Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XII - n. 11 - 15 giugno 1906

304 RIVISTA POPOLARE giornata dt iavoro, t=he fa aume!1t.:re gl' infortuni, la tuber colosi, la pulmonite, la tifoide. Ciò che li preoccupa è sopratutto la disoccupazione derivante i11gran parte dallo sviluppo del macch.inismo. Niel (La jo1trnee de lwit heure) ha osservato : <<bisogna far lavorare meno quelli che lavorano per far lavorare di più quelli che non lavorano >l. L'illusione degli armonici, dice Niel, che non credevano di veder diminuire la produzione accorciando la giornata di lavoro svanisce. È vero che la produzione unitaria di ogni ora di una giornata breve di lavoro aumenta; ma non in misura tale che riducendo da 10 ad 8 ore la giornata non ci sia nel complesso diminuzione di produzione. Secondo i suoi calcoli diminuendo 5 milioni di ore si darà lavoro a 500,000 disoccupati. :\1a Niel è troppo ottimista. In molte industrie la produzione non di minuirà colla riduzione della giornata ad otto ore, come non diminuì colla precedente riduzione. Se è vero che il fattore personale del produttore, la facoltà di adattamento dell' operaio al suo lavoro hanno preso una importanza sempre più grande , è evidente del pari che un tale sviluppo psicologico e tecnico è stato determinato dai prof ressi del macchinismo. La produzione è determinata sopratutto dalla tecnologia , dal rinnovamento e perfezionamento delle macchine , dalle invenzioni. Perciò gL.i scioperi, la riduzione della giornata invece di ridurre la produzione obbligano l' industria a perfè7.ionare le sue macchine. 11 capitale ha risorse infinite ; e come diceva Ure, quando il capitale adibisce la scienza, la mano ribelle det lavoro apprende sempre ad essere docile. Si deve ritenere, quindi, che la disoccupazione non cesseç_~lcolla riduzione della giornata di lavoro; la disoccupazione è inerente al capitalismo e cesserà con esso. Intanto la riduzione della giornata ad otto ore è indispensabile al proletariato perchè essa serve ad assicurare lo sviluppo delle sue forze. Infatti questa <'.: una d..:lle riforme, che può ottenere se lo vuoJe, perchè dipende <;:Sclusiv:1tnentc.d::alla volontà della classe h.tvoratrice il conseguirla. Ponendo la rivendicazione delle otto ore , i socialisti rivoluzionari sapevano che le energie e le volontà proletarie tenderebbero verso lo scopo, che si prefiggevano; prevedevano un movimento d' im perio, una mobilizzazione itnponente ddle forze operaie. Questa è nna piattaforma delle più opportone per dare tutta la sua impronta caratteristica alla lotta di classe. La domanda delle otto ore costituisce una delle prime dimostrazioni del sindacalismo rivoluzionario, una affermazione generale, netta e categorica dell'a 1ione diretta. Quale sia il significato vero del movimento delle otto ore si deve rilevare dall'opuscolo pubblicato sull'argomento della Co11Jederntio11 gé11érale du travail clte dice: « 11 lavoro deve « essere tutto e tutto un giorno sarù. Questo giorno, sapendo (<qual'è la nostra forza e la nostra potenz,-1, 11oi rifiuteremo « di l:1vor:tre per .:onto Jc.::I capitalismo ... Sar~1 lo sciopero 1<generale, e la espropriazione delh borghesia e la nascita di <<un n11ovo mondo soprn basi più eque >) (Le 1'1u11l'eme11tsocialiste. 15 aprile). ♦ D. Za11ichelli: L' azioue floi <Jomnni cont,ro il li'ou(lo 1>or il <.Jnlt,o e H ~no valore cconomlco, 1norale t.) politico. - I,' agitazione di tnolti Comuni per rivendicare i loro diritti sui beni delle soppresse Corporazioni religiose, misconosciuti, se non negati , dal Fondo del Culto, ha un'importanza essenziale, Ji cui si debbono rendere conto anche quei Comuni che finora si sono rifìutati o hanno trascurato tli aderire ali' iniziativa del Sindaco di Firenze. Dal punto di_vista economico, è risaputo che le ricchezze delle soppresse corporazioni erano ingenti, e tali era no rima - ste, malgrado i varii provvedimenti legislativi che, n profitto dello Stato, le avevano