RIVISTA POPOLARE 201 nuto da alcuni professori della scuola al di fuori del sereno ambiente di un istituto Superiore d'istruzione? L' adJurre a giustificazione che ci sono precedenti analoa-hi al caso Fortezza non diminuisce di una linea "' la illegalità sua. Tanto meglio se oggi c'è stato il richiamo alla legge. Meglio tardi che mai! Potremmo divertirci a commentare in ultimo la difesa tentata dei delegati elettivi in genere dell'ammini:strazione di Napoli ; preferiamo rinviarlo all' inchiesta Saredo. ♦ &tlllicldio liberista. - Per assoluta mancanza di spazio siamo costretti a rinviare ad un altro numero una risposta al signor Edoardo Giretti. NOI ATTORNAOL VESUVIO (L'operadegliuomini) Nel numèro precedente la Rivista s' iutrattenne della crudeltà della natura contro ii mezzogiorno; oggi, più proficuamente forse, vogliamo dire della opera degli uomini nel mezzogiorno.· Circoscrivendo lè nostre osservazioni alla catastrofe vesuviana ci si potrebbe osservare che a torto generalizziamo e che dovremmo limitarci a dire dell' opera degli uomini della provincia di Napoli o nella zona che circonda il vulcano malefico. Ma, pur troppo, dalla conoscenza che abbiamo del resto degli uomini del Sud e da ciò che si apprese <lal disastro recentissimo delle Calabrie, siamo indotti a generalizzare e non abbiamo molta speranza di essere colti in errorre. Diremo cose ingrate e che solleveranno sdegni e malumori contro di noi? E che ce ne importa! Non è la prima e non sarà l'ultima volta che affrontiamo l'impopolarità pur di compiere quello che ci sembra nostro dovere ; e a noi , che del mezzogiorno siamo stati e siamo assidui difensorie lo fummo quando gli altri dormivano come ghiri e ci vituperavano come nemici dell'unità della patria perchè lo difenda vamo con ardore - ci sembra che incomba maggiormenre il compito di compierlo. Saremo brevi; e chiari. Pa la maggiore chiarezza preannunziamo la conclusione formulandola in questi termini: se la natura si mostr:i crudele contro il mezzogiorno, gli uomini che lo abitano ci mettono dell' impeg::.o a dimostrare che sono meritevoli di quella crudeltà. La catastrofe vesuviana ha data occasione ad uomini generosi di ogni parte d'Italia, di ogni classe sociale - soldati, funzionari, studenti, operai, deputati, cittadini di ogni età e delle più svariate condizioni -- di spiegare una grande attivitù, mo! ta abnegazione, non poco coraggio. Non lesineremo la lode ai Generali Tarditi e Durelli, ad altri alti ufficiali, che li hanno imitati nello sforzo energico e pietoso di correre in aiuto di tanti sventurati; constatiamo anche che il Duca di Aosta, contro il quale, in ultimo, si appunteranno maggiormente le nostre critiche amare, non si è risparmiato in alcuna guisa nel correre da un punto all' altro dei luoghi devastati; nel pregare, consigliare, comandare perchè fossero prese ed eseguite le misure opportune per diminuire i danni, per evitare incoovenieo ti, p~r soccorrere i derelitti. Certamente a lui non è mancata la buona intenzioue di fare il bene. Ma lo spettacolo, che le masse e non pochi appartenenti alle éLites hanno dato; la rivelazione senza attenuante e senza veli di deficienze morali e l'opera di degradazione e di abbrutimento, che compiono lo stesso Duca di Aosta e la sua illustre consorte in un paese, in cui più è urgente e indispensabile che ve ne sia iniziata e svolta una in un senso diametralmente opposta ci rattrista, ci didisgusta ed anche ci scoraggia. Cominciamo dalle inezie. Quel Prof. Matteucci, invidioso della popolarita di Palmieri, colla sua inutile diarrea telegrafica , che faceva quasi comprendere che lui e il Vesuvio erano tutta una cosa; che si serviva delle bricconate inconscie del vulcano per mettere innanzi il proprio nome e la propria persona ; che dimenticava coloro che erano stati esposti ai pericoli reali o immaginari quanto ed anche più di lui, ha assunto forme ciarlatanesche a scapito della serietà, che si addice agli uomini di scienza. L' inerzia musulmana _degli abitanti che sono state vittime del disastro in generale non poteva esser.e maggiore e più deplorevole: come in Calabria. Mancò l'energia fattiva e predominò un egoismo straordinario: tutto si aspettò dai soldati, anche i lavori pei quali essi sono meno adatti e che più facilmente e più utilmente potrebbero essere fatti dagli interessati; e tutto si pretese dallo Stato. Molti poi d~i provvedimenti, che avrebbero dovuto essere presi dai rappresentanti <lei governo, lentamente arrivano e lentamente si eseguiscono, spesso per deficienza di mezzi, che un comitato di alti funzionari come quello scelto dall' ou. Sonnino, con esclusione brutale nella forma , ma forse non del tutto ingiusta, dell'elemento elettivo della provincia, che ha la coscienza delle proprie responsabilità non dovrebbe somministrare a spizzico ed omeopaticamente. La catastrofe che ha messo io evidenza tante deficienza morali, ha creato e rincrudito molte e grandi miserie materiali. Su queste miserie si è speculato e si specula. Si afferma che ci sia stato un tentativo di speculazione politica come ci fu in Calabria nel 1894 e nel 1905 per la distribuzione dei soccorsi ; ma sembra sicuro, che ci sia stata molta esagerazione ed un poco di calunnia contro i deputati del luogo, che trovò l'addentellato nel convegno e nel!' animata discussione tra Sonnino e i deputati di Napoli. Un:1 speculazione di altro genere, veramente camorristica, fu tentata nella stessa Napoli colle ofierte a forfait di liberare le strade della città dalle cenerè per la piccola somma di L. 500,000; altre piccole e laide speculazioni si fanno sui luoghi, nei quali fu più grande il disastro. Ivi ci si assicura che i soccorsi in natura , distribuiti con relativa generosità, vanno ai meno bisognosi; e che persone agiate riescano ad accumulare quantità considerevoli di pasta, di pane e di altre sostanze alimentari per rivenderle a prezzi esagerati ai bisognosi, ai lavoratori, che per fierezz,1 non chiedono l'elemosina o che chiedendola non vengono ascoltati. Lo stesso criterio si vorrebbe far prevalere nell' aiuto
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