RIVISTA POPOLARE DI Politica, Lettere e Scienze Sociali Hirettore: Prof. NAPOLEONE COLAJANNI (Deputato al Parlamento) Esce in Ror_na il 15 e il 30 d'ogni mese It,alia : anno lire 6; semestre lire 3,50 - Estero : anno Iire 8; semestre lire 4,50 Un numero separato Cent. 30 Amministrazione: Co1'so Vittol'io Emanuele n.0 115 NAPOLI A11110 Xl - Nnm. 20 ABBONAMENTO POSTALE ltoma, 30 Ottobre 1905 SOMMARIO: Noi: Gli avve11hncnt.i e gli nomin1: (An(ora della Calabria - Lo spirito nuovo della Francia contro la Revanclte - Un tentativo di adulterio democratico--cristiano. Don Romolo Murri e Filippo Turati - Per Mario Rapi sardi -· Un Ministero delle Ferrovie? - Per la libera docenza -- La parola del Mikado) - La Rivista: L'apostasia di Bjot!rnson - Dott. Napoleone Colajanni: Per la riforma tributaria e pel mezzogiorno - Gustavo Rouanet: La barbarie coloniale. La moglie di Diacunda - Salvatore Emmanuele: Scuola del Popolo e Università Popolare - F. Pietropaolo: Le finzioni dell'anima. Saggio di etica pedagogica - Mario Pilo: La sesta Esposizione d'Arte a Venezia - Rivista delle U,lv1ste: La propaganda. antimilitarista: i suoi scop_i e i suoi fini (L' A 1 ione socialista) - li socialismo in !svizzera (Mouvement socialiste) -- Lord Curzon, la sua rassegnazione e il suo ricordo (Atlantic Montly) - Le spese per l'istruzione in Inghilterra; nect:ssità di un' inchiesta University Review) - Repubblica o monarchia in Norvet ia? (Review of Reviews) - La lotta di classe e la violenza (Divenire Sociale) - La quistione del suolo e il liberalismo inglese (Die Hilje)' - Il socialismo in Giappone (Politisch-Antrhopologische Rewue) - Lo sviluppo della filatura in Germania (Die /ndustrie)- Recensioni. Abbiamo ancora disponibili poche copie del Numero Unico _dedicato a Mazzini che cediamo a lira 0,75 la copia. I nuovi abbonati che pagheranno subito l'abbonamento potranno avere le splendide pubblicazioni per soli CINQUANTA centesimi. GLI fi VVENIMENTI e GLI UOMINI Ancora della Calabria. - Se ne parla e se ne seri ve ancora con vivo interesse; e èli continua a raccogliere e mandare soccorsi. Si parla, si scrive e si ltgisce ancora per questa povera e sventurata regione percbè l' immensità del disastro lo impone. Niente cronaca della beneficenza ; niente critica dei modi anarcbici--nei quali si esplica e che sono iì prodotto necessario della giusta diffidenza che il governo italiano, ieri come oggi , ha saputo inspirare in tutti; sorpassiamo, pure, sulle misere, meschinissime gare di certi Comitati , alla testa quello di Roma - Roma caput Mundi? I - dove la carità ha assunto la forma più bassa di concorrenza e di rèclame giornalistica. Fermiamoci, invece, su di un articolo pubblicato dalla Nuova Antologia (1 ° Ottobre). E' del maggiore Enrico Caviglia; ed è il più esatto, che sinora abbiamo letto sulle cause della decadenza della Calabria e sui mezzi più opportuni per farla risorgere. In quanto alle canse della decadenza ci sembra, però, che soverchia importanza abbia accordata alle incursioni dei Saraceni , dimenticando ]e conseguenze della lotta di Roma contro la Magna Grecia e l'abbandono tristissimo in cui la vincitrice lasciò tutto il mezzogiorno dopo averne fiaccato le energie, la civiltà. Poteva anche ricordare che i ripetuti terremoti contribuirono a deprimere gli animi degli abitanti: lo ha rilevato ~reo-· baldo Fischer nella s_uabella opera St1lla Penisola Italiana (Unione Tip. ~ditrice Torinese) come il Buckle avea rilevato l' azione deleteria degli stessi terremoti nella Spagna. Abbandono di Roma, incursioni di Saraceni, sfruttamento di governi disonesti , feudalismo , terremoti - tutto contribuì a determinare la rovina economica, la degenerazione del carattere, il -trionfo dell' analfabetismo, della delinquenza, Jella superstizione .... e della malaria· Con quale processo e con quali risultati la malaria abbia invaso le Calabrie il maggior Caviglia dimostra con sicurezza di tocchi sintetici degna di lode, che maggiormente loderemmo se egli avesse biasimata. la ignavia e l' egoismo dei latifondisti della Calabria. Poicbè è vero che il latifondo può essere stato un effetto della decadenza della regione; ma non si dovrebbe dimenticare che alla sua volta esso è divenuto un fattore poderoso dello aggravamento e del mantenimento della rovina. La quale certamente non può essere alleviata dallo assenteismo di non pochi Baroni. L'importanza, che il Caviglia assegna alla malaria, lascia intendere che il primo dovere dello Stato è quello di combatterla energicamente e di costringere i signori latifondisti a contribuire - essi che non hanno dato nemmeno un migliaio di lire alla Società di Roma, che tale santo scopo si propone. La lotta contro la malaria in Calabria perchè riesca efficace non dev'essere sol- .. tanto quella sintomatica a base di chinino e di reticelle metalliche , ma causale: deve sopratutto regolare i corsi di acqua, deve rimboschire, deve limitare o impedire assolutamente per lunghi anni il taglio dei boschi, conservare quello che resta della Sila , che costituisce il grande serbatoio o vaso raccoglitore delle acque del1a Calabria. Su questo punto non si può abbastanza biaHimare l'insipienza e la trascuratezza del governo italiano, che si è mostrato inferiore di tanto al governo borbonico e che nu11a ha fatto per seguire l' esempio della Svizzera e dell'Austria. Quest'ultima in venti anni ha rivestito di nuovo di foreste il Carso. Bene ha fatto, adunque, il Caviglia ad insistere sulla vi.tale quistione dei boschi; e merita lode vivissima per avere ricordato ai Calabresi - ciò che abbiamo fatto parecchie volte noi-che essi non devono cercare salute nelle ferrovie. « La Calabria, egli dice, ha 820 chil. di ferrovia ; relativamente alla sua superficie ne ha più che ogni altra part1:1d'Italia, meno la Lombardia, il Lazio e la Liguria, e relativamente alla sua popolazione ne ha più che ogni altra regione, senza eccezioni, poichè ha 62 chil.