diminuite, quando, in virtù della legge di soppressione, il Fondo per il Culto ne prese possesso e ne curò l' erogazione nei modi e agli scopi dalla legge stessa previsti. Ora di queste ingenti ricchezze , di questo patrimonio immenso, ben poca parte e di molto inferiore al quarto, è stata finora data ai Comuni , e la stessa r~sistenza che oppone la Amministrazione del Fondo pel Culto a dare i conti esatti, il rifiuto che essa fa d'ogni esame, per così dire, in contrad dittorio, dello stato di questo patrimonio , dimostrano chiaramente che le briciole finora date ai Comuni sono ben lungi dall'equivalere a ciò che essi realmente sono in diritto di pretendere. Evidentemente l'Amministrazione del Fondo pel Culto deve rifiutare ogni controllo, ogni sindacato sull'opera sua, perchl le risultanze sarebbero molto grandi a suo carico , dimostre rebbero, cioè, che il quarto delle rendite spettanti ai Comuni non è mai stato dato loro, e da questa constatazione sorge rebbe in essa I' obbligo di darlo. Ma, appunto perciò, i Comuni debbono con maggiore insi stenza e con un 'azione sollecita e concorde, rivendicare i loro diritti, aderire ali' ini1.:iativa del Sindaco di Firenze, e iniziare, per mezzo del Comitato legale sorto in questa città e a Pisa, gli atti per tale rivendicazione. È una quistione di m.io e di tuo: il lor• diritto sarà conosciuto quando sia fatto valere nei modi voluti dalla legge dinanzi ai Tribunali del Regno. E lo debbono far valere anche perchè le finanze loro , in genere, sono in condizioni da non poter rinunziare a mssuna risorsa economica , e , dato pure che in alcuni casi siano floride, i servizii pubblici da maggiori mezzi possono ricevere maggiori svolgimenti con vantaggio delle popolazioni. Inoltre gli amministratori dei Comuni, finora non curanti o renitenti, debbono pensare alla responsabilità loro di fronte all'opinione pubblica e ai loro amministrati. Come possono trovare una giustitìca - zione alla loro noncuranza? l contributi comunali sono in au mento , i servizii pubblici richiedono sempre maggiori cure, ed essi preferiscono gravare i contribuenti, trascurare i sc:r vizii pubblici, piuttostochè rivendicare ciò che al loro Comune spetta. Per di più occorre fare un' altra considerazione. Molta parti! degli oneri dei Comuni dipendono da servizii che, per loro na tura, sarebbero stat11ali, a cui dovrebbe cioè accudire lo Stato, e che invece questo ha creduto utile riversare sulle an'lmini strazioni locali ; e inoltre lo Stato si prende anche una parte dei proventi tinanziarii che dovrebbero interamente entrare nelle casse dei Comuni. Ora, in questa condizione di cose, quale ritegno possono possono avere i Comuni a rivendicare ciò .:be loro spetta, per disposizione espressa dalla legge, dallo Stato'? E diciamo ~lallo Stato, anche nel caso presente dell'Amministrazione del Fondo pel Culto, perchè se è vero che questa è un' amminislrazione autonoma, è anche vero che è stal11ale, svolge la sua attività sotto la sorveglianza dello Stato che l'ha istituita, e inoltre non <'.: temerario pensare che lo Stato stesso abbia, legittima1m:nte o no , più volte attinte alle sue casse per bisogni più o meno urgenti e più o men confessabili. Ora i comuni, rivendicando ciò che loro spetta, non solo esercita no un loro diritto , ma fanno opera di moralizzazione della pubblica amministrazione, impediscono lo sperpero senza controllo del denaro che può essere impiegato a scopi utili e pel bene vero del paese, e che la legge in modo espresso vuole riserbato ai Comuni appunto percht: sia impiegato in opere di uti lità morale e 111ateriale. Infatti l'art. 35 dice: i Comu11i saramio obbligati, sotto pe11a di decade11::._ain favore del Fondo Culto, ad impiegare il quarto aw1 _idetto i11 opere di pubblica 11lililà, e special mente nella pubblica istr11iio11e. (ìuindi non solo <'.: assegnata la rendita , ma questa deve esst:rc erogata ad uno scopo de- ..

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