620 RIVISTA POPOLARE guardo alle lingue moderne , non esclusa l'italiana. Malgrado ciò si può affermare intanto che egli sia stato tra i poeti dialettali italiani una delle vittime preferite da.' traduttori di ogni lingua. E quali traduttori ! Uno più assassino dell'altro direbbe l' Emi· liani-Giùdice, confermando l'opinione del Settembrini che proclamò: e n Meli non si traduce, e chi non sa e non vuole intendere il dialetto , lo lasci pure, e si delizi con le dolcezze della birra e della lingua tedesca>. Giuseppe Navanteri, noto e appassionato studioso del Meli, nella sua monografia, che, dopo avere indu · giato in lunghi stt1di e pazienti ricerche, ha di recente pubblicato in un grosso volume , riportando quel severo ammonimento dell'illustre critico napoletano, dice che il credere intraducibile il Poeta gli sembra "idolatria l) ~ ma per confortare questa sua opinione accetta per buone alcune traduzioni che, con sua buona pace, a me non paiono gran chè migliori di quelle eh' egli stesso ha riconosciute pessime alla distanza di qualche pagina nel capitolo mede::1imodel suo studio. E per esempio _egli dopo aver esaminato con acume e rettitudine di giudizio gli errori grossi dell' Escalona, del Majorana, ecc. presenta come saggio di bella versione poetica la squisita ode Lu labbru, tradotta da Emanuele Antoci, siciliano. Confrontiamone una sola strofe, per ri::Jparmio di spazio: Li ciur1ddi durmigghiusi 'ntra li virdi so' buttuni stanno ancora stritti e chiusi cu li testi a pinnuloni. I fioretti dormigliosi in tra i verdi lor bottoni str~tti ancora, ancora ascosi han le teste penzoloni. Sarà questione di gusto, non lo nego, ma quei fio 1·etti (ciuriddi) e quel dormigliosi (durmigghi11si), anche senza discuterne la proprietà e l' italianità e benchè evidentemente tradiscano la preoccupazione del traduttore di. non scostarsi dall'originale pure mi fanno l' effetto strano d'un vellicamento irritante del senso estetico, sicchè io preferisco l'idolatria del Settembrini all'orribile gusto di certe versioni che equivalgon spesso a sconcia parodie. Del resto il Navanteri stesso - e in ciò mi pare assai lodevole, - per rendere più accessibile il Poeta siciliano a q11anti ignorano il dialetto , ne ha largamente tradotto in garbata prosa italiana le opere quasi tutte, dando poi un accurato sunto di quelle secondarie. Il che io credo valga sempre meglio, per gli intelligenti, di qualsiasi versione poetica, tranne s'intende il caso assai raro in cui questa assuma di per sè valore di vera e propria opera d'arte come quelle del Cesarotti, del Monti, del Rusconi , del Rapisardi. ♦ Questo sforzo vano di tradurre i poeti con la pretasa di farli gustare ad altre genti nelle loro lingue materne, psicologicamente considerato, a me pare un cotal poco degno di fare il paio con quello strano capriccio di certi critici che vorrebbero costringere le opinioni politiche, religiose e filosofiche di un uomo vissuto qualche secolo prima di loro entro i limiti delle loro dottrine e accenderlo con l' ardore delle loro passioni come se fosse possibile distaccare con un taglio netto nn uomo dall'ambiente onde attinse le sue ispiraziom, m mezzo al quale si svolse la sua vita e si educò il suo genio. E il Meli soggiacq ne pur egli a questo falso con· cetto critico per cui venne lungamente accusato di essere un cortigiano quietista e pusillanime: un antigiacobi~o. Ora io non ho affatto la voglia di· falsarne l'indole predicando il contrario, µerò stimo a ogni modo giusto e necessario riesaminare l'accusa che và davvero oltre il segno. ♦ Il Navanteri nella sua accurata monografia doµo aver dato un breve sguardo alle condizioni politiche e letterarie dell' Italia nel secolo XV III , esaminata tutta l'opera del Meli, ha ·tessuta con cura attenta e amorevole una storia psicologica di lui con una serie. di « pensieri autobiografici » tratti dal suo carteggio intimo. E questo capitolo io stimo di somma importanza per gli studim;i del Poeta, la cui figura balza intera in piena luce da queste pagine cui non scema certo efficacia lo stile- piuttosto arrembato e la forma scorretta che dimostra nel Poeta siciliano poca familiarità. con Ja lingua italiana. Qui non è più il poeta nè l'artista, ma_l' uomo in lotta eon tutte le più aspre necessità della vita, non esclusa la fame e che a un tratto, gittata via la cetra apostrofa liberamente il mondo senza i freni dell'arte senza le blandizie arcadiche del canto e dice nella sua prosa sciatta ma viva che la sua « indole, inclinazione e maniera di pensare > facevano sempre a calci con la sua professione e con tutti i suoi atteggiamenti nella vita. Ed ecco un brano assai significativo: « Io, che per le circostanze della mia condizione mi « son ritrovato qualche volta costretto ad associarmi « per interesse, non già per cuore, ho trovato lo stato e di violenza non dissimile a quello d' un prigioniero e di guerra, capitato in mano di un padrone superbo " e violento, e costretto dal suo cuore a rendergli odio « e 1 ivore di quel pane e di quelli stessi benefizi, che e per un altro avrebbero suscitatogli la gratitudine. » (pag. 12-13, Oarteggio). E altrove: « l'occupazione ore dinaria e connaturale della mia attenzione è stata e quella di escogitare i mezzi più plausibili per ordì- « nare e sistemare ltt società degli uomini, in maniera « che il giusto non fosse soperchiato dall' ingiusto, che « l'onesto trovasse da vivere ~enza oppressione nè ave vilimento, che la virtù ottenesse la considerazione « dovutale, e che le leggi non servissero per un fraf- « fico vile e rovinoso allo Stato ed ai singoli con im e piegare un ceto numerosissimo di mani morte di ciar- « latani o di malviventi, nè per esimere dal loro giogo e quelli, cui è affidata l'amministrazione delle medeesime • (pag. 60, 63 idem). Questi due brani, che non sono i soli, dell'impor tantissimo carteggio, la cui integrale pubblicazione non sarebbe' certo priva d'interesse per stabilire con più sicuri dati il carattere morale del Meli - bastano tuttavia a testimoniare l' intima e segreta avversione che il Poeta nutriva contro il governo Borbonico e contro l'ambiente· stesso nel quale era costretto a vivere. Ha ragione quindi il Navanteri quando afferma nel suo studio che la P'rudenza (cap. XVI) dovette impedire
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