574 RIVISTA POPOLARE di ferrovia ogni 100,000. abitanti, cifra non raggiunta in nessuna parte del nostro paese » • Lo ricordino i deputati calabresi che assecondano i pregiudizi popo• lari e gl'interessi elettorali: sono anmentate le ferrovie ed è cresciuta la miseria ! E i rimedi? Non ci fermiamo a quelli d'indole fiscale ed anche all'organizzazione del credito, di cui si occupa sobriamente il Caviglia ed a cui anche noi abbiamo più volte accennato ; ma vogliamo ricordare solo che egli molto insiste sulla regolarizzazione dei corsi di acqua , sulle opere di risanamento malarico e sul rimboschimento. Lo scrittore caLola che occorrebbero: L. 60,000,000 per. sistemazione di 1500 eh. qu. di montagna; 20,000,000 per opere idrauliche di bonifica e d'irrigazione; e 100,000.000 per espropriazione delle terre e i.oro colonizzazione in ragione di L. 1000 all'ettaro per eh. qu. 1000 di terreno . In tutto , perciò, L. 250,000,000. La spesa è forte; ma l'impressione scompare quando si pensa che dovrebbe essere ripartita-e per ragioni tecniche, materiali non potrebbe farsi più presto - in 40 anni. L'Italia non andrebbe in rovina per 6 milioni all' anno! E l' Italia non si accorgerebbe della spesa se invece delle generose e commov~mti lagrime del re andassero alla Calabria 4 milioni all'anno della .sua lista civile! . Notiamo, infine , che l' agri coltura calabrese ha una grande risorsa, che ad eccezione degli Abruzzi, manca al resto del mezzogiorno ed alla ~icilia : l'abbandanza delle acque. E quante di tali acque si potrebbero trasformare i~ fo1:za motrice? Ecco un' in,çognita che governo e privati dovrebbero risolvere con un buo...1catasto delle acque e con buoni studi sull:\ loro utili z. zart.:ione industriale, che comincia a dare brillanti risultati negli Abruzzi. _ Nella Calabria, infine , per la risurrezione e' è una altra forza viva, che molti guardano con occhi.o bieco ; l'emigrazione. Ma di questa ci occuperemo più ampiamente nel prossimo numero seguendo una pubblicazione assai pregevole di un giovane calabrese, Giuseppe Scalise, che l'argomento ha trattato esaurientemente. ♦ Lo spirito nuovo della Francia contro la Revanche. - Continua vivace la discussione nell'Enropa centrale sulle rivelazioni del Matin, che forono attribuite all'ex Ministro Delcassè. Questi se ha smentito d'aver dato lui stesso le informazioni non ha negato, però, l'esattezza del loro contenuto. A noi sembra che egli mantenga in proposito un atteggiamento tutto fatto di gesuitiche distinzioni. Le smentite e le contro smentite si seguono con una rapidità vertiginosa: vengono da ministri, ex m1-. nistri .e giornalisti. Una ce n'è stata anche fatta in nome de])'imperiale Tartarin di Germania sulla frase che riguarda l'Italia oramai divenuta celebre: vous m'avez dèbauchè l'Italie. Ciò che risulta chiaro da tutta le discussioni e contraddizioni, fra le quali si deve saper navigare come in un mare frastagliato da banchi sottomarini è questo: 1 ° l'Inghilterra ha una voglia matta di dare battaglia alla Germania, prima che questa riesca ad avere una flotta poderosa, che unita a quella della Russia,- la quale accenna a volerla ricostituire - e di qualche altra potenza europea, potrebbe mettere in pericolo la supremazia marittima britanniGa ; notiamo, intanto come sintomo che Hyndman, il capo autorevole dei socialisti democratici inglesi, ba dichiarato nella Justice che se ~a Francia venisse aggredita dalla Germania ingiustamente, per l'Inghilterra sarebbe un sacro dovere il correre in suo aiuto. 2° Delcass.è era realmente riuscito ad isolare la Germania e ed avvicinare per la Francia il momento di tentare la Revanche. Questo secondo punto sembra il più importante; e date le finalità che si proponeva l'ex-ministro della repubblica bisogna convenire che nel conseguire tale risultato il Delcassè aveva spiegata una rara abilità ed una continuità di azione sorprendente. Lo ricono~ce anche Jaurès, ch'è stato il più a;Jcanito nel combattere qnesta politica infansta, che avrebbe condotto l'guropa ad nna spaventevole conflagrazione generale, nella quale forse sarebbero stati trascinati i piccoli Stati neutrali, come la Svizzera, il Belgio e l'Olanda. Se tale fu la politica infernale di Delcassè e se si ammette anche in Francia che e.~li è stato il solo che dopo trentaquattro anui di aLtesa e di rettoricume patric,ttardo aveva realmente preparato la revanche non si comprende come egli al di là delle Al pi trovi co.::1ì scarso numero di ammiratori e di difensori. E i ncizionalisti? E Derouléde? Si spiega il silenzio o la tiepida difesa dei primi coll'odio verso la repubblica ; essi predicano la revanche in q 11anto q11esta propaganda procura fastidi al regime attuale, ma una 1·evanche preparata da un ministro repubblicano se vittoriosa non poteva giovare alle loro aspirazicni reazionarie. E' più strano il contegno di Deroulede, che repubblicano sincero si professò sempre. La tiepidezza generale per Delcassè ha ima causa più profonda, che in questa occasione è stata messa in evidenza : la Franr.ia non vuole affrontare una g,terra; c'è nella repubblica uno spi-rito nuovo davvero avverso alla revanche, che riduce a quello che sono state e sono le agitazioni dei ncizirmaUsti: a chiacchiere vane. Questo spirito nuovo venne formalmente annunziato da Federico Passy al Congre:iso internazionale per la pace di Lucerna e riassunto opportunamente in un articolo del Courier·1·Europeén. I vi. Fillustre e vecchio economista con franchezza non abbastanza rimarcata e lodata, a·ugurando il sincero avvicinamento della Francia colla Germania dichiarò: e La, minima apparenza di conflitto t1·a la Francia e la Germania - noi l'abbiamo visto recentemente - basta pe1· turba,:e gravemente il mondo. Ora quando una cosa è necessaria, non bisogna dfre che essa e impossibile: bisogna che essa si faccia. Plaudiamo a qnesto spirito nuovo ed auguriamo, nell'interesse della civiltà e dell'umanità, che esso trionfi! ♦ Un tentativo di a1lulte1·io democratico-cristianoDon Romolo Murl'i e Filippo Tura.ti. - Don Romolo Murri, dalle Torrette dove lo ha relegato in esilio Pio X, ha diretto una str,rna lettera a Filippo 'rurati , cbe l'ha pubblicata nell'ultimo n1tmero della Critica Sociale. L' intelligente e battagliero sacerdote che non si è deciso ancora o a gettare la tunica alle ortiche o a sottomettersi interamente e sinceramente alla Chiesa cattolica e al sno sommo gerarca ha creduto possibile invocare la tolleranza e di offrire qnasi l'alleanza dei democratici cristiani ai s0cialisti riformisti . coi quali egli crede che siano mRggiori le affinità del prnprio partito anzicchè coi moderati e coi clericali. . Noi uon esitiamo a ric0noscere che stando alle parole che esiste davvero questa maggiore vicinanza tra i socialisti evoluzionisti e i democratici cristiani-; ma c'è di mezzo una inezia, cbe rende impossibile qua lunqne intesa tra gli uni e gli altri: la Chiesa di Roma coi suoi venti secoli di storia, che insegnano essere davvero irreconciliabili la democrazia e il cattolicismo e che f~1rono sempre tentati vi insidiosi qne lii del seconrlo per abbraccic:1,re la prima nella intenzione di poterla soffocare senza nemmeno farla strillare. Filippo Turati ha dato una risposta, che consideriamo come una delle cose sue più simpaticamente canzonatorie. Non potendo riprodurla intera ne riportiamo la chiusa, nella quale c'è anche una frecciata per gl'intransigenti del socialismo romano. Eccola: .: La salute è in voi, o
