidata nel tuo integralismo ecclettico ed antidogmatico; nel qual caso noi che stiamo in attesa, pronti • a far causa comune con te , non potremo seguirti perchè sotto la bandiera dell' integralismo spunteranno i divieti unilaterali e dogmatici della vecchia intransigenza. Per fortuna, proprio mentre Turati fucinava i suoi frizzi contro il cc logogrifo integralista» contro questa accolta di uomini collocata al di là <lel <e bene e del male » l'ala destra dell' integralismo, aiutata da Enrico Ferri , persuadeva gli antichi ferriani a togliere ogni divieto assoluto alla tattica parlamentare, e ad aderire ad un ordine del giorno che non era più evanescente ed innocuo ma era il ben.e secondo i riformisti , i I rnale secondo i sindacalisti. Cosicchè, quando dopo un lungo torneo oratorio dove (per l' artificiosità dei tre sotto-congressi serali, e per l'impossibilità di far parlare non i soli campioni ma il vero e proprio cong1:esso) pareva dover venire fuori tre ordini del giorno, l'un contro l'altro armato, i riformisti hanno sentito che bisognava tornare a quello che era stato il loro proposito; l'unione delle varie tendenze nella solenne differenziazione dal rivoluzionarismo dei Labriola e dei Leone, e il riconoscimento delle esperienze fatte fin qui dal partito socialista. Certamente questo proposito, che all'inizio non era stato di tutti i riformisti, non poteva neppure riscuotere l' approvazione di tutti. Ma quelli che, come i socialisti reggiani, di questa alleanza riformista-integralista si erano fatti propugnatori <la tempo, e che da tempo ne avevano dimostrato la opportuni ta e la logicità, non poteva respingerla ora che, colla vittoria dell, ala destra integralista, essa si presentava possibile. Ed essi trascinarono i riluttanti. Così un atto che - per il modo con cui si svolse il Congresso - parve di un illogicità colossale, fu in fondo un ritorno alla sana e spontanea logica di prima. Fu la consacrazione dei propositi che

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