202 RIVISTA POPOLAR~ di natura più duratura e nei soccorsi da distribuire ai danneggiati. La pane del leone vorrebbero prenderla coloro che sono stati colpiti, anche duramente dal disastro, ma a cui rimane t;'tnto da vivere non solo ma anche da ricostruire la posizione antica con alquanta attività non iscompagnata da qualche sacrifìzio; e costoro esagerano di proposito i danni subiti. Le bricciole si vorrebbero lasciare ai poveri, a coloro che banno tutto perduto - la casa, le masserizie, le provviste - e che non hanno mezzi e speranza di rifarsi. Questa iniquita si e vista in Calabria e non deve ripetersi attorno al Vesuvio. Ma la deficienza più dolorosa e che ha avuto le conseguenze più disastrose si e rivelata colla esplosione colossale di una superstizione degna di popoli selvaggi e che da prova delle condizioni intellettuali bestialmente arretrate, vergognosamente anacronistiche, del1a popolazione della provincia di Napoli. Per potere comprendere ciò che diremo a giustificare la severità del nostro giudizio riportiamoci alle manifestazioni di un secolo fa. Si riferiscono alla eruzione del 17 79. Ecco le parole testuali di Vincenzo Florio, contem poranèo, e che sono state in questa occasione riprodotte nell' Archivio storico napoletano: Il rumore e strepito continuo davano terrore e spavento, giacchè si vedevuno per aria grandini di grosse pietre , globi <li fumo e tempeste di cenere. E talmente alzossi il fuoco che si disseminava per tutta la montagna, che venne a cadere ancora nella cima e IH::llefalde della prossima Somma, detta altrimenti montagna d'oro, che sembrò ancht: qut:sta infuocata. Dalle fiamme alzate circa due miglia in aria, si diffondeva tal lume per la città e contorni, che eguagliava il lume della luna piena 1che allora già risplendeva); se no:1 che il lume suddetto era rosseggiante e spaventoso ... Del popolo, alcuni ricorsero alle orazioni, altri alle processioni di penitenza, tutti, però, titubanti fra la confusione e il timore. La gente della marina corse all'arcivescovato per porla statua del glorioso S. Gennaro a benedire il monte, solito aiuto in tali bisogni, altri ricorsero a S. M. per la licenza. Un tale spettacolo durò per un quarto d'ora circa perchè le fiamme andarono subito a cessare, restando il Vesuvio spaccato e rotto alla cima come un melo granato, ed ambedue le montagne ricoverte da fuoco. La Maestà del Rt: trovavasi al teatro dei Fiorentini, ed avutane notizia, ordinò calarsi il panno al teatro, e si lasciò I'opera imperfetta. Il popolo fece aprire la chiesa di S. Giovanni de' Fiorentini con concorso di numerosa gente, per raccomandarsi alla beata Vergine dei dolori, che ivi venerasi come immagìne molto miracolosa. Da persone che trovavansi a Portici fu assicurato essere stato tale lo spavento, la confusione e l'orrore che se ne concepì che mente e lingua umana non poteva spiegarlo. La ma tt:ria bituminosa ed infocata s' indirizzò per la parte di Bosco - trt:case e , per quanto si disse, fu causa della morte di più persone, oltre la perdita notabile dei territori e delle case. Il re si portò subito al suo palazzo a Posilipo, ordinò a molti cavalieri che incontrò per la strada che si portassero all'arcivescovado e si facesse quello che i 1 popolo voleva per sua devozione; il quale essendosi aperta la chiesa, pregò caldamente il protettore S. Gennaro per la liberaziont: di così ct:rto ed imminente pericolo. Ma, per grazia dd Signore Iddio t: intercessione del glorioso santo, non andò avanti l' inct:ndio, come si dubitava. Nella notte tutti gli abitanti della Torre, Resina, Portici, Ottaiano, Bosco, Somma e luoghi vicini fuggirono per rifugiarsi in Napoli, lasciando tutto in abbandono, badando soltanto a