R I V I S T A p· O P O L A R E 575 blande anime cristiarni, che vorreste mettere d'accordo Vangelo e Vaticano. Pure, fra i due padroni, che si guardano in cagne--ic0, vi converrebbe di scegliere. Intendiamo il dramma che vi tormenta : dalla Chies-t non si esce - nè vi si rientra -con la stes~a facilità con la quale si è espulsi e riammessi nell'Unione socialista romana. Ma questo é il dramma vostro, è la vostra q11estione ; può psicologicamente interessarci ; politica·uente ci è estranea; non possiamo, noi, aiutarvi a risolverla >. « Forse ci toccherebbe .... spogliarvi Ja veste che vestlte. Qneste cose - convenitflne, don Murri - fra in dividui del medesimo sesso, sono troppo contrarie ad ogni buona educazione! , ♦ Per Mario R.apisardi. - Il ministro della Pubblica Istrnzione per moti vi burocratico finanziari indipendenti daUa propria volontà fece intendere alla Facoltà di lettere del!' Ateneo ~atanese che: o Mario RapisarJi tornasse al le lezioni ; o passasse in pensione. Il dilemma era cr11dele.Mario Rapisardi, date le sue tristissime condizioni di salute, non può ritornare ali' insegnamento ; prendendo il riposo, colla misera pensione che gli spetterebbe, !:livedrebbe condannat,) quasi ali' inedia ... Allora la studentesca del!' Università di Catania, interprete in questo dell'anima della Sicilia, senza distinzione di partiti politici, e di q11anti in Italia apprezzano il carattere, la eultura, il genio, proposero che !:li faccia per Rapisardi amtnalato ciò che si fece per Carducci vecchio : gli si assegnino per legge i mezzi per una esistenza modesta ed onorata, che ad uno dei maggiori poeti-a nessun altro inferiore-viventi d'Italia risparmi l'indigenza 'che ne abbrevierebbe la vita. Apriti cielo! Tutti i vecchi rancori, che parevano sopiti e eh' erano stati snscitati ed eccitati dal cantore di Satana contro il cantore di Lucifero, si ridestarono; e contro Rapisardi si scagliarono insulti bestiali, che sono vere bestemmie letterarie , o parole di offensiva commiserazione , che - confessiamo la nostra ingenuità - no11 avremmo mai credute possibili e che sdegniamo di analizzare e di· ribattere. Superflno aggiungere che gli studenti di Catania non furono risparmiati: una serqua di stolide insolenze furono contro di essi scagliate, che si trasformeranno in elogi sperticati e sciocchi il giorno in cui essi invece di volgere il pensiero al poeta della democrazia scioglieranno un inno barocco per la nascita di una qualsiasi Mafalda o per l'anniversario della morte di qualunque principe, il cui nome passò, forse, ai posteri, nella migliore delle ipotesi. senza infamia e senza lode. Non proseguiamo oltre, perchè, non vogliamo lasciarci viucere dallo sdegno per lo spettacolo di bassezza, cui abbiamo assistito in questi giorni e nutriamo la speranza che il Ministro della Pubblica Istruzione trovi modo di risparmiare a Mario Rapisardi ut;t grande dolore e all'Italia un'onta; una sua lettera al Rettore dell'Università di Catania lascia intendere che il modo si troverà. Noi, intanto, perchè in questo episodio non_entri lontanamente neppur l'ombra delle passioni regionali amiamo riprodurre questo trafiletto che ad esso ha consacrato Il Secolo: e Mario Rapisardi è infermo e si polemizza intorno al suo nome, anche perchè è noto purtroppo che egli è povero•. e Ohi ha amato il poeta del Lucifero, il traduttore dello Shelley ed ba sentito nella sua arte , fatta di ispirazione vulcanica, di lampi, di sdegni, di impeti, qualcosa che assomigliava ad una giovinezza tumultuosa della patria , non può non mandargli un saluto pieno di riverenza. E e' é nella constatazione della sua povertà una speciale amarezza tutta moderna.~ questo che vi offende come nn torto del nostro secolo, che i secoli precedenti non avevano: noi non sappiamo più nè odiare abbasta.nza, nè amare sino ali' ultimo•. « Rapisardi è un poeta .ribelle, ed è un' artista più dell'istinto che della lima. Le anime come la sua una volta erano perseguitate: c'era l'e3ilio, forse anche la scure. L'età industriale ha una vendetta più fredda e "più cr11dele. Si mostra indifferente e passa via>. « Perciò è bello l' entusiasmo con cui la gioventù catanese si stringe al suo Maestro. Ed è bello, anche perchè in mezzo all'adorazione di certe minute squisitezze di artefici pazienti sino alla miopia, si vuole onorata l'età stanca di un creatore spontaneo. > Una parola per completare il pensiero di Marguttepseudonimo dello scrittore del giornale di Milano - e per conchi udere : noi viviamo sicuri che se Carducci fosse rimasto il poeta di Satana, del ça ira, della Commissione a1·aldica ecc. e non avesse fatto la senile conversione verso il Senato e verso •... la regina-vedova egli non godrebbe nè di cei'te lodi, nè della legge_ c~e ha provveduto - ed ha fatto bene - alla sua vecch1a1a; così del pari se Rapisardi avesse rinnegato Lucife1·0 e Giustizia non sarebbe fatto segno alle ingiurie di certi uomini, nei quali la livrea dello staffi.ere sopprime .9gni palpito di idealità e di generosità. ♦ Un Ministero delle Ferrovie ? - Corre la voce che il governo, per ovviare ali' attuale anarchia ferroviaria - non imputabile all'esercizio di Stato, nè al Comméndator Bianchi-ed anche per risolvere la questione dell'autonomia dell'esercizio delle ferrovie, voglia creare un ministero delle ferrovie. Se la notizia si avverasse si potrebbe esclamare: pezo el tacon del buzo. L' anarchia nelle poste e telegrafi è al colmo; eppure c'è un ministero che siede sulle cose postelegratìche ! L'ordine non verrà ~he spendendo milioni e milioni, per nuovi impianti, per nuovo, più numeroso e più scelto personale. La denunzia del personale delle Poste e Telegrafi su questo sono esatte e categoriche; nessuno può dargli torto. Come nessuno può smentirlo. Tutti del resto abbiamo modo di constatare quotidianamente che il persenale è assolutamente insufficiente nelle poste ; come nelle ferrovie sono insufficienti le stazioni e i vagoni. In quanto a risolvere la questione dell'autonomia dell' esercizio di Stato colla creazione di un Ministero delle ferrovie la proposta ci sembra tanto ridicola, che stentiamo a credere che essa sia germogliata nella testa dell' on. Fortis. Creando un ministero delle ferrovie a noi sembra che si verrebbe a togliere ogni autonomia alla Dirèzione delle ferrovie e che l' esercizio si verrebbe a sottoporre agli inconvenienti tutti de)]a instabilità parlamentare e della ingerenza politica perturbatrice. Noi, quindi , la combattiamo con tutte le nostre forze. ♦ Per la libera docenza.-! professori universitariordinari e straordinari-si sono riuniti a Congresso in ·Roma con la intenzione di fondare una Associazione nazionale, che provveda agli interessi della classe. Le discussioni non brillarono sempre per la calma e per la serenità, di cui avrebbero dovuto dare un buono esempio gli uomini che colti vano la scienza; furono talvolta sconvenienti; vivaci e interessanti quella sulla libera docenza. Fermiamoci su questo punto, che ne vale davvero la }Jena. La libera docenza da molti anni è fatta segno ad accust>non sempre infondate; e i suoi mali derivano forse dalla facilità colla quale è stata accordata sinora e che l'ha molto discreditata specialmente in certe Università , nelle quali i liberi docenti spuntano come funghi. Qualche progetto di riforma universitaria, come quello
