RIVISTA POPOLARE 381 vizi di tanti suoi pronipoti moderni , cosi nei personaggi latini appaiono quasi pietrificate e precisate in forma geometrica le lacune del nostro rnondo morale. Cosicchè leggendo codesto libro ci convinciamo anche una volta quanto fosse nel vero il Bagerhot, il quale affermava che solo il medio evo è antico, laddove il mondo antico è schiettamente ed assolut,amente moderno, Nelle interessanti sue pagine, il Salvioli ci fa assistere agli esordi della ricchezza latina, ed alle _varie e tumultuose vicende di quella proprietà mobile e terriera. Dimostra quanto sia esagerata l'opinione troppo invalsa, secondo cui l'economia agricola romana sarebbe essenzialmente a base di latifondo , e come invece v' avesse notevole parte la piccola proprietà nell'agri- -coltura, nell' ind11stria l'artigianato indipendente. Stu- <lia partitamente la produzione in genere e la produzione agraria in ispecie, le condizioni del capitalismo a Roma , la sua costituzione economica e tecnica , le forme che esRo ha.rivestite alla superficie della civiltà romana, fino allo scoppiar della rivoluzione disastrosa -che lo ba decomposto. ed infranto. E dallo studio coscienzioso e paziente trae la conclusione : una conclusione, la q nale a bella prima stupirà lo spassionato lettore, chè stt:\ in reciso contrasto al titolo stesso dell' opera di cui ragiono. Ed invero questo libro sul capitalismo nel mondo antico riesce a concludere che nel mondo antico il capitalismo non esisteva. Esistevano. scrive l'autore, le forme pii1 superficiali e secondarie del capitalismo, il capitalismo usurario, speculatore, commerciale; ma il capitalismo industriale ed agricolo, che è quanto dire il capit·dismo per eccellenza, o quello che ne è la forma fondamentalfl , era allora assente del tutto , o non avea più che qualche sporadica ed effimera esplicazione. E in verità , dice il Salvioli, il capitalismo industriale non può svolgersi che sulla triplice base del monopolio degli strumenti di produzione, del salariato e della esistenza di un mercato generale dei prodotti. Ora nessnno di quei:;ti presupposti ha riscontro nel mondo latino, ove il lavoro salariato è puramente eccezionale , lo strumento di produzione è diffuso fra una miriade di artigiani , e l' industria artigiana prevale non solo nelle piccole imprese , ma nelle stesse produzioni accentrate, infine la produzione non si compie di regola allo scopo di vendita, ma si pel consumo diretto del prodt.ittore. Il fattore prevalente della produzione latina non è il capitale, ma la terra; il profitto e la rendita, queste categorie fondamentali dell'economia capitalista, rnaucano allora completamente; ed è assurdo pertanto ogni tentativo di raccogliere Hotto lo formule proprie dell'economia moderna l'assetto economico di Roma. governato da leggi ussolu tarnente di verse ed incomparabili. Nè io vorrò contro questa opinione plansibile e già forte del suffragio di Marx e di Lexi;:; , ripetere le obbiezioni altrettant0 plansibili , che è troppo facile opporle. Non v' ba dubbio che quando si cominci dal definire il capit,alismo siccome quella forma economica, che si regge sul salariato, si è costretti a concludere che nell'economia antica il capitalismo era assente, od aveva nulla più che una frammentaria esplicazione. E fin qui poco male. Ma ciò che non rosso affatto ammettere è che nell'economia latina fossero ignoti il monopolio dP-gli stromenti di produzione, il profitto, e la rendita e che non esistesse lo scambio ed il mercato. Per .ciò che riflette il monopolio degli stromenti di produzione , parmi anzi che nell' economia schiavista esso raggiungesse la massima intensità, qnanto che abbracciava , non solo lo strouìento inanimato , ma l' instrumentum vocale. o la persona stessa del lavoratore. E per ciò che concerne il profitto e la rendita, ma che era il reddito dei proprietari delle ft>rt.ili terre italiane se non una vera rendita fondiaria? Che era il reddito dei proprietari di i:;chiavi, se non un profitto del capitale e dell'impresa, che potea differir dal profitto llloderno , perchè era commmato in natura, anzichè formare oggetto di scambio , ma non perdeva per questa accidentalità secondaria ed estrinseca la sua natura di profitto? Che se l'autore, esprimendosi marxianamente, dice che dove manca il valore manca il µiù-valore, che forma l'essenza del capitalismo, possiamo rispondergli col Marx medesimo che il più-valore esiste indipendentemente dallo scambio, ovnnq ue v' ha un sopralavoro, e che qneato si manifestava nitidissimo nel mondo latino. Infine , anche l' inesistenza dello scambio e del mercato, non è, nell'economia romana, cosi assol11t0come pensa il Salvioli; ed è troppo noto che le affermazioui in proposito del Rodhertus , alle quali il nostro antore evidentemente si ispira, furono attenuate e rettificate dal Meyer nelle sue ricerche approfondite 1rnlla storia economica dell'antichità. Per tutte q neste ragioni ( nè dirò cosa nuova a quanti conoscono i miei scritti) io sarei menò proclive ad aderire alla tesi del Salvioli, che a quella opposta. del Mommsen, del Sombart e d' altri, che nella costituzione economic·a latina ravvisano una forma specifica e per più rispetti diversa dalla presente, ma pur sempre una forma di capitalismo. Appunto perciò non posso conv~nire coll' autore , quando afferma essere inapplicabile al mondo latino la legge di Thtinen , o le teorie dell'economismo storico, le quali ultime hanno invece nella storia di Roma la più brutale ed impudente riprova. Poicbè mi trovo sulla sdrucciolevole china della critica , potrei soggiungere che lo studio acuto , rivolto dall'autore all' assetto economico della 8chiavitù, ha il torto di tralasciare l' argomento rilevantissimo del prezzo degli schiavi, che è pure (come ebbi a provare nella Costituzione economica odierna e corno è suffragato da ricerche recenti) la chiave ·di volta di t11tto il sistema schiavista ed il segreto della sua ruina. Ma q neste critiche, ed altr€1 che potrebbero ::;oggitrngersi, non valgono pure a scalfire il monumento così cospicuo di dottrina e d' ingegno , che il nostro storico seppe erigere al proprio nome ed alla propria nazione. Il suo libro , di cni raccomandiamo a tutti i cultori de' buoni studi la lettura paziente e riflessiva. 110nillumina soltanto di vivida luce i mondi spenti, su cui projetta la fiaccola della ricerca scientifica, ma gitta di riverbero parecchi nitidi sprazzi sullo stesso mondo contemporaneo. E nelle sue pagine si rinnova e ritempra la convinzione profonda, che se per avventura in un giorno lontano si troverà la solu- ~ione del mistero sociale, sarà piuttosto fra i ruderi
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