salvarsi la vita. Li religiosi fuggirono da' loro conventi e si rifuggia - rono nei prossimi. Il danno fu generale, ma più di tutti l' intesero gli abitanti di Ottaiano, giacchè tutte le case restarono rotte ed arse, ed altre sepolte dalla cenere e dalle pietre vomitate dal monte, e moltissimi furono quei mist:rabili cht:, coi fardelli delle loro robicciuole sotto le braccia oppure attaccate ai carri e galessi si ricoverarono in Napoli. Sin qui il cronista del 1779. Il quale ci dà no• tizie della superstizione del popolo e del Re. Ebbene a quale spettacolo abbiamo assistito oggi a centoventisetteanni di distanza ? Alle stesse esplosioni di fanatismo e di superstizione con un poco meno di fede e un poco più <lì camorra in Napoli; con un accecamento maggiore nei disgraziati paesi, che stanno alle falde del Vesuvio. A apoli San Gennaro fu invocato, pregato, ed anche vituperato perche tardava a fare il miracolo, e fu portato in processione come nel 1779; e ci furono processioni in tutti i quartieri della città e in tutte le ore - deprimenti e terrorizzanti quelle notturne, con copia di foci che illuminavano i volti di parecchi poveri Cristi e di alquante Madonne in una a quelli di diverse donr:e allampanate e atterrite ed a parecchie facce da galer;1. I quali imponevano la divozione a tutti e racimolavano quattrini, che furono di visi e consumati nelle taverne con accompagnamento di coltellate. Se q u~sto avveniva nella più grande città del Regno d'Italia con disgusto e vergogn,t degl~ ~taliani civili , provocando lo scherno e la dens10ne degli stranieri , si possono immaginare le scene della popolazione dei pic<:oli paesi investiti dall'ira del Vesuvio. Fermiamoci a S. Giuseppe di O ttaiano dove ,lV· venne la maaaiore catastrofe. Ivi il fanatismo religioso era riiogliosissimo prima della eruzione; ivi le scuole ~ono come nel re to del mezzogiorno e mancano gli :isili pei bambini e pei vecchi come nel resto del mezzogiorno ; ivi da alcuni anni s~ sta costruendo una Chiesa co11 grande lusso d1 marmi e colle relative spese: le sole colonne di marmo di Baveno sono costate L. 40,000; ivi, dove aiornali educativi non vedono la luce e forse non penetrano nemmeno, si pubblica una rivista,_ c~me quella che pubblicava Don Bartolo Longo, 10t1tolata La vocedi S. Giuseppe; ivi si porto fuori, faccia a faccia col Vesuvio che se ne rideva, il patron◊ S. Giuseppe e tanti strappi dettero i di voti all~ sue gambe di legno, per commoverlo, che esse s1 distaccarono dal busto ..... Sin qui si puo sorridere; ma alla farsa segue la gran traaedia. C' era , in atte a della 11uova , una sgangher~1ta e vecchia Chiesa dedicata a S. Giuseppe; si fece credere al popolc che il patrono era tanto miracoloso che non l' avrebbe fatta crollare; ivi, invitati dal ministro del culto si raccolsero donne, uomini, vecchi e fanciulli. Ma il miracolo sopraggiunse e non quale invocato e aspettato; il tetto della fragile Chiesa crollo sopra circa 200 persone, 105 delle quali vi lasciarono la vita .... Il p,1rroco scampo e dopo 7 giorni dell'immane disastro non era ancora tornato tra le pecorelle rimaste vive .... Fu questa la maggiore perdita in vite umane! Rinunziamo ai commenti e ci asteniamo anche dal riprodurre le severe critiche che una temperatissima rivista, Lo Spettatore (15 aprile), ha rivolto al Cardinale Prisco Arcivescovo di apoli pel suo contegno passivamente colpevole di fronte alla marmaglia fanatizzata che volle in istrada S. Gennaro. Ma affinche non si cred:1, che, noi rileviamo tutto ciò per ispirito antireligioso vogliamo ricordare un altro caso, che prova come anche la superstizione da uomini di mente e di cuore possa
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