576 R I V I S T A P O P O L A RE Gianturco ad esempio, la riduceva al lumicino col pretesto di volerla <lisciplinare e rilevare. Nel Congresso di Roma la discussione sulla libera docenza venne iniziata dalla relazione sul tema di un prete professore: il Boccardi di Torino. Egli disse cosa vera e giusta affermando che si debba eliminare lo sconcio dei professori che fanno dne o tre lezioni in un anno. Il resoconto dei giornali dice che in seguito a queste parole ci furono : m01·morii di protesta. Noi vogliamo credere che la protesta sia stata fatta contro i professori assenteisti dalla cattedra e non contro il Boccardi, che li denunziò e bollò. In questo se• condo caso i professori riuniti a congresso avrebbero dato prova di non avere un concetto giusto della pro pria dignità e dei propri doveri. Nè ci sembrano meglio ispirate le proteste del Brugi e del Tonelli (rettore dell'Università di Romj\) pub blicate nel Giornale d'Italia j µoichè è innegabile che se la maggioranza dei professori fa il suo dovere, ve ne sono abbastanza che vi vengono meno. Il Boccardi in fondo si mostrò avvers) ai liberi docenti, che vorrebbe esclusi dal Consiglio superiore e dalla Facoltà e chiese anche che non si 8ervano del materiale dei gabinetti. Più accanito-e ce ne duole per lui,-- si mostrò il Serafini di Padova, che, tout court, dichiarò inutile nel nostro paese la libera docenza e le cui dichiarazioni di volerla meglio disciplinata, perciò, furono ritenute molto sospette. Difesero, invece, più o meno energicamente la libera doceQ.za Ciccaglione, Oddo e colla maggiore autorità il prof. Cantoni. Noi stiamo energicamente per la conservazione della libera docenza ch'è un semenzaio vero di buoni professori; che spesso supplisce alla deficienza o all' Rssenza dei professori ufficiali, pei quali talora suona rimprovero e richiamo all'osservanza dt'i propri doveri. La vogliamo conservata ed elevata. Alla elevazione certamente non gioverebbero le esclusioni proposte. dal Boccardi ; molto meno la proposta di fare pagare direttamente dagli studenti i liberi docenti. Oltre quello che pagano i primi dovrebbero andare incontro ad altre spese per seguire il corso del privato docente anzichè quello del professore ufficiale? In questo caso sarebbe meglio sopprimere la privata docenza e non farla morire vergognosamente di fame. A rialzare la libera docenza devono provvedere specialmente le facoltà, che devono accordarla con serietà d'intendimenti e non per compiacenza o per vanità: a farla funzionare meglio devono anche •provvedere le stesse facoltà e i Rettori , che dovrebbero avere cura di anime nel senso più elevato della frase. E quasi quasi saremmo disposti a conchi11dere che non si può elevare e migliorare la libera docenza senza elevare e migliorare il corpo degli insegnanti ufficiali. Se questi sono scadenti , se mancano •ai loro doveri, essi non hanno attitudine per reclutare huoni liberi docenti, nè hanno autorità di farli arare diritto, se essi non sanno. dare il buon esempio. ♦ La parola del Mikado. - Ratificato il trattato di pace tra la Russia e il Giappone, il Mikado ha pubblicato un manifesto al suo popolo, ch'è un capolavoro di semplicita, di fierezza, di bnon senso ad un tempo. Niente rettorica ; niente blague j niente esortazioni, che possano ubbriacare ! Come conclusione il Mikado dic~ ai Giapponesi: « Mettiamo con fermezza i nostri sudditi in guardia contro qualunque vana dimostrazione ed ordiniamo l01·0 di darsi alle loro ordinarie occupazioni e fm·e tittti i loro sforzi pe1· consolidare l'Impero•. Quale contrasto tra il linguaggio di questo grande rappresentante della razza gialla e quèllo scelleratamente brutale dell'Imperatore Guglielmo 2° che raccomandava d'imitare gli Unni ai soldati tedeschi, che andarono a portare nel 1900 la sanguinosa e brigantesca civiltà (J) occidentale in Cina !... ♦ Qualche burlone, che vuol far ridere ancora la gente a carico di qnel tale che pare sia stato candidato nelle nltime elezioni nel Collegio di Oastro~iovanni contro il D.r N. Celajanni, ci manda sotto il nome di questo tale, una scritta cosi tessuta di balorde scemenz~ e di grossolane bestialità da rivelarsi a prima vista per uno scherzo di cattivo genere. Lì caricat·1ra. è troppo forte e noi - vecehi giornali8ti - non abJcchiamo all'amo e non pubblichiamo. NOI L'apostasiadi Bjoernson I giornali danno· come certa la nomina del Principe Carlo di Danimarca a Re di Norvegia da parte dello Storting. Il fatto implicherebbe la scelta tra monarchia- e repubblica fatta dal potere legislativo, che ha iniziata e condotta a termine la rivoluzione, che terminò colla separazione della Norvegia dalla Svezia ; separazione a compimento di una rivoluzione, che si senti il dovere, imposto dalla Svezia stessa, di sottoporre al giudizio del popolo tutto appositamente interrogato. . · Lo Storting ha il diritto di sostituirsi al popolo nella scelta della forma di governo? Per rispondere a questa domanda giova riferirsi ad una inchiesta promossa dall' Européen tr~ gli uomini più eminenti della Norvegia su questi tre punti: 1.0 Si deve con sultare il popolo sul regime costituzionale futuro ? 2.0 La migliore soluzione qual' è: la repubblica o la monarchia? 3. 0 La quistione costituzionale è di ordine pura men te interno e senza relazioni colla politica generale dell'Europa? La prima serie di risposte è venuta da ex 111inistri, da deputati, insegnanti, artisti, letterati ecc. Un professore di diritto, Bredo Morgenstierne del1' Università di Christiania è il più sicuro ntll' affermare, che la rivoluzione non ha modificato la costituzione ; che Lt monarchia sussiste e che e' è soltanto un trono vacante. D' onde nello Storting il diritto e il dovere di scegliere una nuova dinastia. Su per giù è questo anche il parere del ~ig. loha n Boegh, direttore di un giornale di arte industriale di Bergen e di un pittore, Gerhard Munthe. Più moderato il sigr. Otto Anderssen, membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione, ritiene che l'obbligo di rispettare la forma monarchica stabilita dall' antica costituzione dura sino a tanto che dura il patto del 1814 tra il popolo scandinavo e la dinastia del Generale Bernadotte ; ma se il capo della casa si rifiuta di dare un Re separato alla Norvegia, che discenda dai poco magnanimi lombi dell' a-1venturiero che dagli eserciti napoleonici passò al trono di Svezia e Norvegia, il popolo riprende i diritti sovrani ed al popolo deve essere demandata la scelta rra monarchia e repubbli_ca. Berner, sindaco di Christiania, poi, ricorda che la Costituzione assegna allo Storting il compito di scegliere un Re nuovo, quando si estingue la dinastia. Non occorrono disquisizioni teoriche pèr provare che un diritto plebiscitario esercitato un secolo fa non può vincolare le generazioni successive e che nella natura di quel diritto è implicito quello di poter mu
