Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XI - n. 18 - 30 settembre 1905

524 RIVISTA POPOLARE occorreranno, invece, come abbiamo detto, i milioni dei contribuenti italiani. Ma i contribuenti italiani ne hanno ancora altri da dare oltre quelli che pagano normalmente al rapacissimo fi~co italiano? Nessuno oserebbe affermarlo. Ma molti milioni avrebbero potuto essere dati ai Calabresi sven turJti e potrc-:bbero essere dati agli altri Italiani che nello avvenire sarebbero colpiti in vario modo, senza che fossero aggrava te le miserie dei contribuenti di già stremati di forze. Questo risultato che in apparenza ha dello straordinario sarebbe stato ottenuto in un modo semplicissimo se il Parlamento italiano fosse stato meno bassamente cortigiano quando assegno la lista ci-- vile al nuovo Re, riducendola a dieci milioni, quanti ne ha il Re d'Inghilterra, cioè il capo della più ricca nazione di Europa ; di quel Li nazione la cui ricchezza privata arriva a trecento miliardi circa mentre quella dell'Italia non arriva a sessanta- . ·1· ct· ' cinque m1 1ar 1.... Il conto è bello è fatto. Destinando ad un fondo speciale di beneficenza i quattro milioni all' anno in meno, che, in nome della logica e della economia e della comparazione internazionale, avrebbero dovuto essere assegnati alla lista civile del Re d'Italia e supponendo che disastri come quelli di Calabria, di Modica, di Casamicciola ecc. avvengano in ogni cinqµe anni , i colpiti potrebbero fare un assegna mento sopra un soccorso di venti milioni per volta, senza comprendervi gl' interessi annuali. Cortigianeria e menzogne a parte chi non vede che venti milioni dati dalla Nazione, moralmente e materialmente, varrebbero per gli sventurati, assai di più che le lagrime di un buon Re, le sue centomila lire e il milione che, tra si e no, potranno essere raccolti con tutte le sottoscrizioni che si potranno aprire nel mondo intero? La Rivista Perunaquestiodniepsieologeoiallettiva I delitti dei grandi e la coscienzadel popolo A proposito d) una tragedia che ha avuto recentemente il suo epilogo e che s'è convenuto di chiamar greca, benchè, per le persone indifferenti che non ammirano i bei gesti dei lanciatori di frasi, essa rimanga sempre italiana o semplicemente bolognese, si lamentò da principio, quando alcuni cercarono d'involgere nei tristi atti di essa un uomo illustre e di tràscinarlo nel fango comune de' suoi congiunti, che il livore della folla si scagliasse specialmente contro quel disgraziato e fosse anzi distribuito, quasi con pensata misura, in ragione diretta della notorietà di coloro che veni vano colpiti. E s'aggiunse - lasciando il caso particolareche è ben triste lo spettacolo d'un odio che si scatena violento contro un nome fino a pochi istanti prima rispettato ed ammirato, solo che venga a coprirlo improvvisamente l'ombra d' un sospetto, e che sempre, anche nel caso che al sospetto segua la certezza, è da condannarsi la furia morbosa con cui la folla rovescia gli uomini grandi dal piedistallo d'onore e di gloria dove essa stessa li ha posti, e li perseguita con accanimento , per delitti che , magari , in altri umili od oscuri, le strappano grida di perdono. A lamenti e considerazioni simili s'è fatto qualche accenno anche ora, ma io ricordo particolarmente i primi, come più vivaci ed e8pliciti, e ricordo. per l'impressione che mi fecero, e per c11i volli fin d'allora tenerne nota, le parole di Guglielmo :B~errcro: « Adesso si vnole stabilire in Italia una aristocrazia a rovescio: e cioè non fare la legge uguale per tutti, ma più severa per chi in qualche modo si è elevato. I meriti personali diventano un motivo d' odio e non di ris}Jetto, sottraggono l'infelice che non è un pitocco o un imbedlle alla legge comune , per sottoporlo a una legge più feroce» (1). Queste parole corrispondevano-esclusone i I tono- a ciò che era al !ora ed è anche oggi un mio fermo pensiero. Il tono delle parole del Ferrero era peru di disapprovazione, di rampogna; io invece-pur facendole mie , perchè così riass11mevano il mio pen · siero, per quanto si riferì va all'accertamento dell'esistenza reale del fenomeno, da altri messa in dubbio - le informavo con un tono diverso, un tono cioè di approvazione e di comriacimento. Il tono fa la musica: e io, postomi così agli antipodi del Ferrern, non potevo nemmeno approvare - e per il dubbio in cui parevan mettere l' esistenza reale del fenomeno e per le considerazioni che, nel caso di questa reale esistenza, ne volevan derivare - le parole che A. G. Bianchi faceva sE\guire a quelle del l!,errero: 4: Se ciò fosse, un triste periodo si preparerebbe per il paese nostro, per il fondamento della nostra vita civile.» ♦ Anch'io, dunque, lascerò il caso particolare - che m'è stato solo un' occasione per l'esposizione, a cui ora m'accingo, delle mie idee -· e parlerò in generale di questo fenomeno, ammettendo, anzitutto, col Ferrero, eh' esso davvero oggi si manifesti, aggiungendo anzi che non solo oggi ma per lungo tempo si è manifestato e per lungo tempo seguiterà a manifestarsi, finchè almeno le condizioni che ne permettono il sorgere non verrauno meno, e proponendomi di mostrare che esso -- senza tel.ler conto delle esagerazioni morbose che può assumere in qualche caso eccezionale - non ha in sè nulla di patologico ed è anzi facilmente spiegabile e giustificabile. Secondo me, la spiegazione sua si collega intimamente con quella che s' è data d'un altro fonomeno più frequente ed importante, del contegno cioè che assume, in generale, il nostro popolo davanti alle varie esplicazioni dall'attività e del potere dello stato. I due fe. nomeni hanno la stessa spiegazione perchè trovano origine nello stesso ordine di fatti e di sentimenti. (1) V. A. G. Bianchi, Fenomeni morbosi, in Corriere della Se·l'a, 22 agosto 1903; L'autopsia di un delitto, Milano 1904. Oiaccbè ho condotto il lettore al pianterreno, credo bene t1·attenervelu ancora un po', avvertendolo che mi servo dei vocaboli folla, pubblico e d'altri, sinonimi o quasi, Sbnza preoccuparmi delle distinzioni sottili - e del resto opportune - che ne fanno il Sighele ed altri. Questo specialmente perchè le conclusioni a cui giungo si possono adillta1·e, con lievissime variazioni di misura, all'una e all'altra delle diverse collettività definite con quei vocaboli. Avverto anche - per esaurire l'argomento degli avvisi - che uso l'espressione uomo grande in senso assai lato. Ciò per evitare equivoci.

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