RtVlSTA POPOLARÈ 275 sìoni; rna in ogni 1110J~ essi bevono thè, leggono libri, discutono e vivono abbastanza bene. Il partito costituzionale democratico, checchè faccia lo Czar, sarà in maggioranza nella Douma. li primo dovere della medesima sar~l queHo di consolidare le istituzioni parlamentari nel paese; nella quale opera non si rotrà riuscire che coli' esercizio della moderazione. Ma i democratici costituzionali sono trascinati a riforme estreme, che il governo non può accettare. Si dubita .::he la prima Douma possa fare una seria opera legislativa. Possiamo attenderci molte belle frasi e la espressione di principi umanitarii, ma nulle di pratico e di utile. La prima Douma si separerà probabilmente senza nulla aver fatto per la pacificazione del paese e senza aggiungere alcuna buona legge al libro degli Stati russi ( Tl1e national ReJJie1JJ. Maggio). ♦ Vittorio Piva: L'ultimo sciopero· generale. -Confessiamo subito senza dissimulazioni che non sarebbero possibili, e senza attenuazioni che. non sarebbero serie: è stato un- fallimento; un fallimento sotto tutti i rispetti: sia per il fine speciale che il movimento si proponeva ( e che non fu conseguito nè poteva, per quella via, conseguirsi), sia come dimostrazione di forza e di minaccia proletaria (una dimostra zione, pur troppo, riuscita a rovescio), sia per le varie conseguenze derivate e da derivare, dannosissime tutte. Perchè avve'nga e avvenga seriamente, uno sciopero gene raie occorre a:1zitutto il libero impulso d'un sentimento vivo, sincero, profondo, operante simultaneamente in tutti , donde viene al movimento quel carattere di spontaneità incoercibile, d' impeto schietto e naturale, che lo fa rispettabile, quand' anche ali' atto pratico il suo fine si riveli un' illusione e i suoi effetti si risolvano in meri danni sociali. Tale carattere ebbe , ad esempio , lo sciopero generale del settembre r 904 , il primo del genere, la cui spinta schiettamente passionale nascose prima e scusò poi la rnancanza di equilibrio fra il mezzo e il fine e la cui grandiosità basto ad assorbire e a far obliare talune isolate esorbitanze e degenerazioni. Ma bisognava fermarsi lì. Bisognava capire che lo sciopero generale-pur rimanendo sempre arma possibile per momenti eccezionali della vita proletaria - non valeva a conseguire il fine speciale che s'era proposto nel settembre del 1904, quello cioè Ji eliminare la possibilità di conflitti cruenti tra forza armala e folle di lavoratori in agita~ione. Bisogna va capire - e far intendere - che quel fine , così come era posto, era un bersaglio sbagliato e irranggiungibile. Si fece per l' appunto il contrario. Lo sciopero del settembre 190+ anzicht: e::ssere il punto fermo, diventò il punto <li partt!nza per altri tentativi del genere. l sindacalisti videro in quella data la nuova èra donde pigliare gli auspicii per la tanto decantata azione diretta. I rivoluzionari ad oltranza (ed cran logici , almeno loro !) no~ esitarono a proclamare che ogni moto di piazzà dev' essere favorito sempre, perchè da ognuno, sia pure ini_zialmente esiguo e senza mèta, può sempre scaturire, per fortuite circostanze e per effetto di contagi, una insurrezione generale , che non tarda a trovar poi da sè la sua mèta e il suo sbocco. E finalmente le Camere del Lavoro (e fu lo sproposito più grosso) nel loro Congresso di Genova decretarono che a ogni conflitto tra la forza pubblica e praletari, in cui gli agenti di quella facesser0 uso delle armi, dovesse seguire, immancabile e fulmineo, lo sciopero generale <li tutti i lavoratori d' Italia. Con ciò le Camere del Lavoro presunsero <li regolamentare e sottoporre ad un semplice meccanismo esteriore e formale quello che èra - e che rimane - un fenomeno intimo e complesso di psicologia collettiva. Doveva quindi venirne il fiasl.'