RIVISTA POPOLARE 577 t:ne di parere. Chi ha avuto il diritto di creare una monarchia, innegabilmente possiede quello Ji disfarla; se non l'avesse si verrebbe ad ammettere l'assurdo: la possibilità di rinunziare in perpetuo al massimo tra i diritti sovrani. Con siffatto criterio si potrebbe legittimare la schiavitù in una famiglia solo perchè un pazzo o un imbecillt pensò di alienare la propria libertà in favore di un padrone. Nel caso in ispecie, poi, e in risposta agli scrupoli dell' Anderssen , che verrebbero eliminati dal fatto. che il nuovo Re non ap~arterrebbe alla dinastia dei Bernadotte, si deve ricordare che lo Storting e tutti gli uomini politici della Norvegia giustificarono la separazione dalla Svezia proda mando decaduta da ·ogni diritto la dinastia dei Bernadotte, perchè si era messa fuori della costituzione ; perciò i Norvegiani si ritennero semprè sul terreno della" legalità e dichiarararono rivoluzionario in senso reazionario soltanto Oscar Re di Svezia. Non ci preoccupiamo della terza quistionc sebbène· parecchi Norvegiaui ritengano che l' Europa avrebbe visto male la proclamazione della repubblica. Certamente l'avrebbero considerata come il fumo negli occhi i due Imperatori di Germania e di Russia ; ma essi non si sarebbero mai sognati d'intervenire e violentare la volontà dei Norvegiani, se questi si fossero dichiarati contrari alla monarchia; nè sarebbe venuta quella guerra europea, che tutti paventano. Riteniamo quindi che abbiano ragione Iens Thiis e Haakon Loecken, giornalisti, che non si preoccupano menomamente della ingerenza europea ; e ne ha ancora d,i più Peter Holst, che fu due volte ministro della guerra, che ritiene indispensabile sottomettersi alla decisione del popolo, da interrogarsi direttamente o per mezzo di un'apposita costituente sulla forma del governo. Egli giudi:a che un grave malcontento si manifesterebhe se lo Storting <lasse alla quistione una soluzione, che dispiacerebbe alla maggioranza del popolo. Si assicura che lo stesso Principe Carlo di Danimarca subordinerebbe l' accettazione del trono al responso del referendum. Il Re, cosi, sarebbe meno realista dei monarchici! La notizia è attendibile, perchè viene dalla danese Nationai Tidende. Il punto principale, veramente sostanziale, è questo : il popolo sta per la repubblica o per la monarchia ? Dalle varie notizie che i giornali vanno pubblicando, dal nessun rispetto verso il Re di fatto e sino a ieri di diritto, dalla unanimità con cui si è compiata la rivoluzione contro i Bernadotte, dalle dichiarazioni di alcuni interrogati dall' Européen e che per motivi di opportunità, preferiscono la monarchia, dal grado di coltura e dai costumi del popolo si può argomentare sicuramente che esso pref:risce la repubblica. . Lo lascia intendere chiaramente l'ex ministroHolst; Anderssen dichiara che sin dalla sua infanzia la repubblica è stata la forl'na ideale dello Stato; l'ex Presidente del Consiglio Blehr in un ·meetino- tenuto a Christiania raccomanda la repubblica d; istituirsi per mezzo di un plebiscito; la repubblica s'invoca in un altro comizio tenuto a Trondhjem, dove soli 30 votano per la monarchia tra un migliaio d' intervenuti; e Bjoernson, di cui ci occuperemo in ultimo , ci fa sapere che sono anche repubblicane le convinzioni di Loevland, attuale ministro deali Esteri. Acquistano, quindi un singolare valore e so~o un indice più sincero della volontà popolare le risposte esplicitamente favorevoli alla repubblica di Castberg, depurnto socialista, della signora Ragna Nielsen, che fa parte del Consiglio municipale di Christiania e dei• giornalisti Thiis e Loeken, entrambi di Trondhjem. La propaganda per la repubblica, infatti non è di data recente e sorprende come un. signor Nondum abbia potuto scrivere da Copenhagen ( o da Roma?) alla Tribuna (N. del 23-24 ottobre) che non si sa come e quando sia nato il partito repubblicano in Norvegia, mentre egli stesso dopo poche altre linee si meraviglia che la maggioranza sia monarchica in un paese in cui il popolo e così profondamenterepubblicanonelle sue aspirazioni,nei suoi ideali... Ecco un curioso caso di generazione spontanea. Ed eccoci alla risposta di Bjoerustierne Bjoernson. Chi egli sia molti sanno in Italia, dove viene spesso, dove è amato e conosciuto come letterato e come uomo che ama e difende il nostro paese. Non molti forse ram mentano. che egli è autore di un dramma • repubblicano, Il Re, tradotto in italiano da Fontana e che da anni ed anni ha fatto a Norvegia un' attiva propaganda repubblicana. Come egli abbia pensato sinora rileviamolo dalle sue stesse parole: dalla lettera pubblicata nell'..Aften poste. « lo non comprendo, egli scrive al citato ministro Loewland, che ci sia qualcuno che possa dire che ci sia nel nostro popoio uno spirito monarchico. Noi ~he da cinquecento anni non abbiamo avuto un Re proprio, che non abbiamo nobiltà, che non abbiamo costruito la nostLl vita a gradini ascendente verso un trono - come potremmo mettèrci in testa di coltivare delle tendenze monarchiche? » « Noi abbiamo conquistato a poco a poco una sovranità popolare che sorpassa quella di parecchie repubbliche. Abbandonati a noi stessi abbiamo imparato a scegliere nella nostra vita altri modelli che non siano quelli che ama e glorifica una corte. Ciò che oggi è avvenuto è la conseguenza del passato. Ii bisogno repubblicano di sovranità popolare, la fede repubblicana nel nostro proprio valore, il sentimento repubblicano di eauaalianza hanno preparato, hanno l . o o rea 1zzato quest' opera ». « Ciò non è mai apparso tanto chiaramente quanto oggi. Lo stesso Swerdrup (1) s'irritò molto quando comi11ciai la propaganda repubblicana e diceva : ciò mette bastoni tra le ruote. Ciò metteva tanto poco bastoni tra le ruote, che bastav.-1 battere la misura perch~ si facesse coro da tutte le parti ». « E un popolo repubblicanonel suo insieme chealla fine si è reso indipendente;eccola verità. Questa inoltre è la cosa principale : la nostradisposizionedi spirito repubblicano , il nostro metro repubblicanoper la misura dei valori umani , ecco eia che ha pel nostro popolo un carattere educativo ». Che cosa si dovrebbe conchiudere da tutto questo ? Che Bjoernson arriv,1 to il momento buono per realizzare l' ideale proprio, eh' è quello del popolo norvegiano, faccia l'ultimo sforzo in favore della fèpL1bblica. E invece ... Invece assistiamo alla incredibile, alla ingiustificabile apostasia: Bjoernson consiglia la monarchia! Noi non sospettiamo della buona fede del vecchio letterato norvegiano _; noi crediamo che si tratti di una aberrazione, sulla cui detennin,tzione pare cbe (I) Il capo del partito liberale.
578 RIVISTA abbia esercitato un'influenza preponderante la vanità d' imitare gli atti di un grande Italiano. Ecco infatti, come egli in ultimo giustifica la propria apostasia, che il Thiis chiama cinica : « Noi otterremo più faci:mente la sicurezza della nostra vita e il successo delle nostre intraprese da una dinastia dalle potenti relazioni, anzichè dalla solitudine pericolosa di una repubblica ». · « Per noi due, vecchi repubblicani , non ci resta più nulla a fare se non ciò che fece Garibaldi. Dopo avere servito la repubblica per tutta la sua vita, egli risolvette di servire il re ». « Vittorio Emmanuele diceva (e suo nipote lo ha ripetuto) : Se l'Italia non ha più bisognodi me come re, lo dica ! I o la servirò in un' altra condizione ». « Dipende da noi l'avere un re che pensa e parla così magnanimamente». Di fronte a queste grottesche dichiarazioni noi ci siamo convinti che Bjoernson è venuto spesso in Italia e vi ha soggiornato a lungo non per impararne b storia vera, ma le più assurde leggende monarchiche. Egli infatti non conosce Garibaldi ; non sa in quali ·condizioni e per quali motivi egli agì (e perchè non ricordare anche Mazzini?), non ricorda Aspromonte, Mentana, le giornate di Torino, la fucilazione di Barsanti; ignora sopratutto che la dinastia Sabauda non volle mai permettere la nomina di una Costituente come aveva solennemente promesso ai lombardi neì 1848 e nel 1859... Bjoernson si conforta aflermando che lo spirito della nuova monarchia in fondo sarà essenzialmente repubblicano e che essa sarà una forma di transizione, che riconfermerà il principio fondamentale della repubblica essendo il prodotto della sovranità popolare. Ma perchè essa riesca tale sarebbe indispensabile che la scelta ira la monarchia e la repubblica fosse fatta dal popolo e~plicitamente interrogato. E di ciò non c' è traccia nella lettera di Bjoernson, che rappresenta un documento doloroso delle contraddizioni umane. Il popolo norvegiano consegnato ad un Re nuovo, senza che la volontà sua sia consultata sarà tradito come lo furono il popolo francese. e quello belga nel 1830. All'uno si disse che si dava un Re, che valeva quanto le migliori istituzioni repubblicane : Luigi Filippo, il promotore della più degradante corruzione, per liberarsi del quale dopo 18 anni dovette compiere un'altra rivoluzione. Al popolo belga toccò in sorte una dinastia che sembra va la incarnazione stessa del regime rapprese.:itativo, ma il cui secondo rampollo, Leopoldo II, ha consegnato il regno ai clericali e. alle cocottes; lo ha ingolfato al Congo nella delittuosa politica coloniale; e cerca consolidarne la servitù col militarismo. Alla Norvegia auguriamo che Bjoernson non abbia a pentirsi della propria apostasia ! La Rivista ~ Si è pubblicato : Dott. NAPOLEONE COLAJANNI IL GI1\1?1?0NE (Dati statistici sulle condizioni demografiche, politiche, finanziarie, economiche, intellettuali, religiose e morali). Prezzo L. O, 7 5 Indirizzare lettere e vaglia all' on. NapoleoneColajanni - Napoli. POPOLARE Palrarif~rmtrai~utaeria ~~, mczzo~iorn La strage di Grammichele prima e il terremoto della Calabria dopo hanno nuovamente richiamata l' attenzione dei deputati e dei giornalisti, oltre che dei ministri, sulle condizioni economiche tristissime del Mezzogiorno e· sui mezzi più adatti per migliorarle. I giornali ufficiosi poco dopo i fatti di Grammi.:.. chele, forse come ballon d' essai, annunziarono che l' on. Maioran::i stava studiando una riforma tributaria, che avrebbe corJsentito l'abolizione della forma più gravosa e vessatoria del dazio di consumo; poco dopo il terremoto sono ven ut~ le proposte di Enrico Ferri e le critiche dell' on. De Viti De Marco comparse in due numeri dell'Avanti! e la riunione del gruppo parlamentare socia·lista, che ha discusso sulle prime. Delle idee del ministro nella Rivista si occuped colla sua nota competenza l' amico Prof. Graziani; delle altre dirò rapidamente io stesso. Il deputato socialista premette che solo in parte ciò che egli espone è farina del proprio sacco e che l'idea della riduzione forzata degli interessi del debito pubblico e del prestito di un miliardo è di un finanziere italiano dj vedute moderne, già uomo di governo e che ora vive fuori d'Italia. Osserva pure, seguendo le brillanti e assennate osservazioni di Olindo Malagodì, che per la Calabria - e per tutto il Mezzogiorno - se i danni e le sofferenze cagionati dal terremoto movono a pietà, devono, però, maggiormente preoccupare le condizioni permanenti di ta~i regioni, che ci sono state rivelate in questa occ;1s10ne. La constatazione suggerisce snbito una quistione pregiudiziale: esiste un problemameridionale, che esige speciali provvedimenti, la cosidetta legislazionespeciale, di cui si sono avuti dei saggi colla legge per la 'Basilicata e per Napoli? L'on. De Viti « considera come un errore il considerare il Mezzogiorno come un paeseisolato, come una parte d'Italia a cui l' altra parte debba provvedere con veri o supposti sacrifizi propri e men che mai nella forma brutale ed umiliante della beneficenza o delle elargizioni graziose ». Il Ferri, invece, riconosce l' esistenza di un problema meridionale e la convenienza e la giustizia di una legislazionespeciale, che vorrebbe, però, più efficace di quella iniziata, confortata dalla disponibibilità di molti milioni - di oltre 600 milioni, come si vedrà - in favore del Mezzogiorno. Sto con l'amico Ferri; o meglio provo un sincero compiacimento nel vedere che anche i socialisti accettano una veduta, che propugno da oltre venticinqueanni, sin da quando seguendo gl' insegna men ti di Alberto Mario protesto energicamente e continuamente contro l' uniformità legislativa mastodontica, che ha reso uggiosa l' unità nazionale e le ha fatto attribuire conseguenze dannose, che non ne derivano necessariamente. Vale la pena d'insistere su questo punto importantissimo e voglio chiarirlo ripetendo qui ciò che dissi due anni or sono in una conferenza a Brescia e pochi giorni or sono in una conferenza a Genova a benefizio della Calabria. Tra il mezzogiorno e il settentrione d' Italia v1 l