.o. E il lìas~b Vc1rne. La povertà di un movimento operaio serio, <.:osciente e forte, diede luogo al soprannuotare d' una ignobile orda che nell' agita zione cercò unicamente un pretesto per disforrare la brutalità dei suoi istinti dall' incomodo vincolo del viver civile. Perchè tutto ciò ·1 Non già - come si va dicenjo - perchè la organizzazione dei lavoratori in Italia non è sufficientemente estesa e perfetta. Non è la forza_ o l' agilitc1 dell' organizzazione che manchi: ciò che manl.'.a - pur di sotto allo scon - tento, alla irritazione, allo sJt:gno sincero e giusto per la frequenza dei costdetti eccidii proletari - è la fiducia, è la sicureHa clze quei fatti dolorosi deb;a110 proprio e unicamente attribuirsi a colpa di governanti e clze I' ù1sorgere contro i governanti possa bast.i,-e a farli cessare. È tempo ormai che ciò che tanti e tanti sentono confusamente in loro segreto, sia detto alto e spiegato aperto da no i socialisti. L' essersi illusi e· l' avere per un pezzo seguito o secondato I' illusione altrui ci potrà essere perdonato solo a patto che ci risolviamo a parlare alle masse, austero e famo, il linguaggio della sincerità e della temperanza. E dobbiam dire anzitutto cht: dei conflitti sanguinosi e fre. quenti fra proletari e forza armata non è vero che la causa un,ca o principale risieda nella responsabilità del governo o dei suoi funzionari: se così fosse, se così credessimo, avremmo il diritto ~ il dovere di : romuovere , nonchè lo ~ciopero ge nera le, la insurrezione violenta. Dobbiam dire che il voler abolito l' intervento della forza pubblica nelle lotte fra capitale e lavoro è legittimo solo nel senso di esigere che siano vietate assolutamente tutte k pressioni o intimidazioni, pur tr~ppo in uso, sui lavoratori; ma è asiurdo pretendere che, ove la massa scioperante, i11 un accesso irresponsabile di esaspera 1ione, minacci violenre, dislru 1ioni, saccheggi, le sia lasciato libero campo Jz110 ali' esaurimento del suo furore. Dobbiam dire infine che la eliminazione dei lamentati conflitti e delle loro tragiche conseguenze potrà bensì essert: fa vorita , ma non determinata mai in modo assoluto da alcun provveJimento legislativo o contegno di governo; giacchè kggi e governi non possono cambiar d' un tratto, inveterate e de presse condizioni economiche e morali d' intere popobzioni nè impedire imprevedibili scatti di istinti violenti. Certo il governo - i governi anzi - possono fare assai ; e tutto ciò che possono, devono fare; né solo con disposizioni legisla.tive , ma ancora - e forse più - con un nuovo spirito che deve animare l' autorità politica nei rapporti e nei con tratti con le masse lavoratrici, uno spirito di modernità spregiudicata, di accostevolezza, di tolleranza, starei per dire , di premura amorosa, per cui il lavoratore senta nella legge non solo la minaccia punitiva, ma eziandio la confidente assistenza. Ma per arrivare a questo I' unica via è di rendere sernpre più democratiche la compagine e le tendenze dei governi. Non c' è altro da fare , altro da tentare. Lo intendano bene le masse, che con l' impulsività dei loro scioperi esasperati e impotenti precipitano noi e sè stesse a conse::guenze diametralmente opposte. E una parola d' ammonimento va pur detta ai nostri gior nali, i quali (fatte pochissime eccezioni e non escluso, tutt'altro l, il maggior d'essi, organo ufficiale dt:l Partito) sia parlando continuamente con sistematica iperboh: di poli 1ia assassina, sia indulgendo ai violenti istinti delle folle coli' affibiare il gentile eufemismo dl innocui sassi alle pietre lanciate contro le teste dei carabinieri e dei soldati , sia glorificando pomposa - mente ogni agitazione popolare anche abortita , concorrono a creare negli spiriti delle masse un cumulo di impressioni o errate il cui effetr.o è poi , nei momenti critici , di reagire in forma sproporzionata alla realtà, come avviene con questi scioperi generali, e di determina1·e altri a decisioni egualmeute
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