RIVISTA POPOLARE 579 sono differenze grandi nella configurazione geografica, nella qualità del suolo, nel clima, nella storia, nelle tradizioni , che hanno generato enormi difterenze nelle condizioni economiche, intellettuali, politiclre e morali. Chi non si accorge di siffatte differenze è addirittura afietto dadaltonismointellettuale o animato da spagnolismo ridicolo, che non sa acconciarsi a riconoscere certe verità che riescono dolorose a coloro, ai quali si riferiscono. Le differenze tra settentrione e mezzogiorno sono specialmente notevoli in Iulia per queste particolari circostanze: l. 0 In Francia come in Germania esistono diflerenzè tra dipartimento e dipartimento, tr~t regione e regione ; ma non in tutte le condizioni soci,ili. Un dipartimento difierirà dall' insieme nelle condizioni economiche; un altro nelle condizioni intellettuali; e cosi via di seguito. Solo in Italia tra le due grandi divisioni e' è una diversità totale o· globale come meglio si vuole chiamarla. 2.0 In Francia, in Germania ecc. le circoscrizioni politiche e amministrative che difieriscono tra loro sono intersecate, interrotte. lu Italia le regioni a condizioni inferiori sono contigue costituiscono una unità geografica continua, tra le cui parti esistono variazioni poco sensibili : non vi sono accentuate nemmeno quelle tra città e campagne, che da dapertutto sono notevoli e che sern brano mettere accanto due mondi diversi. E ciò per ragioni demografiche, che mi riserbo di esporre al tra volta , cui ho già accennato in un articolo nel Corrieredella Sera. 3.0 Il mezzogiorno intero costituisce una unità storicopolitic,1 distintamente separata dal settentrione. Il settentrione ha tradizioni varie e prima del 1859-66 era diviso in tanti Stati; il mezzogiorno da moltissimi secoli ha formato un solo Stato. Ora la logica la più elementare non impone un trattamento diverso a condizioui diverse? Il. regime di un s:H?Opuò adattarsi e può giovare ad un ammalato? Le leggi buone, ottinie, anche quando possano giovare - e dimostrerò che molte leao·i buone . Ob in sè non poterono giovare per la diversità degli elementi sui quali dovevano agire e che dovevano in pari tempo, farle funzionare - e tutte le parti dello Stato lasciano immutata la sperequazione iniziale. E' chiaro: se a due quantità disuguali si ao·- giungerà una quantità uguale esse rimarranno diiuguali. Se un provvedimento ottimo farà aumentare ugualment~ la ricchezza nel mezzogiorno e nel settentrione , le due parti d'Italia rimarranno sempre in condizioni economiche diverse. Ed è precisa mente questa diversità - che è pericolosa , eh' è soro-ente d'invidie e di gelosie, causa di malessere e di de,:.,. bolezza per l' organismo politico-sociale - che si deve, se non eliminare del tutto, attenuare almeno nella misura del possibile. ,Ma la legislazionespec-iale deve respinaerla il mezzogiorno perchè ha la forma brutale 0 od umiliante deUa beneficenza e delle elargizioni graziose come afferma l' on. De Viti~ Il problema è ass:1i malamente posto in questi termini. Anzitutto , data la precedente legislazione e tante circostanze e dati di fatto ~he Nitti, _io st:sso e parecc~i altri, abbiamo esposti, 1 provved1ment1 pel mezzog10rno sarebbero un atto di giustizia , una restituzione in grandissima parte e nou una carità. Ma se tali non fossero bisoane- o rebbe avere un concetto assai meschino di uno Stato se in una manifestazione di• solidarietà tra le singole parti, che lo compongono si dovesse scorgere ·una umiliazione per gli uni ed un orgoglioso segno di superiorità per gli altri. Un buon padre di famiglia non ha mai creduto di umiliare i figli più deboli se ad essi ha consacrato una parte maggiore di risorse sotto forma di bistecche, di marsala o d' iniezione di rnetarsile. Lo Stato non può agire diversamente dal buon padre di famiglia verso le singole parti che lo compongono; con questo in più: che il migliore trattamento corroborante accordato ad un figlio non giova materialmente agli altri figli, che nell'età adulta si staccano gli uni dagli altri e vanno a costituire tante famiglie distinte ed unite tra loro soltanto da sentimenti e da vincoli morali; mentre il rinvigorimento delle mem• bra deboli dell' organismo politico-sociale conferisce forza e vigore all' insieme, ne assicura la esistenza e ne favorisce la evoluzione progressiva. Modificando aìquanto l'antico apologo di Menenio Agrippa si può domandare: se e' è possibilità di buon funziona• mento in un organismo, in cui una parte è ammalata ed un altra è sana, in cui un organo è iperemico ed ipertrofico ed un altro anemico ed atrofico. Meglio varrebbe in questo caso la scissione aperta e la negazione di ogni solidarietà. Se sia possibile ed utile oggi, di fronte alle grandi, alle colossali agglomerazioni umane, di nazioni, d'imperi, di razze che esistono in Eu rop::i e so::o minacciose e prepotenti, tornare allo Stato di Milano, al Regno delle Due Sicilie ecc. non occorre nemmeno discutere. La legislazione speciale, perciò, s'impone in nome della giustizia e della convenienza reciproca delle parti. Essa rappresenta il mezzo migliore possibile per ottenere uno scopo lodevole: la salute della nazione ; essa equivale a quella politica sperimentale che tiene conto dei fatti e non delle astrazioni, della realtà e non delle teorie, eh' è stata seguita da molti anni nella Gran Brettagna, che pur tra le sue grandi partizioni -Inghilterra, Principato di Galles, Scozia ed Irlanda - presenta minori differenze di quelle esistenti tra il Nord e il Sud d' Italia. ♦ Ed ora alla legislazionespeciale quale la intende l' on. Ferri nello interesse del mezzogiorno. Un primo punto su cui sono pienamente di accordo. « Non mettiamoci, egli dice , nel ginepraio delle riforme comunali -e più esattamente avrebbe dovuto dire : della riforma dei tributi locali - (per quanto, ad esempio, la eliminazione di certi abusi, nelle tasse locali, sia anche possibile ed urgente) perchè le finanze comunali sono così dissestate e disordinate, che non si sa quali contraccolpi se ne possano avere ». Questa osservazione savia, opportuna, inspirata al senso della re.ilti , sbalorditoia in uno che capricciosamente si fa chiamare socialista rivoluzionario, fa a calci coll' utopismo del De Viti che in nome delle teorie vede la salvezza soltanto, o aln1eno principalmente, nell'abolizione delle barriere intercomunali e dei dazi di consumo per quanto egli avverta che non vuole un'abolizione integrale e immediata. Non c'è dubbio : gl' inconvenienti delle barriere e dei dazi di consumo sono grandi e se fosse pos• sibile si dovrebbero totalmente rimuovere. Ma nel mezzogiorno e in Sicilia, qual i essi sono attualmente, per le condizioni economiche e per la loto educazione politica e morale mentre molti comuni non
580 RIVISTA PO·POLARE saprebbero e non potrebbero provvedere ai più elementari bisogni senza dazio di consumo; se poi volessero sostituirlo con la tassa ·di famiglia o col valore locativo si darebbe luogo ad inconvenienti maggiori e ad iniquità più stridenti di quelle derivanti dalle barriere daz:arie. Ricordiamo che la riduzione o l' abolizione del dazio sui farinacei ha dissestato molti bilanci comunali nonostante il concorso dello Stato. L'imporre o l'aggravare _latassa sul bestiame, come vuole il De Viti, in un paese povero come il mezzogiorno e in cui l' agricoltura e la pastorizia costituiscono la maggiore, se non la sola, risorsa economica sarebbe grave errore, che peggiorerebbe le condizioni dell' ammalato che si vuole ·curare. Ferri, perciò , si limita in quanto ai consumi a proporre la diminuzione di quei dazi il cui prodotto va tutto all'erario: ridurre a metà il dazio sul sale, sul petrolio, sullo zucchero e sul grano. Non trovo nulla da obbiettare per la riduzione del dazio sul sale, sul petrolio e sullo zucchero ; pei motivi che ho largamente esposto altra volta e che tornerò ad esporre sono recisamente contrario all>abolizione del dazio sul grano, a proposito del quale - che tribuniziamen te chiama impostasul pane per renderlo più intelligibile e più odioso - egli ripete gli errori e i pregiudizii degli abolizionisti. Se passasse la proposta il mezzogiorno riceverebbe il colpo di grazia ed i lavoratori vedrebbero diminuito, si e no, di un paio di centesimi al chilo il prezzo del pane, Ìna vedrebbero più minaccioso che non sia adesso lo spettro della disoccupazione! In tao to noto con piacere che socialisti e liberisti come De Viti e De Johannis in omaggio alla realtà non osano più domandare l'abolizione totale del dazio sul grano; ma si contentano, forse per malizia, di una semplice riduzione; rilevo pure con soddisfazione che nel convegno di Bologna il Bertesi, collo spirito pratico che lo di- ·stingue pur dichiarandosi abolizionista integrale del dazio sul grano , crede che non possa esservi una regola liberista unica ed universale;ma bisogna decidere caso per caso. Alla bw mora ! Il pregiudizio teorico, o meglio socialista rispunta in Ferri, respingendo ogni alleviamento dell'imposta fondiaria; non la vuole per le quoteminime, perchè pur disturbando il bilancio dello Stato, produrrebbe sollievo minimo, insensibile ai piccoli e medi proprietari; non per la imposta in generale perchè. se ne avvan raggerebbero i grandi proprietari , che nel 1886-87 ebbero lo sgravio dei due decimi scendendo da 128 a 106 milioni anzicchè un aumento d'imposta, cÒme e' è stato per la ricchezza mobile, che nello stesso periodo passò da 14() a 290 milioni e per le tasse di consumo che aumentarono da 260 a 505 milioni. E i proprietari di terra godono pure del benefizio del dazio sul grano. Al deputato socialista sfugge l'evoluzione diversissima tra il reddito fondiario e quello mobiliare; sfugge l'incremento automatico che si ha nel gettito dei dazi sui consumi per aumento di popolazione e per innegabile elevazione del tenore di vita; sfugge la percezione delle realtà sulle sofferenze dell' agricoltura; sfugge la ripercussione benefica che il pagamento di una minore imposta eserciterebbe su tutta l' economia regionale, i cui possibili risparmi si rinvestirebbero nella terra e consentirebbero aumenti di salari. Quest'ultimo punto dovrebbe interessare ogni uomo di cuore e specialmente un socialista ; il quale non dovrebbe dimenticare che tutte le decantate vittorie degli scioperi sono rimaste nominali pe:-chè gli stessi lavoratori della terra si sono spesso convinti, che non era possibile ottenere di più da proprietari e fittaiuoli ridotti a stecchetto : dalle rape non si può cavare s:mgue ! Più avveduto il De Viti, forse perchè da grande proprietario sa per esperienza personale quanto è gravata la terra - e non per mezzo della sola imposta fondiaria ! -, domanda che questa sia diminuita, anche in via provvisoria del 25 °/0 almeno sino a quando non sia compiuto il catasto, che attuato nelle c,)si dette provincie accelerate, - la maggiore bricconata della legge di perequaziòne del ·1 ° marzo 1886 .... - ha già procurato ad esse degli sgrnvi che arrivano al 49 °/0 dell' imposta; sgravi ; che in alcune provincie del settentrione, come assicura vami un eminente deputato del nord, rappresentano pei proprietari un vero regalo. Questo sgravio è necessario a corraione dell' altra grande ingiustizia preseme : le case rurali nel settentrione ncn pagano l'imposta sui fabbricati; la pagano nel mezzogiorno non solo, ma nel mezzogiorno per la cattiva distribuzione della popolazione avviene che l'elemento rurale, che vive nei grandi agglomeramenti fa pagare a provincie poverissime più che alle provincie ricche del settentrione, come risulta dagli opportuni confronti posti dal Nitti. ·La legge per la Basilicata, dove si accelera il nuovo catasto, riparerà presto allo sconcio per quella provinçia. La riduzione delLl imposta fondiaria nel mezzogiorno come opp_ortunamente chiedeva Sonnino , che fu vilmente abbandonato su questo dalla deputazione meridionale, s'impone come atto di giustizia e per riparare alle iniquità di quella balorda e disastrosa legge del 1886, che si ebbe la bella faccia fresca di essere presentata dai deputati del settentrione come una legge di perequazione, ciòè di giustizia ! ♦ Passo sopra all'accademia che si fece a Bologna sul progetto '"Bonomi, che il Ferri oppugnò pel moti vu poco serio eh' esso riduceva il gruppo socialista a farlo da caudatario dei progetti Alessio e W ullem borg e<l a fargli perdere la propria fisonomia dentro e fuori del Parlamento; mentre con più ragione si poteva affermare col De Viti che , ora come ora , si doveva evitare ogni nuova imposta, anche se ha le parvenze democratiche, ed assicurare anzitutto una diminuzione della pressione tri- :·:utaria - e vengo al punto più importante della qÙistione. Pensa il Ferri, e non ha torto, che il sollievo derivante dagli sgravi tributari, per quanto efficace, diretto, ed immediato-ed io lo direi problematico e sopratutto di lenta realizzazione-non basta specialmente nel mezzogiorno, dove oltre alle condizioni, più o meno modificabili, di terra non sempre fertile, di scarsezza d'acqua, di malaria, se e' è abbastanza forza di lavoro, scarseggia assolutamente il capitale. Perciò fa sua la proposta dell'ignoto emerito finanziere « di provvedi men ti per l' incremento della produzione, sotto forma di capitali, facilmente accessibili ai piccoli e medi proprietari e industriali, da darsi all'interesse del 2 °/0 ed a rate, per evitare che i danari presi per migliorare la terra o l'indu-
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